2018-08-15
Sharknado fa il botto al botteghino. L'horror trash ha più di 20 anni
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I film sugli sui predatori marini esercitano sempre più un fascino magnetico ma anche perverso. Il regista Anthony Ferrante spiega le ragioni del successo: «I disastri funzionano bene, se li metti insieme agli squali ne cavi fuori qualcosa».La tiritera, sempre la stessa, si ripete identica ad ogni estate. Le città si svuotano, le televisioni si spengono, mentre i cinema, semibui, si trascinano pigramente tra un filmaccio e l'altro, ben lieti di non poter propinare ai pochi avventori alcun titolo di pregio. L'offerta è scarna, le casse languono. Hollywood, deserta, chiude bottega. E, quando pare che nulla possa risollevare le sorti agostane dell'industria cinematografica, sono i giganti del mare a risalire in superficie, decisi a godere del proprio mese di gloria.Squali, balene, mostruose creature preistoriche. Quel sostrato marino di cui Steven Spielberg, nel 1975, ha fatto (suo malgrado) una moda è ormai protagonista dei film estivi. E non c'è titolo, nonostante l'inflazione di ammazzamenti e gambe mozze, che si riveli inefficace. L'ultimo, Shark – Il primo squalo, ha conquistato il mondo intero, impadronendosi dei box office in America, Cina e Italia. Complessivamente, la pellicola, trasposizione del best seller che Steve Alten ha scritto nel 1997, è riuscita a incassare 146,9 milioni di dollari in 3 giorni di programmazione. E le recensioni non sono state malaccio. Anzi. Il film ha ottenuto il plauso della critica americana che, pur sottolineandone le inesattezze scientifiche, lo ha definito «riuscito». Storia di un megalodonte sopravvissuto alla preistoria per distruggere il presente, Shark – Il primo squalo ha saputo coniugare horror e fantascienza, lasciando emergere tanto l'eroismo dell'uomo (in questo caso, Jason Statham) quanto la mostruosità della creatura (30 metri per 30 tonnellate). Con gran sollazzo del pubblico, il cui entusiasmo, misurato in biglietti staccati, ha confermato come gli squali siano ormai i più efficaci tra gli antagonisti della razza umana.Nell'estate 2017, 47 metri, cronaca di un'immersione finita male, ha incassato oltre 40 milioni di dollari a fronte di un costo produttivo stimato intorno ai 5,5. L'estate precedente, Paradise Beach – Dentro l'incubo (di una surfista assediata da uno squalo bianco) ha raggranellato 115 milioni di dollari, 100 più di quelli spesi per tirarlo insieme. Nel 2003, Open Water, ispirato alla storia vera di due turisti scomparsi nel mare dei Caraibi, è costato 130 mila dollari e ha poi incassato 55,5 milioni. Impresa, questa, riuscita anche a cult del genere, come Blu Profondo (1999) e The Reef (2011), assai più terrificanti ma non meno redditizi di titoli quali Shark 3d.Il film, coproduzione di Australia e Singapore, ha anticipato la deriva horror/comica del genere squali, raccontando cosa mai potrebbe accadere in un supermercato se uno tsunami improvviso spedisse un squalo tra i corridoi allagati. Lo scenario, improbabile, ha divertito gli spettatori, entusiasti al punto da aver foraggiato un anno più tardi il fenomeno Sharknado.Sharknado è nato come film per la televisione. Una porcheria a basso costo sulla quale nessuno nutriva grandi speranza. Avrebbe dovuto raccontare di un tornado colpevole di aver portato a Los Angeles banchi di squali assassini e misantropi, e finire lì. In un nulla di fatto colmo di vergogna. Invece, Sharknado è stato tanto seguito da aver convinto la casa produttrice a replicare e replicare ancora, inanellando una serie di sequel arrivati fino al numero 6.La ragione del «successo squali», stando a quanto dichiarato dal regista di Sharknado, Anthony Ferrante, starebbe nel fascino, magnetico e un poco perverso, che le tragedie eserciterebbero sulle persone. «I disastri funzionano bene, se li metti insieme agli squali ne cavi fuori qualcosa», ha detto Ferrante, spiegando così il proliferare degli squali al cinema e, da ultimo, il boom di Shark – Il primo squalo, pellicola che ha portato gli Stati Uniti a parlare di «Rinascimento degli shark-movie».
Jose Mourinho (Getty Images)