2021-12-09
Se vogliamo uscirne va infranto un tabù: un certo numero di infetti è inevitabile
L’utopia dei contagi zero è dannosa: serve un cambio di metodo e nuove terapie (che già esistono) da affiancare ai vaccini.saranno in arancione. Poiché il vaccino obbligatorio impiegherebbe troppo tempo a dispiegare i suoi effetti, l’unica via sarebbe quella di tornare a divieti generalizzati e chiusure di alcune attività». Uno scenario «doloroso che Draghi vuole evitare, ma che non si può escludere», veniva aggiunto. Di certo, altre restrizioni sancirebbero il fallimento di green pass e super green pass. Lo «scenario doloroso» richiede, comunque, una riflessione senza sfumature ideologiche, né di tifoseria, né tanto meno per offrire una sponda ai no vax. Il punto è questo: il vaccino non è una cura, è una prevenzione. Se c’è in corso una recrudescenza epidemica, per altro dopo due anni dall’inizio della pandemia, non è opportuno continuare a ripetere agli italiani il mantra «vaccinatevi tutti, così passa». Tanto meno far credere loro che il green pass sia una misura con cui «possono continuare a divertirsi, ad andare al ristorante e a spettacoli all’aperto e al chiuso, con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose» (testuali parole di Mario Draghi nella conferenza stampa del 22 luglio). No. Perché, se il problema da risolvere è come evitare i contagi in una stagione fredda come quella in cui siamo appena entrati, va ricordato anche che il vaccino – qualsiasi vaccino, non solo quelli per il Covid - non è una medicina, ma insegna al corpo come reagire nei confronti di un certo virus. Non funziona come un’aspirina. Anche la strategia del chiudere tutto per un certo periodo di tempo non ha senso, soprattutto nella stagione invernale. Sembra sia ormai diventato un tabù ammettere che un certo numero di contagi è inevitabile, l’importante è non far finire sotto stress le strutture sanitarie. Ma soprattutto nessuno - al ministero della Salute o al Cts – si è preso finora la responsabilità di fissare dei parametri, dei target sia in termini di soglie di vaccinati da raggiungere sia in termini di soglia massima tollerabile di contagi. Abbiamo piuttosto assistito a una sorta di whatever it takes pandemico che ha adottato le misure senza né valutare il rapporto costi-benefici, né fissare indicatori di risultato. Invece di postare sui social selfie abbracciati senza mascherina «perché tanto siamo vaccinati» (ricordate lo scatto del duo Burioni-Zangrillo?), invece di smantellare gli hub per poi essere costretti a riaprirli in fretta ingolfando le prenotazioni delle terze dosi, invece di annunciare immunità di gregge mai raggiunte, alzando continuamente l’asticella e aumentando al contempo la platea da vaccinare o ri-vaccinare (prima dopo 6 mesi e poi dopo 5), sarebbe stato più opportuno dopo due anni di Covid cominciare a cambiare il metodo con cui sono fatte, se vengono fatte, le valutazioni ex ante del governo. Non mettendo solo una pezza ex post per giustificare una certa scelta né continuando a usare i no vax (e ora anche i «no booster») come capri espiatori, ma documentando l’iter seguito per arrivare alla strategia adottata. L’obiettivo è il 100% di vaccinati? Quale è la soglia di rischio, anche dal punto di vista epidemiologico, che siamo disposti a correre? Qual è il punto oltre il quale le misure possono essere ritirate perché non sono più necessarie? Lo dicano con chiarezza. Anche perché c’è un aspetto assolutamente da non sottovalutare: quando le persone capiranno che quello cui si sono aggrappate psicologicamente in questi mesi (col vaccino «siamo salvi» e si sta «dentro» la società) è un castello di carta, aumenterà il disagio sociale già alimentato dalla polarizzazione del dibattito tra buoni e cattivi, tra vaccinati e «untori». Non solo. Somministrare il vaccino al maggior numero di italiani non significa aver finito il lavoro o aver vinto la battaglia. L’alternativa non può continuare a essere: evita di contagiarti con la puntura o altrimenti finisci a occupare le terapie intensive. L’alternativa è una maggiore e più efficiente sorveglianza epidemiologica rispetto al passato. Ma anche l’investimento (e poi la prescrizione) nei cosiddetti treatment (alcuni già al vaglio dell’Ema, altri già approvati) su cui stanno scommettendo le case farmaceutiche come le nuove pillole antivirali di Pfizer e di Merck da somministrare anche in ambiente non ospedaliero, ai soggetti sintomatici. Evita di ammalarti gravemente, vaccinandoti. Ma se ti ammali, quali cure possono aiutarti? Gli attuali approcci generalmente si concentrano sugli antivirali, che impediscono al virus di moltiplicarsi, e sugli immunomodulatori, che aiutano il sistema immunitario a combattere il virus o a impedire che reagisca in modo eccessivo in modo pericoloso. Alcune potenziali terapie agiscono in modo diverso o attraverso meccanismi multipli. Poi ci sono gli anticorpi sintetici, che suppliscono a quelli che l’organismo non produce abbastanza. Ma tutte funzionano in un approccio integrato con il vaccino. Il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù, in audizione al Senato ha annunciato nuovi monoclonali diretti contro la proteina S, la stessa utilizzata per indurre risposta anticorpale con i vaccini, e in grado di neutralizzare con altissima efficacia il virus, bloccando l'infezione e non solo la malattia. «Quando è partito il ricorso a questo tipo di anticorpi, a febbraio 2021, l’impiego era stato limitato da inadeguatezza logistica, perché richiedono infusione endovena per un’ora e osservazione per un’ora e questo avviene quasi sempre in regime ospedaliero», ha spiegato Palù. Ma ora abbiamo monoclonali somministrabili per via sottocutanea o intramuscolare «e in questo caso si potrà intervenire a casa del paziente, senza intasare ospedali e pronto soccorso». La vera sfida sarà superare finalmente quell’approccio fideistico, e in ultima analisi improvvisato, che ha contraddistinto finora gran parte della battaglia contro il Covid.