2020-12-12
Si esulta per il Recovery mentre il Paese va a fondo
Nei giorni scorsi sui giornali sono comparse una serie di lettere aperte al governo, a firma di imprenditori e associazioni industriali. A volte succede che i rappresentanti di qualche categoria oppure il proprietario di un'azienda sentano il bisogno di rivolgersi direttamente alla politica, comprando pagine intere per segnalare un problema o denunciare un abuso. Tuttavia, vedere uno dietro l'altro i plurimi appelli al presidente del Consiglio di persone in genere abituate a farsi gli affari propri, cercando di migliorare giorno dopo giorno il fatturato della loro impresa, faceva impressione. Le lettere, infatti, appaiono il segnale che le cose non stanno girando per il verso giusto. Se il titolare di un'azienda con 2.000 dipendenti decide di pagare una pagina non per chiedere aiuti o incentivi, ma per spiegare a chi comanda che così si uccide la sua impresa, vuol dire che chi sta a Palazzo Chigi non ha idea di come funzioni un'attività commerciale o un'industria. Soprattutto significa che chi guida il governo non ascolta coloro che producono lavoro e ricchezza e a questi ultimi, dunque, non resta che mettere mano al portafogli per lanciare un grido d'allarme. Certo, non è un bel segnale che le comunicazioni fra un presidente del Consiglio e i rappresentanti del mondo dell'impresa siano affidate alle pagine a pagamento. Da giornalista mi rallegro, perché la testata incamera un po' di soldi e, siccome la stampa non vive di sole copie vendute in edicola ma anche di inserzioni, i conti dell'editore non possono che migliorare. Tuttavia, se metto da parte gli interessi di bottega e mi calo nei panni di semplice cittadino, non posso essere tranquillizzato dall'idea di un governo che, chiuso nel bunker, non parla, non vede e non sente chi ha intorno. Se non ha dialogo con lavoratori e imprenditori, come può il premier capire i problemi di chi ha un impiego e lo sta perdendo o di chi ha un'azienda e non sa se dovrà chiuderla? A tranquillizzare gli animi non basta una diretta Facebook o una conferenza stampa in cui si dichiara che nessuno resterà indietro. Da quel giorno di aprile in cui Giuseppe Conte si presentò agli italiani annunciando un poderoso intervento a favore dell'economia sono passati sette mesi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Basta infatti scorrere i dati diffusi ieri dall'Istat per capire come siano messe le aziende e il mondo del lavoro. Le cifre, che curiosamente non riescono a scalare la graduatoria delle notizie pubblicate sui principali siti di informazione (cosa che invece riesce facilmente a ogni sospiro di Conte o di Renzi), sono drammatiche. L'andamento tendenziale sull'anno segnala infatti che nel terzo trimestre c'è stata una perdita di 622.000 posti di lavoro. A questo numero, già disastroso, si aggiungono 220.000 disoccupati in più e addirittura l'aumento di 265.000 inattivi, cioè scoraggiati che il lavoro hanno rinunciato a cercarlo. Al Sud le donne rimaste a casa perdendo lo stipendio sono cresciute e il solo indicatore positivo, aumento congiunturale di 56.000 unità lavorative, è azzerato dal fatto che il costo del lavoro è diminuito del 5 per cento. Insomma, calano gli occupati e pure i salari. Oltre un milione di italiani, a causa della pandemia e della crisi, è stato espulso dal mondo del lavoro e questo nonostante il blocco dei licenziamenti imposto da dieci mesi dal governo. Che succederà a fine marzo, quando il divieto di ridurre il personale non ci sarà più? I centri studi prevedono che i nuovi disoccupati possano essere centinaia di migliaia, con effetti devastanti sulle famiglie e su un'economia già in grande affanno.Di fronte a tutto ciò, la politica che fa? Si rallegra per le centinaia di miliardi in arrivo dall'Europa. La maggioranza litiga per metterci le mani, minacciando la crisi pur di ottenere una poltroncina in più. Uno spettacolo avvilente che purtroppo non viene attenuato neppure dalle parole del presidente della Repubblica. Ieri Sergio Mattarella è intervenuto alla cerimonia del premio nazionale per l'Innovazione, ma nel suo discorso i numeri diffusi dall'Istat non hanno trovato spazio, né vi è stato tempo per citare le preoccupazioni di chi fa impresa. Il capo dello Stato ha spiegato che «si devono selezionare le priorità strategiche per diffondere il benessere», ma si è dimenticato di dire che per diffondere il benessere serve il lavoro e, soprattutto, servono le imprese. Quelle stesse imprese a cui, per farsi ascoltare, non resta che mettere un'inserzione sui giornali.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».