2019-01-05
Occuparsi degli italiani è diventato fascismo
È bastato che due poliziotti bussassero alla porta del municipio di Palermo, informandosi su quel che succede nell'ufficio anagrafe del capoluogo siciliano quando un richiedente asilo domanda la residenza, e i soliti noti hanno iniziato a evocare il fascismo. Manco a dirlo, il nuovo duce sarebbe Matteo Salvini, reo di aver imposto una legge che tutela gli italiani, evitando che quelli più poveri siano scavalcati nelle liste per l'assegnazione delle case popolari dagli ultimi arrivati. Ossia da migranti i quali, ancor prima di essersi visto riconosciuto lo status di profughi, grazie alla residenza acquisiscono i diritti all'alloggio e ai sussidi per pagare bollette e affitto. Impedire che migliaia di extracomunitari privi del permesso di soggiorno (...)(...) vengano iscritti all'anagrafe è, secondo i nuovi resistenti, un atto disumano, anzi fascista, cui bisogna opporre una rivolta democratica. Contro il decreto voluto dal ministro dell'Interno, così, c'è chi accosta la mancata reazione degli italiani a quella dei tedeschi che, negli anni Quaranta, vedevano uscire il fumo dei forni crematori (copyright by Massimo Cacciari, su Repubblica) e chi addirittura sollecita il ritorno alla lotta armata (copyright by Alfredo Cospito, anarchico condannato a 9 anni per avere sparato nel 2012 a un manager dell'Ansaldo, sul Corriere). Il più tenero alla fine risulta Roberto Saviano, il quale non sapendo ormai più di che parlare e soprattutto di che cosa scrivere, passa il tempo a occuparsi solo di Salvini, al quale ieri ha dato del pagliaccio.In questo clima ovviamente ne approfittano alcuni sindaci a fine corsa, i quali non vedono l'ora di fare carriera altrove, ossia lontano dai municipi in cui sono confinati e affondati. Uno di questi, Luigi De Magistris, incapace di risolvere i guai di Napoli ha deciso di andare a cercarsene altri direttamente in mare. In una lettera annuncia di voler raggiungere le navi con a bordo i profughi per traghettarli direttamente nel porto della città campana. Il più agitato sul fronte migratorio è però Leoluca Orlando, un vecchio arnese che ha bazzicato negli ultimi quarant'anni una mezza dozzina di partiti, riuscendo sempre a mollarli un attimo prima che venissero travolti. Ora si candida a costruire un fronte anti populista e per farlo ha appunto deciso di cavalcare l'onda contro Salvini. «Non applicherò il decreto sicurezza», ha giurato a reti e giornali unificati. In cambio ha ricevuto subito il plauso di una serie di politici bipartisan come Maurizio Martina, Giuliano Pisapia, Gianfranco Micciché e Antonio Tajani, al momento tutti specialisti in cause perse. A 71 anni, dopo aver rilasciato interviste a 39 organi di informazione di cui 12 stranieri, Orlando si sente già leader, proiettato verso un futuro nazionale, anzi internazionale. «Mi offrono la candidatura all'Europarlamento da Francia e Germania, ma io voglio concludere la missione da sindaco», ha dichiarato a ognuno dei 39 cronisti che hanno avuto il gravoso incarico di interpellarlo dopo la ribellione anti Salvini.In realtà l'uomo per cui Leonardo Sciascia trent'anni fa coniò la splendida definizione di professionista dell'antimafia tutto vuole tranne che concludere la missione da sindaco. Per lui candidarsi a Palermo fu un ripiego, un modo per sottrarsi al tracollo dell'Italia dei valori, di cui era stato portavoce. Ma certo la sua smisurata ambizione non può essere contenuta dentro Palazzo delle Aquile. Oggi, poi, rimanere alla guida della città significherebbe confrontarsi con il proprio fallimento, un disastro che Antonio Condorelli , nel reportage dal capoluogo siciliano che pubblichiamo oggi,racconta nei particolari. I tagli all'istruzione e ai servizi, le buche nelle strade, le case occupate, l'immondizia che trabocca dai cassonetti invadendo interi quartieri, le centinaia di salme che attendono la sepoltura, i poveri che aumentano. Tutti problemi troppo grandi e troppo impegnativi per un tipo come Orlando, il quale invece di occuparsi di inumare i defunti preferisce occuparsi di animare i migranti. Da professionista dell'antimafia a professionista dell'accoglienza.Per capire le ragioni di questa sua giravolta però bisogna rileggere ciò che scrisse Sciascia nel gennaio del 1987 sulla prima pagina del Corriere della Sera: «Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi - in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei - come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall'acqua che manca all'immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un'azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno».Da quest'articolo sono trascorsi 32 anni ma il Gattopardo non è cambiato. Del resto, Tomasi di Lampedusa a Tancredi fa dire: «Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi». Dunque, basta con la lotta alla mafia e sotto con quella a Salvini. Ps. Rovesciando le parole di Tancredi, però, se vogliamo che tutto cambi, liberiamoci dei Gattopardi.