2023-12-16
Il «trionfo» dell’Europa? Sganceremo quattrini per ricostruire l’Ucraina
Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky (Ansa)
Ammettere nell’Unione il Paese aggredito è un gesto di alto valore morale. Tuttavia, con gli Usa in ritirata, il conto lo pagherà l’Ue. Ovvero Italia, Francia e Germania.Ma se l’America non sgancerà più un soldo per l’Ucraina, chi pagherà per la ricostruzione di Kiev e delle città devastate dalle bombe russe? La risposta è già scritta: a sostenere i costi sarà l’Europa, cioè noi. L’annuncio trionfale con cui è stato commentato l’avvio dell’iter che consentirà a un Paese in guerra di far parte, in futuro, dell’Unione europea, nasconde infatti proprio questo dettaglio e cioè che per traghettare un territorio devastato da anni di conflitto verso la ricostruzione serviranno molti ma molti miliardi e qualcuno se ne dovrà far carico. Ancora oggi la Ue sovvenziona i cosiddetti Paesi dell’Est con generosi stanziamenti, di cui - è utile dirlo - si fanno carico Francia, Germania, Italia e pochi altri. Domani a Polonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Estonia, Romania Slovacchia, Bulgaria, Slovenia si aggiungerà anche l’Ucraina, che per sopravvivere e riprendersi dopo la distruzione di quartieri e industrie avrà bisogno di una potente iniezione di denaro. Già, perché il baraccone dell’Unione europea, il sogno straordinario degli Stati uniti del Vecchio continente, un’unità politico-economica di quasi mezzo miliardo di persone, non è gratis. Non lo è mai stato, in quanto far uscire dalla povertà e far entrare nel mondo moderno quei Paesi che un tempo facevano parte del blocco sovietico ed erano uniti da una cortina di ferro non è stato possibile grazie alle parole, ma solo con i soldi. Sì, miliardi che hanno consentito alla Polonia di diventare una delle realtà più dinamiche del vecchio continente, con un Pil che cresce ogni anno con percentuali che noi italiani ci sogniamo. Lo stesso si può dire dell’Ungheria, che certo grazie a Viktor Orbán ha visto migliorare le proprie imprese e il tenore di vita della propria popolazione. Un successo dovuto sicuramente a misure espansive, ma sostenute da miliardi di incentivi. Non cito a caso le due ex colonie comuniste: sia l’una che l’altra, in particolare la Polonia, sono diventate punto di approdo per molte imprese, italiane e non, che hanno scelto di lasciare Paesi con un costo della vita più alto e con stipendi giudicati troppo elevati, per puntare su realtà che non soltanto consentano di produrre a prezzi inferiori, ma che anche offrono un supporto normativo ed economico migliore di quanto possano fare l’Italia o la Germania. In pratica, accogliendo l’Ucraina in Europa stiamo facendo un gesto dall’altissimo valore morale, perché apriamo le porte a un Paese vittima di una brutale aggressione. Tuttavia, se vogliamo dirci le cose con estrema franchezza, ci stiamo impiccando con le nostre mani. Perché è evidente che se la ricostruzione richiederà ingenti investimenti, quei fondi non potranno che giungere da Bruxelles e, visto che la capitale belga di suo non produce nulla, quel denaro non potrà che essere trovato con le tasse che si imporranno alle economie più progredite, vale a dire noi, la Germania, la Francia e pochi altri. Cioè, come nel passato ci siamo fatti carico di far uscire dal comunismo i Paesi dell’Est, pagando i conti del disastro economico della vecchia Urss, ora, dicendo sì all’Ucraina nella Ue, abbiamo firmato una cambiale in bianco, che dovrà essere onorata dalle prossime generazioni.Perché è evidente che il peso della ricostruzione sarà a carico nostro. Non solo: il sostegno all’agricoltura non sarà più destinato ai Paesi europei, ma all’Ucraina. Di certo non basteranno i soldi (per altro di difficile utilizzazione) sequestrati alle aziende russe come risarcimento di guerra. E visto che l’America non ha alcuna intenzione di sganciare altri quattrini, soprattutto se alle prossime elezioni dovesse vincere un candidato repubblicano (Trump o Haley non importa), il peso finanziario resterà a carico di chi ha aperto la porta della Ue all’Ucraina. Sì, la decisione tanto applaudita da tutti come un gesto coraggioso rischia di essere un gesto suicida, che contraddice tutte le regole fin qui osservate da Bruxelles. Certo per Kiev non si applicheranno i famosi parametri di Maastricht, né il Patto di stabilità di cui nei vertici europei si discute con grande animazione. L’economia devastata dell’Ucraina non potrà infatti stare al passo con quella di altri Paesi, ma potrà solo essere sostenuta con il debito e con fondi erogati con liberalità. In altre parole, noi saremo costretti a fare più debito di quanto già non ne abbiano fatto i vecchi governi per pagare il conto della guerra. Una prospettiva poco incoraggiante? Vero, ma questo è quanto accaduto in passato e non c’è ragione di ritenere che non si verifichi nuovamente. Quindi, oltre ad aver sostenuto l’Ucraina pagando bollette più alte e privandoci di quattrini che sarebbero stati utili per uscire dalla crisi presto dovremo sobbarcarci un altro peso.In conclusione, quando nella primavera prossima andremo a votare per rinnovare il Parlamento europeo, sarà bene ricordarci di tutto ciò, perché se esiste un modo di limitare i danni, questo passa solo dal cambio di governo a Bruxelles.
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