2021-06-09
Sentenze pilotate anche per l’ex Ilva. Piero Amara finisce in carcere
L'ex capo dei pm di Taranto, Carlo Maria Capristo, ha l'obbligo di dimora. Pressioni sul Csm per le toghe amiche e «indagini illegittime»L'avvocato faccendiere Piero Amara, il sedicente confratello che ha svelato l'esistenza della loggia Ungheria, testa di ariete specializzato in accuse a magistrati e coccolato da più di una Procura nonostante sia stato smentito più e più volte, l'inquinatore di processi e aziende di Stato, questa volta è inciampato a Potenza. L'accusa: concorso in corruzione in atti giudiziari. Dopo Siracusa, dove nel sistema giudiziario aveva piazzato i suoi uomini perché gli piaceva vincere facile nei processi, ieri è stato arrestato su richiesta del procuratore di Potenza Francesco Curcio (considerato un nosferatu dalle toghe pugliesi sotto indagine) perché aveva esportato il collaudato Sistema Siracusa anche a Trani e a Taranto, aiutato da uno dei suoi magistrati preferiti: Carlo Maria Capristo, già finito nei guai a Potenza per tentata concussione (per lui ora il gip ha disposto l'obbligo di dimora con l'accusa di corruzione), che in questa inchiesta ha anche cercato inutilmente di prendere le distanze da Amara. Amara era stato arrestato dai pm di Roma e di Messina il 6 febbraio 2018 e scarcerato dopo tre mesi per la finta collaborazione. Avrebbe continuato a delinquere fino al 23 luglio 2019, come sottolineato nei capi d'imputazione dell'ordinanza di Potenza. Quindi, stando alle nuove accuse, esattamente dopo la richiesta di un nuovo arresto formulata dalla Procura di Roma (febbraio 2019) e l'esposto inviato dall'ex pm di Roma Stefano Fava (marzo 2019) contro il suo ex capo Giuseppe Pignatone. E se a Trani Amara ha tentato di destabilizzare i vertici dell'Eni con un «fantasioso» complotto che mirava a sostituire l'amministratore delegato Claudio Descalzi, a Taranto ha fatto sentire il suo peso nel processo sul disastro ambientale dell'Ex Ilva e addirittura in un procedimento per omicidio colposo. In cambio c'erano «ritorni economici assai significativi», sostiene il gip di Potenza Antonello Amodeo che ha privato l'avvocato siciliano della libertà personale, «costituiti dal pagamento di cospicue parcelle professionali». Insomma, con i suoi giochetti per taroccare i procedimenti, Amara sarebbe riuscito a «consolidare il suo ruolo di consulente di Eni ed Ilva», scrivono i magistrati. Gli altri protagonisti della narrazione giudiziaria potentina, oltre Amara e Capristo, sono Franco Maria Balducci (indagato per concorso in concussione), commercialista di Corato, Flavio D'Introno (accusato di concorso in concussione), che i magistrati di Lecce in un altro procedimento considerano un complice della cricca dei giudici che a Trani truccava le indagini, Martino Marancia (indagato per tentata concussione), un carabiniere all'epoca addetto alla sicurezza di Capristo, pure lui già finito nei guai a Lecce, Michele Nardi (indagato per corruzione in atti giudiziari e concorso in concussione), l'ex giudice condannato a 16 anni e 9 mesi per i processi aggiustati a Trani, Nicola Nicoletti (finito ai domiciliari per corruzione in atti giudiziari), consulente dei commissari dell'ex Ilva, l'avvocato di Molfetta Giacomo Ragno (agli arresti domiciliari per concussione e corruzione), pure lui condannato a Trani a 2 anni e 8 mesi, legale che Capristo definiva «un gentiluomo», Antonio Savasta (accusato di concussione), ex magistrato considerato l'organizzatore dell'associazione a delinquere di Trani, il commercialista barese Massimiliano Soave (indagato per concussione) e il poliziotto che ha lavorato per ministri e sottosegretari Filippo Paradiso (finito in carcere con l'accusa di corruzione in atti giudiziari), autore di una presentazione ad Amara, citata nell'ordinanza, di babbo Tiziano Renzi. Nello storytelling investigativo della Procura di Potenza viene ricostruita più di una scorribanda dell'avvocato Amara. C'è un presunto scambio di favori avvenuto quando il confratello della Loggia Ungheria era consulente dell'ex Ilva e Capristo procuratore di Taranto. Ma c'è anche l'ipotizzata attività di lobbismo dell'avvocato siciliano al Csm per favorire la nomina dell'ex toga. I magistrati di Potenza scrivono addirittura che il carrarmato Amara sarebbe riuscito a «schiacciare» il Sistema denunciato da Luca Palamara. «Di particolare carica indiziaria», scrive il gip, «c'è il messaggio Whatsapp nel quale il consigliere del Csm Palamara scriveva “purtroppo troppe cose mi hanno schiacciato", evidentemente alludendo al “peso" delle pressioni ricevute per la nomina di Capristo, nonostante questi non godesse di buona reputazione (nella chat risulta che di lui si direbbero “cose pessime")». In realtà dalle chat però emerge che si parlasse di un altro magistrato, Pietro Argentino, prima procuratore aggiunto a Taranto, poi procuratore di Matera. I magistrati potentini fanno risalire alla battaglia per la nomina a procuratore generale di Bari, sfuggita per un soffio, la saldatura tra Amara, Paradiso e Capristo che, «in cambio delle utilità ricevute» avrebbe «svenduto la sua funzione». Come? «Garantiva, grazie alla fattiva collaborazione di Nicoletti», scrive il gip, «il graduale accreditamento di Amara quale legale dell'Ilva (concretizzatosi in due incarichi, uno […] nel processo Ambiente svenduto e l'altro […] nel procedimento per la morte dell'operaio Giacomo Campo)». Secondo l'accusa Capristo da procuratore «si rendeva promotore di un approccio dell'ufficio certamente più aperto e favorevole alle esigenze dell'Ilva». Particolarmente rilevante «la circostanza che Amara», scrivono gli inquirenti, «avesse spostato, a seguito della nomina di Capristo a Taranto la sede legale delle sue società operanti nel settore ambientale da Roma a Taranto. Quasi a sottolineare plasticamente che si poneva sotto l'ombrello protettivo del Capristo». Quest'ultimo durante il suo incarico a Trani avrebbe anche favorito l'ingresso di Amara, come consulente esterno, in Eni. Il rapporto della trimurti Amara-Capristo-Paradiso, secondo l'accusa, «era tenuto in piedi da una convergenza di interessi, carrieristici e di potere per il Capristo, economici e relazionali per il Paradiso, e affaristici per Amara». E il gip sentenzia: sia da procuratore di Trani, sia da procuratore di Taranto il modus operandi di Capristo era «per gli amici i favori; per gli altri la legge».