- La Dusty ha lavorato due anni per lo smaltimento rifiuti a Messina senza essere pagata. 17 milioni di crediti non saldati l'hanno costretta a non versare i contributi ed è finita sull'orlo del fallimento. Ora un giudice ha cancellato i debiti tributari e l'ha salvata.
- Bene la pace fiscale, ma la compensazione con i crediti deve diventare automatica.
La Dusty ha lavorato due anni per lo smaltimento rifiuti a Messina senza essere pagata. 17 milioni di crediti non saldati l'hanno costretta a non versare i contributi ed è finita sull'orlo del fallimento. Ora un giudice ha cancellato i debiti tributari e l'ha salvata.Bene la pace fiscale, ma la compensazione con i crediti deve diventare automatica.Lo speciale contiene due articoli.Ha lavorato lo stesso, dal 2011, senza ottenere dall'Autorità d'ambito ottimale Messina 2, che si occupa dei servizi pubblici integrati nel settore dei rifiuti, uno straccio di pagamento. I 17 milioni di euro di crediti non pagati dallo Stato hanno portato l'azienda sull'orlo del fallimento e fatto rischiare il posto a circa mille dipendenti. Quello della Dusty, srl catanese da 35 anni leader del settore, è un caso emblematico, al pari della ormai nota vicenda di Sergio Bramini (della quale la Verità si è occupata in passato), anche lui impegnato nei servizi di igiene ambientale, che nonostante un credito di 4 milioni vantato nei confronti dello Stato, di fronte ai mancati pagamenti, è fallito. Ora c'è una sentenza storica del tribunale di Catania, che fa giustizia, e che salva in extremis la Dusty, subissata dai debiti tributari, che sarebbe stato logico compensare da subito con i crediti avanzati dallo Stato. E invece la Dusty ha dovuto combattere a colpi di carte bollate. Finché, finalmente, un magistrato è entrato nel merito della questione: il giudice Ivana Di Gesu, che ha disposto con un provvedimento d'urgenza la compensazione di 15 milioni di euro di crediti per il lavoro svolto nei 38 Comuni raggruppati dall'Ato Messina 2, salvando la Dusty e i suoi dipendenti. La situazione debitoria non era stata certificata per l'opposizione della Ragioneria dello Stato. E anche per questo passaggio, fondamentale per dimostrare in sede civile che effettivamente all'azienda spettavano quelle somme, l'amministratrice dell'azienda, Rossella De Geronimo, ha dovuto ingaggiare una battaglia legale, questa volta al Tar che, ovviamente, le ha dato ragione. «Esausta», spiega De Geronimo alla Verità, «sono riuscita a risolvere il contratto d'appalto per reiterato inadempimento contrattuale da parte del contraente». Se non ce l'avesse fatta avrebbe dovuto farsi carico della commessa fino alla fine. E senza un euro. «Siamo riusciti a fare fronte a tutti i debiti derivanti dal servizio», aggiunge, «eccezion fatta per quelli tributari». E infatti alla Ragioneria dello Stato sono arrivate le sferzate del giudice catanese, che nella premessa della sentenza dedica un capoverso «all'inerzia» di quegli uffici. E perfino quando il Tar ha disposto che «entro tre giorni» bisognava ottemperare alla «compensazione prima ingiustamente negata» si è tentato di giocare sulle parole, interpretando a piacimento quelle parole. Il giudice civile, quindi, si è visto costretto a osservare che «in effetti, il decreto del Tar, testualmente, non ordina all'amministrazione di provvedere alla compensazione, bensì di “esitare l'istanza di compensazione non oltre il termine di tre giorni"». Insomma, dallo Stato hanno cercato di arrampicarsi sugli specchi, pur di non azzerare quel debito con la Dusty. I legali dell'azienda, però, hanno affilato i coltelli e hanno cercato di provare davanti al giudice civile tutta una serie di violazioni: a partire dai «principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione», fino ad arrivare «all'eccesso di potere per travisamento dei fatti e irrazionalità evidente e manifesta». Perché nei confronti di un altra azienda, la Tirreno ambiente, invece, i crediti erano stati compensati. Il rischio corso dalla Dusty, espresso in modo evidente negli atti difensivi, era questo: «Qualora l'azienda non potesse contar sulla compensazione, ciò comporterebbe a cascata l'impossibilità di poter pagare la prima rata di rottamazione delle catelle esattoriali e, subito dopo, la decadenza della definizione agevolata». Il debito sarebbe quindi cresciuto fino a superare i 20 milioni di euro, con tutte le conseguenze connesse. E tra queste il rischio di non ottenere più dalle banche alcuna fidejussione. Sarebbe stato l'ultimo passo prima del fallimento. Ma lo Stato ci ha provato ancora: e si è opposto con un'argomentazione che avrebbe strappato un sorriso, amaro, anche ai non esperti di diritto, sostenendo «l'impossibilità della compensazione, stante che le società d'ambito non possono essere equiparate agli enti pubblici». Il motivo? «La mancata inclusione dell'Ato nell'elenco Istat di tutte le pubbliche amministrazioni». Il giudice di Catania, come era ovvio aspettarsi, ha liquidato la questione affermando che «quegli elenchi sono predisposti per altri fini». Per la toga non c'è dubbio che l'Ato svolga delle funzioni pubbliche a tutti gli effetti. Conclusione: «I crediti vantati nei loro confronti dalle imprese sono suscettibili di compensazione con i debiti iscritti al ruolo». L'ultimo aspetto sottolineato dal giudice è in punto di diritto e detta la strada alla corretta interpretazione della legge in materia che, si legge nell'ordinanza del Tribunale di Catania, «nasce dalla diffusa esigenza, vivamente avvertita da più parti, di porre rimedio in qualche modo alle gravi conseguenze per l'economia e lo sviluppo derivanti dal fenomeno, per cui le imprese spesso si trovano nell'anomala situazione di essere da un lato in credito, per rilevanti somme verso le pubbliche amministrazioni e, nel contempo, in debito nei confronti del fisco, con il rischio concreto di tracolli causati dagli endemici ritardi con i quali gli enti debitori talora provvedono a onorare i propri debiti». Ed ecco perché il legislatore ha previsto la possibilità di compensazione. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sentenza-pilota-su-chi-aspetta-soldi-dalla-pa-2622393092.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stato-ha-ancora-58-miliardi-di-debiti-e-pure-salvini-fa-le-promesse-di-renzi" data-post-id="2622393092" data-published-at="1764641304" data-use-pagination="False"> Lo Stato ha ancora 58 miliardi di debiti. E pure Salvini fa le promesse di Renzi Nel 2014 l'allora premier, Matteo Renzi, aveva promesso dal salotto di Bruno Vespa che sarebbe andato in pellegrinaggio da Firenze a Monte Senario se non avesse fatto saldare tutti i debiti della Pubblica amministrazione ai privati entro il 21 settembre successivo. La promessa non è stata mantenuta e il pellegrinaggio non è stato fatto. Anzi, negli anni successivi lo stock di debiti è salito. L'ultima fotografia del problema è arrivata da Banca Ifis prima di settembre, in occasione del Forum Pa a Roma. «Migliorano i tempi di pagamento della Pubblica amministrazione, nel 2017, che restano tuttavia superiori a quelli stabiliti dalla legge e si riduce l'ammontare dei debiti in ritardo da 33 a 31 miliardi di euro sul totale dei 58 miliardi di debiti commerciali della Pa», spiegava l'analisi. Ma al di là delle tempistiche, la massa resta sostanziale e sarebbe il caso che il governo gialloblù aprisse un cantiere risolutivo. Domenica il vice premier, Matteo Salvini ha dichiarato: «Entro l'anno una buona parte dei debiti che gli enti locali hanno con gli imprenditori verranno pagati». Non solo ha anche aggiunto che «Entro quest'anno verrà rivisto il codice degli appalti. Perché per decine di imprenditore prima della tassazione bisogna tagliare la burocrazia». Non ha promesso alcun pellegrinaggio. Perché il rischio di fallire la promessa è elevato. La massa di circa 58 miliardi è ovviamente scomputata dal debito pubblico e ciò permette allo Stato di abusare delle aziende. Abbiamo apprezzato gli interventi di rottamazione delle cartelle e pure quelli a saldo e starlcio perché è giusto intervenire a favore di chi non è riuscito ad adempiere per motivi economici alle numerose voci fiscali e contributivi. Vedi il caso della Dusty raccontato qui sotto. È però inammissibile che un'azienda debba lottare con lo Stato per farsi riconoscere un credito che le avrebbe consentito di pagare stipendi, contributi e magari fare pure utile e quindi versare più tasse. È bene occuparsi delle situazioni eccezionali, ma per una volta lo Stato dovrebbe occuparsi di quelle ordinarie. La prima è il pagamento delle fatture nei tempi stabiliti dalle stesse leggi del Parlamento. I 30 giorni fissati dall'Aula sono letteralmente una presa in giro. Perché valgono solo per alcune regioni italiane. Le altre non rispettano gli obblighi, e usano le aziende come bancomat. Di conseguenza, i prezzi dei prodotti dei servizi crescono o addirittura lievitano. Alcune Asl del Sud pagano a 300 giorni, e chiaramente il prezzo di una siringa - se spalmato di un anno - deve includere gli interessi e gli oneri finanziari passivi. Un circolo vizioso che potrebbe essere evitato se lo Stato non si considerasse super partes. Salvini promette una tranche di pagamenti. Quanti miliardi? Con che soldi? Eppure il tema è fondamentale. La liquidità è fondamentale per tenere in piedi un'economia indebitata come quella italiana. Astaldi, Condotte, Trevi sono tre colossi delle costruzioni. Hanno 4 miliardi di debiti verso le banche e verso il mercato dei bond. Ma hanno anche 2 miliardi circa di crediti per le opere pubbliche. Con quella liquidità non sarebbero state costrette a ricorre ai tribunali fallimentari o ai concordati in bianco. Il governo gialloblù dovrebbe anche tenere presente che, finché lo Stato è debitore, non dovrebbe esigere nulla dalle aziende che sta mettendo in ginocchio. La compensazione dei crediti con i debiti non potrebbe divenire automatica?
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Fu il primo azzurro a conquistare uno Slam, al Roland Garros del 1959. Poi nel 1976, da capitano non giocatore, guidò il team con Bertolucci e Panatta che ci regalò la Davis. Il babbo era in prigionia a Tunisi, ma aveva un campo: da bimbo scoprì così il gioco.
La leggenda dei gesti bianchi. Il patriarca del tennis. Il primo italiano a vincere uno slam, il Roland Garros di Parigi nel 1959, bissato l’anno dopo. Se n’è andato con il suo carisma, la sua ironia e la sua autostima Nicola Pietrangeli: aveva 92 anni. Da capitano non giocatore guidò la spedizione in Cile di Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli che nel 1976 ci regalò la prima storica Coppa Davis. Oltre a Parigi, vinse due volte gli Internazionali di Roma e tre volte il torneo di Montecarlo. In totale, conquistò 67 titoli, issandosi al terzo posto della classifica mondiale (all’epoca i calcoli erano piuttosto artigianali). Nessuno potrà togliergli il record di partecipazioni (164, tra singolo e doppio) e vittorie (120) in Coppa Davis perché oggi si disputano molti meno match.
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Il presidente Gianni Tessari: «Abbiamo creato una nuova Doc per valorizzare meglio il territorio. Avremo due etichette, una per i vini rifermentati in autoclave e l’altra per quelli prodotti con metodo classico».
Si è tenuto la settimana scorsa all’Hotel Crowne Plaza di Verona Durello & Friends, la manifestazione, giunta alla sua 23esima edizione, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Lessini Durello, nato giusto 25 anni fa, nel novembre del 2000, per valorizzare le denominazioni da esso gestite insieme con altri vini amici. L’area di pertinenza del Consorzio è di circa 600 ettari, vitati a uva Durella, distribuiti sulla fascia pedemontana dei suggestivi monti della Lessinia, tra Verona e Vicenza, in Veneto; attualmente, le aziende associate al Consorzio di tutela sono 34.
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)
Un mio profilo è stato cancellato quando ho pubblicato dati sanitari sulle pratiche omoerotiche. Un altro è stato bloccato in pandemia e poi eliminato su richiesta dei pro Pal. Ne ho aperto un terzo: parlerò dei miei libri. E, tramite loro, dell’attualità.
Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi. Facebook è gratis, come Greta è pro Lgbt, pro vax, anzi anti no vax, e pro Pal. Se sgarri, ti abbatte. Il mio primo profilo Facebook con centinaia di migliaia di follower è stato cancellato qualche anno fa, da un giorno all’altro: avevo riportato le statistiche sanitarie delle persone a comportamento omoerotico, erroneamente chiamate omosessuali (la sessualità è una funzione biologica possibile solo tra un maschio e una femmina). In particolare avevo riportato le statistiche sanitarie dei maschi cosiddetti «passivi».






