2022-01-16
Serrata pure contro la peste suina. Misura inutile che non salva l’export
In 114 paesi fra Piemonte e Liguria vietati per sei mesi caccia, pesca, escursioni e ricerca di funghi per ridurre i contatti con i cinghiali. Dal punto di vista sanitario la decisione è insensata. E l’Asia ci ruba il mercato.È il protocollo senza speranza. Si chiude tutto e a chi tocca - stavolta è il caso di dirlo - non s’ingrugni. Scoppia, in realtà è uno scoppio ritardato e ampiamente annunciato, l’allarme peste suina africana (Psa) e il ministro della Salute Roberto Speranza e quello agricolo Stefano Patuanelli intervengono con molta calma, ma estrema decisione: si vieta tutto, perfino camminare. Va precisato che la peste suina che viene diffusa dai cinghiali che hanno preso casa al Colosseo, ma sono intoccabili perché protetti dalla sinistra in verde, è mortale per gli allevamenti di maiali, ma innocua per l’uomo. In 144 Comuni, la lista è però destinata ad allungarsi e chissà quanto visto che i cinghiali non hanno obbligo di green pass e vanno dove pare a loro, a cavallo tra Liguria e Piemonte (in gran parte delle province di Alessandria e di Genova) e nei parchi naturali è vietato per i prossimi sei mesi cacciare, passeggiare e fare trekking, andare in bicicletta e in mountain bike, andare a cavallo, raccogliere funghi e tartufi, pescare, interagire (e non si vede come, ma la burocrazia non conosce vergogna!) con la fauna selvatica. Se ci sono allevamenti nei Comuni in zona rossa bisogna chiedere uno speciale permesso per andare ad accudire gli animali e anche le attività agricole sono sorvegliate. La ragione di tanta severità è salvaguardare l’export di salumi e prosciutti italiani. Appena si è saputo che due cinghiali morti nell’alessandrino - in tutto i casi accertati sono tre, più quattro sospetti - erano affetti da Psa, Taiwan, Cina (combatte con la peste suina da cinque anni), Vietnam, Giappone e Serbia hanno vietato l’importazione di prodotti a base di maiale dall’Italia. Ma l’elenco s’infoltirà e la faccenda è in prospettiva economicamente seria: i maiali in Italia muovono 8 miliardi, 1,7 vengono dall’export e 500 milioni li facciamo fuori dai confini europei, siamo il settimo (e migliore) Paese produttore di suini nel continente e ogni mese di blocco dell’export solo nei Paesi elencati vale 20 milioni in meno di fatturato. Il provvedimento di Roberto Speranza che non fa nulla per prevenire - e lo vedremo - ma sa solo chiudere mette sul lastrico gli agriturismi con una perdita attesa di circa 250 milioni, blocca le attività agricole tanto che Stefano Patuanelli, ha affacciato l’idea di dare dei ristori. Gian Marco Centinaio, sottosegretario agricolo della Lega, ha chiesto una task force per affrontare insieme con le Regioni l’emergenza e ha sollecitato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a proteggere il nostro export. All’area focolaio sono limitrofe Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Umbria e Marche che sono le protagoniste dell’economia del maiale e sono molto preoccupate. C’è un passaggio dell’ordinanza di Roberto Speranza involontariamente comico. C’è scritto che bisogna «porre in atto ogni misura utile a un immediato contrasto alla diffusione della Psa». Immediato per la verità un po’ stona. Il primo caso della nuova ondata di peste suina in Europa si è verificato in Belgio, poi in Repubblica Ceca e infine l’8 settembre di due anni fa in Brandeburgo in Germania, tanto che fu Angela Merkel in persona a ergersi a garante della salubrità e qualità dei maiali tedeschi peraltro ampiamente esportati in Cina dove gli allevamenti sono stati decimati. Il ministro per l’Agricoltura di allora, Teresa Bellanova, l’8 ottobre 2020 aveva predisposto un piano d’intervento da attuare con il decreto interministeriale Misure urgenti di prevenzione della peste suina africana. Doveva essere firmato da Roberto Speranza, ministro della Salute, e da Sergio Costa, all’Ambiente. Speranza eccepiva che il controllo era affidato alle Regioni e Costa eccepiva perché il piano «non è sottoposto a valutazione ambientale strategica e a valutazione di incidenza ambientale». E perciò il decreto non vide la luce. Perché è bene ricordarsi che i cinghiali in Italia sono specie protetta dalle lobby ambientali. Speranza non dice neppure che il blocco delle attività venatorie da lui disposto all’inizio della pandemia di Covid ha fatto proliferare a dismisura i cinghiali - sono il serbatoio della peste suina - passati da 900.000 a oltre 2 milioni di capi in dieci anni con un’accelerazione di almeno 200.000 capi negli ultimi due anni. Né dice che la sua parte politica come quasi tutta la sinistra con Legambiente vessillifera di ogni divieto di abbattimento è sempre stata dalla parte dei cinghiali. Basta citare l’interrogazione che la senatrice Loredana De Petris di Leu e presidente del gruppo misto presentò il 23 novembre 2020 a Speranza e al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese per chiedere il rispetto del divieto di caccia a seguito dei provvedimenti anti Covid perché «è da irresponsabili e contro la tutela della salute pubblica consentire la caccia al cinghiale che rappresenta la forma di più alto e incontrollato assembramento venatorio, spesso praticata da persone non più giovani e quindi particolarmente a rischio». Così alle reiterate e disperate richieste che negli anni si sono levate da tutto il mondo agricolo per un contenimento degli ungulati che fanno danni gravissimi alle colture si è sempre opposto da parte della sinistra l’articolo uno - si chiama così anche il partito di Roberto Speranza -della legge 157 che è la Bibbia degli ambientalisti: «La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale».
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