2024-04-24
Sì al Patto di stabilità senza l’ok italiano. Destra e sinistra rompono col governo
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Solo 4 voti tricolore. Guido Crosetto: «È l’orchestra sul Titanic». Vicina la procedura d’infrazione. Ma le urne possono riaprire la partita.Il Patto di stabilità ha superato lo scoglio del voto. Ieri la plenaria Ue riunitasi a Strasburgo ha votato a maggioranza per il sì (dato scontato) con un elevato numero di astenuti (ben 64) e cosa per nulla scontata con soli tre deputati e mezzo italiani disposti a pigiare il bottone verde. A dire sì alle nuove regole sono stati infatti soltanto Lara Comi e Herbert Dorfmann del Ppe, Marco Zullo e Sandro Gozi di Reneweu. Gozi è il mezzo perché l’altra metà del cuore è ormai tutta francese. Al di là del pallottoliere ad astenersi è stato praticamente compatto tutto il centrodestra e pure il Pd che ha deciso di non aderire. La prima lettura della scelta è chiaramente in chiave elettorale. Pronti via, con l’approvazione del Patto scatterà in un modo o nell’altro il primo step verso la procedura d’infrazione. Le nuove norme contengono varie disposizioni per consentire un diverso spazio di manovra. In particolare, concedono tre anni supplementari oltre ai quattro standard per raggiungere gli obiettivi di un piano nazionale. I deputati si sono assicurati che questo tempo supplementare possa essere concesso per qualsiasi motivo il Consiglio ritenga opportuno, piuttosto che solo a condizione di criteri specifici, come inizialmente proposto. Su richiesta dei deputati, i Paesi con un disavanzo eccessivo o un debito eccessivo possono chiedere una discussione con la Commissione prima di fornire orientamenti sul percorso di spesa. Uno Stato membro può chiedere la revisione di un piano nazionale se vi sono circostanze oggettive che ne impediscono l’attuazione, ad esempio un cambiamento di governo. È chiaro che, per comprendere meglio a quali interventi saranno chiamati i singoli Paesi e nello specifico l’Italia, si dovrà attendere almeno l’ultima settimana di giugno. Sarà concordato un piano di rientro a quattro o a sette anni, ma con i dati aggiornati sul deficit in peggioramento di uno 0,2% rispetto al 7,2 indicato dal Def. Lo stesso ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non esclude la procedura d’infrazione. «La definizione del Piano strutturale di medio termine e del relativo quadro programmatico sarà cruciale per definire un percorso di aggiustamento che, compatibilmente con le esigenze di sostenibilità, consenta di fornire il necessario supporto alla crescita», ha detto Giorgetti. «Il nostro auspicio è che la raccomandazione inerente alla procedura per deficit eccessivi, ossia l’aggiustamento richiesto, venga approvata contestualmente all’approvazione dei Piani presentati dagli Stati membri». I deputati Ue, però, evidentemente convinti di quanto possa comportare la svolta nel nuovo Patto, hanno preferito non lasciare impronte digitali troppo marcate. In fondo, fra meno di un mese e mezzo si vota e la campagna elettorale si combatterà anche su questi temi. Scelta di astensione per calcolo di breve termine. C’è però un elemento di strategia più ampio ed è il messaggio per la prossima Commissione. Se dopo il voto di giugno dovesse spuntare una maggioranza più a destra, il prossimo Parlamento e la Commissione avrebbero il giusto agio per fare sponda e se necessario rivedere più di un passaggio del testo. Tanto più che nemmeno al governo sono così compatti. Ieri sera, il titolare della Difesa, Guido Crosetto, ha twittato che il nuovo Patto non tiene conto delle necessità di Difesa e sicurezza «per la quale mi sono battuto» e quindi «mi ricorda la musica suonata dall’orchestra a bordo del Titanic». Può essere una posizione non condivisa con Palazzo Chigi. In ogni caso prendere le distanze dal Patto può tornare utile anche nel caso in cui Roma decidesse di avviare un piccolo rimpasto di governo per sostituire un ministro destinato proprio alla Commissione. Partita apertissima che incrocia anche la riorganizzazione di Via XX settembre. Non è una novità che i rapporti tra il ministro e il Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta non siano più idilliaci. Non è da escludere che il nome del grand commis compaia nella lista dei cda che entro metà giugno dovranno essere nominati da Palazzo Chigi o dal Mef stesso. Per il suo posto si fanno i nomi di Renato Loiero, attuale consigliere economico di Giorgia Meloni, e di Daria Perrotta, attuale capo del legislativo di Via XX settembre. La scelta del secondo nome sarebbe però da leggere come l’avvio di un cambio di passo importante al Mef. O meglio, sarebbe indice della decisione di spostare Giorgetti a Bruxelles con l’incarico di commissario. La scelta garantirebbe alla Meloni la permanenza di Raffaele Fitto nel ruolo di sceriffo del Pnrr, fondamentale per la campagna elettorale che si terrà nel 2027. Invece, un ruolo di Giorgetti a Bruxelles aggiungerebbe un nome nella scarsa lista di candidati alla presidenza della Repubblica. Ovviamente per il dopo Mattarella. Anni luce comunque, visti i tempi ormai rapidissimi della politica.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.