2024-05-15
La Segre denuncia l’odio verso Israele. E la sinistra va in cortocircuito
La senatrice preoccupata dall’aumento di atti antisemiti spiazza i media progressisti. Poi critica il premierato: «È allarmante».Quando la cosiddetta Commissione Segre - che in realtà si chiama Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza - fu ideata nel 2019, tutto era molto più semplice, non ci si poteva sbagliare. L’emergenza fascismo, all’epoca, dominava la scena. Si iniziò a discutere del numero impressionante di insulti che, secondo il report di una associazione, Liliana Segre riceveva sui social. Certo, si scoprì anche che la Segre sui social non aveva profili e dunque degli attacchi manco si rendeva conto, ma la fibrillazione sulla epidemia di odio non accennò a fermarsi. Anzi, la commissione Segre fu approvata e messa in funzione, e fu brandita come un maglio nel dibattito politico e mediatico contro destrorsi, sovranisti, populisti e complottisti veri e soprattutto presunti. A tutti costoro fu caricato sulle spalle lo sfiancante peso dell’antisemitismo crescente, carico tra i più infamanti a disposizione. Ebbene, ora a quanto pare ci risiamo. Lunedì la senatrice Segre ha partecipato a un convegno presso la Fondazione Memoriale della Shoah organizzato dall’Oscad (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori) in collaborazione con la questura di Milano e ha spiegato che l’antisemitismo è ancora e più che mai in crescita. Dal 7 ottobre, ha dichiarato, si sarebbe sviluppata «una ondata spaventosa di odio e antisemitismo che non mi aspettavo. Gli ebrei italiani non c’entrano nulla con le decisioni politiche di Israele, possono non condividerle, possono anche non essere mai stati in Israele eppure veniamo accusati di tutto quello che noi per primi non vorremmo vedere».Tale impennata di odio sembra che risulti anche al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: «Nella discussione pubblica c’è una certa sottovalutazione. Ma dal 7 ottobre abbiamo avuto il 1.000% di aumento di segnalazioni di sentimenti d’odio. Abbiamo alzato le barriere, ma il sentimento di antisemitismo può alimentare forme di terrorismo». Come spesso accade in questi frangenti i principali quotidiani hanno ripreso con allarme la notizia, e rilanciato la denuncia della Segre e le sue parole coraggiose (di sicuro, con quello che ha passato e con la tempra che dimostra, non permette a nessuno di impedirle di uscire di casa). E hanno rilanciato pure, poco dopo, le frasi della senatrice a vita sul premierato, da lei giudicato «allarmante» (e non è difficile scorgere in questo allarme un riferimento nemmeno troppo velato al Ventennio). Stavolta però c’è qualcosa di diverso rispetto agli allarmi passati in cui fascismo e antisemitismo si intrecciavano e confondevano. Il quadro appare più confuso, negli articoli dei giornali i riferimenti agli odiatori sono più vaghi, più sfumati. Si dice che aumenta l’antisemitismo, che sarebbe cresciuto esponenzialmente dopo il 7 ottobre, ma non si dice bene chi sarebbero i nuovi antisemiti. Il punto è che adesso dare la colpa a neonazisti e complottisti appare un filino più complesso. La tesi, non esplicitata fino in fondo, è che l’odio antiebraico cresca in parallelo all’esplosione delle manifestazioni contro Israele. Se si volesse allora puntare il dito contro i nuovi antisemiti, bisognerebbe prendersela (anche) con gli studenti, con le associazioni musulmane, con molti pacifisti. Attenzione, non stiamo affatto sostenendo che tutti questi movimenti siano davvero antisemiti: stiamo semplicemente applicando lo stesso metodo (piuttosto sommario e spesso mistificatorio) utilizzato anni fa per attaccare populisti e sovranisti. Ebbene, se si dovesse applicare quel metodo compiutamente, si dovrebbe mettere nel mirino e trattare da odiatori una bella fetta dei movimenti pro Palestina e dei critici della risposta israeliana. In effetti, esiste una minoranza di commentatori e politici che questa accusa ai pro Pal la muove, ma è guardata sempre con un certo sospetto e considerata estremista e reazionaria. La spaventosa contraddizione sta tutta qui. Di frequente l’accusa di antisemitismo, essendo particolarmente atroce e infamante, viene utilizzata per demonizzare, screditare e vilipendere il nemico politico. E infatti è stata ripetutamente utilizzata contro i movimenti identitari e destrorsi per alimentare diffidenza o timore nei loro confronti da parte dell’opinione pubblica. Talvolta questa accusa viene mossa anche ai contestatori che marciano sotto il vessillo palestinese, ma in questo caso la sinistra si trova in terribile imbarazzo. Pur non condividendo la causa degli antagonisti, deve comunque mostrare di essere comprensiva, tollerante e ospitale nei loro confronti. E perché deve? Semplice: perché fingere vicinanza permette ai sinceri democratici di dichiararsi indignati per le manganellate ai cortei. Prendendo (falsamente) le parti di manifestanti e studenti, i progressisti possono continuare a stigmatizzare il «governo fascista» che «reprime il dissenso» e usa le botte. Purtroppo questo giochino finisce nel momento in cui bisogna conciliare le due strategie diffamatorie. Poiché sovrapporre antisemitismo e fascistume di governo non è possibile, allora si crea il cortocircuito. Si grida al ritorno dell’antisemitismo ma non si riesce a individuare un colpevole chiaro. E, soprattutto, non si trova un colpevole utile. Se gli antisemiti sono così tanti e pericolosi e vanno repressi (come la sinistra sosteneva anni fa), allora sono giuste le manganellate, no? Se invece la repressione è sbagliata, a logica significa che l’allarme non è pressante oggi e non lo era nemmeno ai tempi della prima Commissione Segre. È davvero un bel pasticcio, lo comprendiamo: come possono i dem difendere i (presunti) antisemiti di cui un tempo chiedevano la testa? Forse una via di uscita c’è: bisognerebbe che i pro Palestina si mettessero a leggere Kant come gli ucraini del battaglione Azov, e a quel punto tutto sarebbe perdonato.