2022-11-14
Sergio Cesaratto: «Da sinistra dico: aridatece Andreotti»
L’economista: «L’Italia è un Paese di mediazione ma il governo Meloni è come Draghi, troppo filoatlantista. Se negli Usa cambiasse il vento e arrivasse la pace non escluderei vendette di Putin nei nostri confronti».Professor Sergio Cesaratto, la disturbo?«Per nulla, ma un chiarimento preliminare me lo consentirà».Prego.«Il vostro è un giornale molto schierato. E non dalla mia parte, diciamo. Le vostre posizioni su pandemia e vaccini mi lasciano perplesso».Infatti, parleremo di economia…«Ma pure qui io sto a sinistra e non dalla vostra parte!».Mettiamola così. La chiamiamo per questo, così non ci annoiamo!«Meglio così. Procediamo pure».Lei insegna economica politica all’Università di Siena…«Politica monetaria europea».Mi rivolgo al professore prima ancora che all’economista. Che voto dà al primo atto del governo Meloni, la Nadef? «L’impianto macroeconomico è in linea con quello delineato dal governo Draghi. Anche se la situazione è addirittura peggiorata. In pandemia l’Europa ha provato a darsi una mossa facendo anche autocritica rispetto a quanto combinato nei dieci anni precedenti. La Bce lancia un nuovo piano di acquisto di titoli pubblici, mentre la Commissione Ue vara il Recovery and Resilience Fund. Un tentativo di europeizzare la spesa pubblica. Uno sforzo sul piano fiscale c’era». Oggi?«È un’Europa sfilacciata sia sul piano politico che su quello economico e che non sta battendo nessun colpo. I segnali che vengono dalla Bce prefigurano il cosiddetto “quantitative tightening” (vendita titoli per drenare la liquidità in circolo ndr). E c’è un governo all’impronta della lotta di classe a favore di alcune classi sociali che in questo esecutivo si riconoscono. Del resto, un lavoratore su tre in Italia è autonomo; ci batte solo la Grecia. Non si parla di sostegno ai redditi più deboli, di sanità e di istruzione pubblica, ma di innalzamento del tetto all’utilizzo del contante, misura simbolica che sicuramente agevola transazioni in nero. Non ho visto però nella Nadef quanto era stato annunciato: la riduzione dei benefici fiscali per chi guadagna oltre 60.000 euro, ora a 120.000 euro. Uno schiaffo al lavoro dipendente mentre si allarga la flat tax per gli autonomi». Torna la sua anima di sinistra.«Economisti prestigiosi come Claudio Napoleoni e Paolo Sylos Labini parlavano di alleanza di produttori contro i topi nel formaggio». Noi della Verità, che siamo la destra cattiva, rispondiamo che i produttori stanno anche e soprattutto fra gli autonomi.«Ci mancherebbe. Lungi da me criminalizzare chi non è lavoratore dipendente. Ma è un fatto che in Italia abbiamo 250.000 avvocati. Cinque volte che in Francia».Una politica monetaria restrittiva fatta di tassi più alti e meno liquidità in circolo ha senso? I prezzi aumentano non perché la gente compra ma perché esplodono i prezzi di energia e materie prime…«L’aumento dei prezzi indotto dai prezzi dell’energia e delle materie prime è di per sé recessivo perché con gli stessi soldi a disposizione i consumatori acquistano meno beni. Se si aumentano i tassi si rischia di aggiungere recessione a recessione. Troverei logico una linea più accomodante in cui la Bce tollera un’inflazione del 3-4% anziché del 2% per mitigare contraccolpi recessivi. Certo poi ci sono due problemi. Il primo riguarda ciò che noi economisti chiamiamo “second round effect”. Vale a dire i lavoratori rispondono all’inflazione chiedendo salari più elevati e con ciò alimentando una rincorsa fra prezzi e salari. Anche se non mi sembra che i sindacati italiani abbiano questa capacità contrattuale (ride sarcasticamente, ndr). Però potrebbero averla in altri paesi. E questo è il problema tipico di una stessa politica monetaria per paesi diversi».Il secondo problema?«Mi riferisco alla guerra. Lo confesso. Non leggendovi assiduamente, non so se come giornale avete fatto un’operazione di verità…».L’abbiamo fatta si fidi… in posizione di quasi solitudine.«Il governo è troppo smaccatamente filo-atlantista. Gianfranco Fini per rifarsi una verginità democratica mise Israele al primo posto delle relazioni internazionali in luogo dei Paesi arabi. Ma l’Italia è un Paese di mediazione, e da questo abbiamo sempre tratto vantaggi in passato. Se cambia il vento negli Usa e arriva la pace, non escluderei vendette di Putin nei nostri confronti anziché Francia e Germania che sono, diciamo, dei pezzi grossi. A Putin non manca la perfidia. Mi verrebbe da dire: “Aridatece Andreotti!”. Sia per la politica estera che per quella energetica».La Commissione Ue ha predisposto un piano per la revisione del Patto di stabilità e Crescita. Lei che idea si è fatta in proposito?«Si vede la mano del commissario Paolo Gentiloni e di Marco Buti».L’economista italiano a momenti dato in corsa per la direzione generale del Mes al posto del tedesco Klaus Regling…«Non lo so. È uno preparato. Ma ce lo vogliono rifilare come garanzia per farci sottoscrivere il nuovo Mes? Il documento è una bozza di discussione. Scompaiono regole assurde tipo la riduzione di un ventesimo all’anno del rapporto debito/Pil al 60%. Una misura che se applicata ci avrebbe ridotto nelle condizioni della Somalia. Già che un governo italiano (quello di Monti ndr) abbia sottoscritto un documento del genere lascia interdetti. Scompaiono anche concetti astrusi come pareggio strutturale e output gap. Rimangono i parametri di Mastricht: deficit al 3% e debito al 60% del Pil. Ma si dà la possibilità di una contrattazione fra singolo governo e Commissione Ue circa la riduzione del debito, con percorsi pluriennali più o meno aggiustabili della spesa pubblica a seconda di come evolve il ciclo economico. Non si escludono però gli investimenti pubblici dal percorso concordato. La politica economica la si fa tuttavia giorno per giorno e questi accordi pluriennali lasciano un po’ il tempo che trovano». Vale a dire?«I tedeschi con i paesi satelliti da una parte che pretendono parametri e regole rigide proprio per evitare quelle contrattazioni politiche che invece preferiscono paesi come il nostro. Ma immagini che farraginosità una contrattazione con 27 paesi. L’Europa è stretta fra la rigidità dei tedeschi e 27 mercati rionali, invece di fare un salto in avanti verso gli Stati Uniti d’Europa con un bilancio federale e politiche fiscali e monetarie coordinate. A questo non si arriva perché l’Unione Europea non è una nazione ma un insieme di 27 nazioni. Il quadro è di sfilacciamento con un’Europa senza una bussola economica e politica». In un suo studio di qualche anno fa lei spiegava che il rapporto debito/Pil dal 1980 al 2017 sale dal 56 al 132%. Ma senza l’inflazione di tutti quegli anni sarebbe arrivato al 276%. L’inflazione aiuta gli stati indebitati. Cosa oggi nuovamente di attualità coi prezzi che salgono.«Fino agli anni Ottanta l’inflazione compensava in parte gli squilibri. Cresceva la base imponibile anche grazie alla scala mobile. Si pensi al cosiddetto fiscal drag. Si riduceva il valore reale del debito. Cresceva la spesa per interessi ma di meno. Ora il tema torna attuale».Rimane il fatto che il debito è rapportato al Pil nominale. E questo tiene conto anche dell’aumento dei prezzi. I consumatori soffrono, i conti dello stato un po’ meno.«Nessun dubbio che l’inflazione e l’iperinflazione sono un modo per abbattere i debiti degli Stati. Guardando allo stock del debito, se l’inflazione è del 10%, questo si riduce di egual misura in termini reali. Visto da un altro punto di vista, il Pil nominale si gonfia del 10%. Ciò fa ridurre il rapporto debito/Pil. Questo dipende però anche dal grado di aggiustamento dei tassi di interesse all’inflazione e dalla trasmissione di questi tassi all’intero stock del debito. Poi ci sono entrate e uscite correnti. Le entrate aumentano con l’inflazione perché aumenta il valore nominale della base imponibile, per esempio dell’Iva. Ma aumentano le spese di sostegno ai redditi e per i servizi pubblici. In linea di massima si può dire che l’inflazione aiuta i conti pubblici, ma è un calcolo complesso».Professore, la Commissione Ue ha pubblicato le previsioni di crescita dell’economia europea. E quindi di quella italiana. +0,3% o -0,3% per il 2023. Confesso ho un vuoto di memoria.«+0,3% mi sembra».Ecco. Non le trova ottimistiche?«Difficile esprimersi. Ma siamo tornati allo zero virgola. +0,3 o -0,3% siamo nel campo dell’errore statistico. Se va bene siamo tornati alla stagnazione secolare. Abbiamo bisogno di investimenti per rimediare a strutture fatiscenti, a sacche di povertà e a una popolazione che invecchia. Questa è la sostanza. E non abbiamo toccato il problema dell’immigrazione».Me la serve inaspettatamente su un piatto d’argento e mi ci butto a pesce. Che opinione si è fatta della politica di questo governo?«Non sono favorevole alle porte aperte a tutti, anche se è crudo dirlo. Non sono simpatetico con le Ong sia quando negli anni Ottanta e Novanta facevano interventi in loco nei paesi africani assecondando le politiche distruttive del Fondo monetario internazionale su quel poco di stato sociale che c’era in quei paesi. Il governo italiano si è mossa in maniera scomposta. Quello francese ha reagito in maniera isterica. Bisognerebbe vedere i numeri a mente fredda di chi accoglie e come. Di sicuro so che abbiamo bisogno di accogliere in maniera programmata, selettiva, ma anche più inclusiva». Muove da un’analisi marxiana. Evitare che si formi un esercito industriale di riserva funzionale a tenere bassi i salari. E la pensa come noi che siamo la destra brutta e cattiva«Magari con uno spirito diverso. L’immigrazione incontrollata risponde anche a questo fine. Siamo un Paese in grande difficoltà e non possiamo prenderci in carico intere popolazioni. Non sbarcano laureati in ingegneria da quei barconi, e magari i nostri se ne vanno. Andrebbero date risposte globali. Questo richiede pace».
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