
Mentre prosegue la trattativa per 1.400 operai da mettere in cassa integrazione, i 5 stelle insistono per togliere la «tutela» concordata con Luigi Di Maio. È una clausola che consente di operare nello stabilimento fino a quando sarà a norma nel 2023.Di lotta e di governo. La rincorsa al territorio e ai voti degli afflitti dalla sindrome Nimby serve ai 5 stelle per mantenere qua e là lungo la penisola bacini di voti che rischiano di andare dispersi in rivoli tanto sottili quanto difficili da controllare. La componente grillina che però siede alla destra di Giuseppe Conte è colpita da tutto questo affannarsi tipico da campagna elettorale. Così la scelta di inserire dentro il decreto Crescita un emendamento che tolta ad Arcelor Mittal la tutela legale fino al termine dei lavori di bonifica e rimessa in sesto dell'ex stabilimento Ilva, rischia di far saltare tutto il banco, già in crisi dopo l'annuncio di una cassa integrazione per 1.400 operai.«Se il decreto dovesse essere approvato nella sua formulazione attuale, la disposizione relativa allo stabilimento di Taranto pregiudicherebbe, per chiunque, Arcelor Mittal compresa, la capacità di gestire l'impianto nel mentre si attua il Piano ambientale richiesto dal Governo italiano e datato settembre 2017», ha reso noto l'azienda in una nota che comunica anche che la sua controllata italiana «ha manifestato al governo italiano le proprie preoccupazioni». «Il decreto Crescita, nella sua formulazione attuale, cancella le tutele legali esistenti quando Arcelor Mittal ha accettato di investire nello stabilimento di Taranto. Tutele che è necessario restino in vigore fino a quando non sarà completato il Piano ambientale per evitare di incorrere in responsabilità relative a problematiche che gli attuali gestori non hanno causato». La nota è semplice e non necessita di spiegazioni. L'accordo tra gli angloindiani e il governo italiano è stato firmato alla presenza dello stesso ministro Luigi Di Maio. Il capo del grillini ha firmato il documento in prima persona. Rimangiarsi uno dei pilastri è il modo migliore per far scappare Arcelor e soprattutto evitare che arrivino altri stranieri a investire in Italia. Poco cambia che il Mise abbia informato Arcelor a febbraio, quest'ultima ha sempre risposto che pacta sunt servanda. Innanzitutto, al di là della vulgata 5 stelle, la tutela legale non è uno scudo che consente agli angloindiani di commettere reati o fare ciò che vogliono all'interno dello stabilimento di Taranto. Al contrario è una garanzia che consente all'acciaieria di rimanere aperta fino al termine del programma di risanamento. Una agenda già decisa e concordata in sede nazionale e pure in ambito europeo. Senza lo scudo dal 24 settembre prossimo, la procura locale potrebbe rimettere sotto sequestro parti intere del sito che è bene ribadirlo non sarà a norma prima del 2023. Anche se alcune aree godono di interventi a marce forzate. Come le cokerie e la sinterizzazione e il sistema di trattamento acque in generale, operativo dal luglio prossimo.C'è pure un addendum che stringe i tempi sulle pavimentazioni dei parchi e il trattamento delle acque pluviali in porto, uno degli interventi più delicati perché subordinato a una serie di lavori preliminari. Anticipata al periodo 2018-2020 anche la copertura dei nastri trasportatori. «Dal nuovo prospetto allegato alla presentazione di luglio (2018, ndr) restano solo tre interventi nel 2023», si legge sul sito specializzato siderweb, «Cioè il trattamento acque nell'area a caldo, anch'esso per la necessità di essere coordinato con altri lavori; il piano di rinnovo della prevenzione incendi e la rimozione dell'amianto dalle discariche». Al di là dei tecnicismi la recente storia giudiziaria dell'Ilva dovrebbe insegnarci che progetti così ampi necessitano di deroghe concordate con lo stato e non le procure. Tornare indietro sarebbe un suicidio per qualunque piano industriale, tanto più in momento come questo. La siderurgia prosegue il momento di crisi e flessione. Motivo per cui Arcelor ha annunciato di voler ricorrere alla Cig. Ieri si è tenuto un tavolo con i sindacati che non ha concluso nulla. Le parti si sono aggiornate al martedì prossimo. Ciò che politicamente stona è che se un governo volesse andare in collisione con gli investitori di Taranto dovrebbe farlo sul tema dell'occupazione. Da un punto di vista elettorale perdere 1.400 posti su poco più di 10.000 per una città come Taranto è una batosta. Anzi sarebbe l'ennesima batosta. Comprensibile che un governo voglia mettere alle strette una multinazionale con cui ha stretto un accordo meno di un anno fa. Ma rompere i patti firmati preventivamente e poi per giunta piangere sull'occupazione versata è il modo peggiore per tutelare una città.
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