2022-12-04
Le sentenze chiave delle toghe Usa
L’Alta corte statunitense ha bocciato l’obbligo di vaccino nelle grandi aziende. Quelle locali si sono adeguate. E i colleghi newyorchesi hanno reintegrato agenti e medici.Stop all’obbligo di vaccinazione contro il Covid-19 nelle aziende con almeno 100 dipendenti. Così, il 13 gennaio di quest’anno, la Corte suprema statunitense presieduta da John G. Roberts Jr bocciava l’imposizione voluta dal presidente dem, Joe Biden, e messa in atto dall’Occupational safety and health administration (Osha). Per la maggioranza dei giudici (sei contro tre), rappresentava «una significativa invasione della vita e della salute di un vasto numero di dipendenti», circa 84 milioni di americani. Il massimo organo del potere giudiziario americano aveva accolto i ricorsi presentati da diversi Stati repubblicani, da 26 gruppi imprenditoriali e da associazioni non profit che nelle Corti d’appello si erano viste respinte le azioni legali nei confronti di Osha. La Corte, invece, conveniva che l’agenzia, incaricata di garantire la salute e sicurezza sul lavoro, «stava oltrepassando il proprio potere». La legge autorizza Osha a stabilire standard di sicurezza sul posto di lavoro e sorveglianza sull’applicazione degli stessi, «non ampie misure di salute pubblica» come quella di ordinare di vaccinarsi o di sottoporsi a test medici settimanali a proprie spese, ricordò la Corte. I giudici affermarono che, sebbene in molti luoghi di lavoro il Covid-19 sia un rischio, non è un rischio professionale. «Il virus può diffondersi e si diffonde a casa, nelle scuole, durante gli eventi sportivi e ovunque le persone si riuniscano. Questo tipo di rischio universale non è diverso dai pericoli quotidiani che tutti affrontano a causa della criminalità, dell’inquinamento atmosferico o di un numero qualsiasi di malattie trasmissibili». Senza l’autorizzazione del Congresso, dunque, non poteva essere imposta come regola di salute sul lavoro una vaccinazione, che «non può essere annullata alla fine della giornata lavorativa». Principio di grandissima portata giuridica, sanitaria e sociale.Biden, ovviamente si dichiarò «deluso dalla decisione della Corte suprema di bloccare misure di buon senso e a tutela della vita per i dipendenti delle grandi aziende», che a suo avviso avrebbero evitato la morte di 6.500 persone e impedito centinaia di migliaia di ricoveri. I giudici, invece, obiettarono: «Non è nostro compito valutare tali compromessi». La responsabilità era dei deputati, «scelti dal popolo attraverso processi democratici». L’esatto contrario di quanto è avvenuto in Italia in materia di decisioni sanitarie, con decreti legge che ignoravano la volontà parlamentare. Lo scorso settembre, un’altra sentenza ribadiva il diritto al lavoro, indipendentemente dallo stato vaccinale. Il giudice della Corte suprema di Manhattan, Lyle E. Frank, ha stabilito che era illecito l’obbligo di vaccinazione per gli iscritti alla Police benevolent association (Pba), il più grande sindacato di polizia di New York. L’imposizione del vaccino, come nuova condizione di lavoro, infatti non era passata attraverso la contrattazione collettiva con la Pba, che rappresenta circa 24.000 membri del Nypd. Il 24 ottobre un altro giudice, Ralph J. Porzio, della Corte suprema di New York per la contea di Richmond sentenziò che l’obbligo di vaccinazione, imposto un anno prima ai lavoratori dei servizi igienico sanitari, era stato illegale per diversi motivi. Perché trattava in modo diverso persone che si trovavano in condizioni simili, perché influiva sui rapporti di lavoro e il commissario sanitario di New York non aveva l’autorità per apportare modifiche su tali rapporti, e perché l’obbligo modificava «unilateralmente e a tempo indeterminato i termini di quel rapporto». Con un potere che il dipartimento della salute di New York non poteva avere. Inoltre, il licenziamento dei dipendenti che non avevano rispettato l’obbligo, li aveva privati di pari protezione ai sensi della legge, mentre artisti e atleti avevano potuto continuare a lavorare pur non vaccinandosi contro il Covid. Il giudice, perciò, ha accolto la maggior parte delle argomentazioni degli ex dipendenti, imponendo che venissero reintegrati il 25 ottobre, percependo tutta la retribuzione interrotta con l’ingiusta cessazione del rapporto di lavoro.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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