
Accennare un motivetto è ginnastica per polmoni e diaframma. Innalza le endorfine, rinforza le difese immunitarie, mitiga l'ansia e fa aumentare l'autostima. Anche se siamo stonati.«Canta che ti passa» non è solo l'invito che Matteo Salvini ha sarcasticamente rivolto a Claudio Baglioni dopo il suo inopportuno endorsement all'immigrazione incontrollata, ma anche un suggerimento colmo di verità, saggezza e pure storia. Pare, infatti, che l'invito a cantare per far passare la paura sia stato anche inciso in una trincea da un soldato della prima guerra mondiale. Lo scrittore Piero Jahier la utilizzò come epigrafe alla raccolta Canti del soldato: nella prefazione spiegò che si trattava del «buon consiglio che un fante compagno aveva graffiato nella parete della dolina: canta che ti passa». «singing in the rain»L'idea che il canto possa sciogliere preoccupazioni e lenire timori non attiene soltanto a emergenze esistenziali come ritrovarsi a combattere in una guerra. Il canto svolge una funzione terapeutica di cui si era consapevoli già nell'antichità: se la mitologia greca ci ha regalato la figura del cantore Orfeo che animava elementi naturali e placava bestie irose con la lira e il canto, anche Francesco Petrarca scrisse, nel suo Canzoniere, «perché cantando il duol si disacerba». E per planare nella postmodernità, che ci fa fruire delle canzoni come se fossero la nuova letteratura e poesia, sono tanti i brani che celebrano l'atto del cantare come foriero di allegria e serenità. C'è quella bella dichiarazione, «Io canto / è primavera e canto / voglio cantare!» di Riccardo Cocciante nella canzone Io canto. C'è la deliziosa Singing in the rain, nella quale Gene Kelly oppone all'umido grigiore della pioggia l'azione benefica del cantare: «I'm singin' in the rain / just singin' in the rain / what a glorious feeling / I'm happy again / I'm laughin' at clouds / so dark up above / the sun's in my heart» («Sto cantando sotto la pioggia / proprio cantando sotto la pioggia / che sensazione gloriosa / sono felice di nuovo / rido alle nuvole / è così scuro sopra / il sole è nel mio cuore»). C'è Sing for the moment di Eminem, un'appassionata riflessione sul rap e sull'effetto catartico e quindi benefico per quei suoi ascoltatori che non avrebbero molto per cui essere allegri: «That's why we sing for these kids, who don't have a thing / except for a dream, and a fuckin' rap magazine / [...] or for anyone who's ever been through shit in their lives / till they sit and they cry at night wishin' they'd die / till they throw on a rap record and they sit and they vibe» («Ecco perché cantiamo per questi ragazzi, che non hanno niente / eccetto un sogno, e una fottuta rivista rap / [...] o per chiunque altro che sia mai passato attraverso casini nella sua vita / perciò si siedono e piangono di notte augurandosi di morire / finché non mettono su un disco rap e si siedono e vibrano»). Il brano ha come ritornello quello di Dream on - altrettanto intensa ballata sul tempo, brutto e bello, della vita - degli Aerosmith, che dice «Sing with me, sing for the year / sing for the laughter, sing for the tears / sing with me, just for today / maybe tomorrow the Lord will take away» («Canta con me, canta per gli anni / canta per le risa, canta per le lacrime / canta con me, solo per oggi / forse domani il Signore ti porterà via»). C'è poi la dolcissima canzone popolare messicana Cielito lindo, che, ancora, «intima»: «¡Ay! ¡ay! ¡ay! ¡ay!, / ¡canta y no llores! / Porque cantando se alegran, cielito lindo, los corazones» («Ahi ahi ahi ahi / canta e non piangere! / Perché cantando si rallegrano, cielito lindo, i cuori»). Proprio domani e dopodomani (soltanto), sarà visibile nei cinema italiani una versione karaoke del film di Bryan Singer, Bohemian Rapsody dedicato alla storia dei Queen e del suo leader Freddie Mercury. È una release «sing along» che prevede l'illuminazione progressiva dei versi delle canzoni sulla fascia bassa dello schermo, esattamente come un video karaoke, perché gli spettatori possano cantarle insieme con il Freddie dello schermo.un diritto di tutti Può sembrare «un'americanata», ma non lo è. Se da una parte l'ad di 20th Century Fox Italia, Paul Zonderland, ha dichiarato di aver voluto dare al pubblico un valore aggiunto con la possibilità di cantare in sala e in compagnia brani che sono parte della cultura pop, dall'altra permettere che persone che non possono di certo eguagliare l'eccezionale ugola di Mercury cantino «insieme a lui» vuol dire anche far passare il messaggio che tutti possono e devono cantare. Non si canta solo per talento e professione. Si canta perché è farlo è bello e tutti abbiamo diritto di farlo. È questo che i music talent show basati sulla competizione ci hanno fatto dimenticare (con l'aiuto della digitalizzazione musicale che ci ha allontanato dalla concretezza della musica - dischi, ma anche concerti pop e rock dove cantare a squarciagola per accompagnare il proprio idolo). Si canta, ricordiamocelo, innanzitutto per il gusto di cantare. Un tempo, anche andare in chiesa la domenica portava nella propria vita una cantata sicura a settimana. E forse, anche per questo vuoto del rituale religioso del cantare collettivo ha avuto (e ne ha sempre di più) successo il karaoke. Tanti cantano ascoltando la radio o i propri lettori mp3, mentre viaggiano in auto oppure in casa. Tanti cantano sotto la doccia: indimenticabile, a proposito, la scena del film comico Borotalco, nella quale Carlo Verdone, nei panni di Sergio Benvenuti che si finge Manuel Fantoni, chiude a chiave l'amica hostess americana del vero Manuel che sta facendo la doccia cantando come una Liza Minnelli nera e poi mette su della musica a tutto volume nel tentativo, vano, di evitare che Eleonora Giorgi, nei panni di Nadia Vandelli, che sta arrivando per un tête-à- tête che finirà comunque in catastrofe, si accorga di quella presenza femminile. Va bene qualunque situazione, va bene da soli e in compagnia. Perché cantare fa bene.il toccasanaVediamo perché cantare fa bene alla salute. Innanzitutto, cantare fa lavorare i polmoni, tonifica il diaframma e i muscoli intercostali, risultando una vera e propria ginnastica per la respirazione (c'è chi, a furia di cantare, smette di russare). I respiri ben profondi che sono necessari per cantare aumentano l'ossigenazione del sangue e, per questo motivo, il canto fa bene anche al cuore: è una specie di attività aerobica che ha anche l'effetto di diminuire la tensione muscolare. Cantare dilata i vasi sanguigni, permettendo al sangue di circolare in modo più fluido e, indirettamente, previene ictus e infarti. Cantare fa esercitare anche i muscoli facciali, impone una postura migliore e sembrerebbe, grazie all'aumento dei livelli di endorfina e di serotonina, rinforzare il sistema immunitario e mitigare l'ansia. L'impatto sui muscoli facciali (la riattivazione come il loro rilassamento) non è per nulla da sottovalutare. Alcuni pazienti con morbo di Parkinson che presentavano anche la cosiddetta sindrome della maschera o poker face, un irrigidimento dei muscoli facciali dovuto alla patologia che man mano porta e perdere la naturale espressività del viso cristallizzandolo nella fissità, sono stati sottoposti a sezioni di canto corale dallo Science of Music, Auditory Research and Technology Smart Lab della Ryerson University di Toronto, in collaborazione con la Royal Conservatory of Music: ebbene, la mimica facciale veniva riacquistata e l'effetto durava fino a due mesi. Uno studio dell'università della città svedese di Göteborg ha paragonato i benefici neurologici del canto a quelli dello yoga. Il gruppo scientifico ha analizzato un gruppo di giovani coristi e ha evinto innanzitutto che i battiti dei loro cuori si sincronizzavano già dopo poche note di canto corale. Poi, compariva l'effetto calmante: «Il canto è una forma di respirazione controllata, che, in sostanza, come lo yoga, insegna ai polmoni a respirare meglio», ha spiegato il responsabile dello studio, il professor Bjorn Vichoff. Altri effetti sulla salute fisica sono davvero sorprendenti. Le aree cerebrali che riguardano l'articolazione del linguaggio e quella del canto sono diverse. Uno studio dell'Università del West of England di Bristol ha dimostrato che pazienti divenuti afasici dopo comparsa di ictus o morbo di Parkinson, pur non parlando più bene, riuscivano però a cantare (e questo migliorava loro l'umore e diminuiva la sensazione di isolamento dovuta ai problemi comunicativi). Cantare tutela anche l'udito: dopo qualche mese di canto, soggetti con perdita dell'udito miglioravano la capacità di distinguere un dialogo in un ambiente rumoroso. Importanti sono anche gli aspetti psicologi: cantare aumenta l'autostima e la scioltezza; secondo alcuni, può rappresentare una catarsi con effetti di ripresa anche dopo un trauma emotivo come un lutto, la fine di una storia d'amore importante e altre tipologie di eventi che tendono a deprimere, e quindi a zittire e far chiudere in sé stesso l'individuo. È curioso come benefici psicologici del cantare si manifestino per ragioni opposte se si canta in gruppo o da soli. l'io e il noiCantare in gruppo o in un gruppo organizzato come il coro impone un canto, appunto, corale. L'io è, in un certo senso, cancellato e ci si percepisce come parte di un io collettivo. Non a caso si cantano tutti insieme gli inni nazionali oppure le canzoni del cantante preferito al suo concerto. Questo «liquefare» sé stessi nella magia di un raggruppamento, legato emotivamente dall'amore per ciò che sta cantando, stimola un sentimento di appartenenza sociale e, nel caso in cui si tenda ad essere troppo centrati su sé stessi, insegna la mediazione tra sé e gli altri. Allo stesso modo, cantare da soli, davanti a un pubblico ma anche soltanto davanti allo specchio, fa bene, proprio perché rafforza l'io. Nel bel saggio di Craig Malkin, Che c'è di male nel sentirsi speciali? Trasformare il narcisismo in un vantaggio per sé e per gli altri, Malkin propone una visione più complessa del cliché che vuole il narcisista esclusivamente un insopportabile egotico. Se da una parte Malkin spiega come relazionarsi ai narcisisti veri e propri, che di fatto appartengono a quella categoria e come mitigarne l'arroganza e la vanità, dall'altra invita a concepire e sviluppare un narcisismo salutare in chi, invece, soffre di insicurezze e bassa autostima. Come sapete, il termine narcisismo deriva dal mito greco di Narciso. Nella versione del mito narrata da Ovidio nelle Metamorfosi, Narciso vivrà fino a tarda età soltanto se riuscirà a non guardare in volto sé stesso. Da - bellissimo - adolescente respinge chiunque si innamori di lui. Tra le sue rifiutate c'è la ninfa Eco che si consuma letteralmente per il dolore e di lei resta soltanto la voce condannata a essere riflesso di voci altrui, mera eco, appunto. La dea Nemesi condanna Narciso a innamorarsi di sé stesso vedendosi riflesso in uno specchio d'acqua: la profezia si avvera e Narciso muore così. Scrive Malkin: «Pensate quanto sarebbe stata diversa la vita di Eco se si fosse fermata a guardare il proprio riflesso nello stagno incantato, avesse provato un po' di piacere davanti alla propria immagine e avesse deciso di tuffarsi e riemergere, sentendosi rinvigorita dal viaggio in sé stessa. Forse avrebbe potuto spezzare l'incantesimo e ritrovare la propria voce». E quale modo migliore c'è di ritrovarla se non cantando, soprattutto se si è estremamente timidi?Tra gli aspetti psicologici positivi del canto, uno dei più affascinanti è che decidere di misurarsi con il canto sospendendo il giudizio sul proprio talento aiuta a farlo anche in altri ambiti della vita. Quelle sull'intonazione sono preoccupazioni che lo psicologo Giulio Cesare Giacobbe, autore dei best seller Come smettere di farsi seghe mentali e godersi la vita e La paura è una sega mentale, definirebbe appunto «seghe mentali. «Chi canta prega due volte», affermò Sant'Agostino. E Rumi, teologo musulmano sunnita, fondatore della confraternita sufi dei «dervisci rotanti» e il più importante poeta mistico persiano, scrisse: «Io voglio cantare come cantano gli uccelli, senza preoccuparmi di chi ascolta o di cosa pensi». Date retta a entrambi e iniziate a cantare, quello che vi pare, come vi pare. Per noi, parafrasando la formula di giudizio di X Factor, sarà sempre un sì.
L' Altro Picasso, allestimento della mostra, Aosta. Ph: S. Venturini
Al Museo Archeologico Regionale di Aosta una mostra (sino al 19 ottobre 2025) che ripercorre la vita e le opere di Pablo Picasso svelando le profonde influenze che ebbero sulla sua arte le sue origini e le tradizioni familiari. Un’esposizione affascinante, fra ceramiche, incisioni, design scenografico e le varie tecniche artistiche utilizzate dall’inarrivabile genio spagnolo.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.