2022-04-04
«Se non torneranno i turisti dall’estero sarà ancora peggio»
Il direttore dell’ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella: «Dopo il boom del commercio online, una mazzata anche dal lavoro a casa».Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio, qual è il punto di partenza dell’analisi che avete effettuato?«È un’indagine che svolgiamo sulla base dei dati forniti dal Centro studi Tagliacarne delle Camere di commercio, attraverso la quale cerchiamo di vedere come si muove il commercio. Prendiamo in esame da anni una quindicina di settori per cercare di costruire una serie storica scevra da incursioni accidentali. Tra gli obiettivi, capire le differenze tra i centri storici in confronto alle periferie».E in quest’ultima edizione quali sono gli elementi di rilievo?«Senza dubbio il fatto che negli ultimi 10 anni sono spariti 85.000 negozi. Qualcuno parla di rischio desertificazione, noi preferiamo non lanciarci in grida di dolore e di allarme. Certo, è un tema che va attentamente monitorato, perché gli esercizi commerciali costituiscono un importante presidio».Sembra che in questo senso i centri storici stiano avendo la peggio.«Sì, nell’ultimo decennio i centri storici hanno perso un po’ di più, e maggiormente al Centro-Nord rispetto al Sud. Una differenza che va qualificata, perché una cosa è perdere un negozio nel centro storico, un’altra in periferia. Nel centro storico le perdite difficilmente si possono sanare, a seguito di una sostituzione con una superficie più grande. Sono chiusure che vanno “pesate”. Mi permetta però un’ulteriore precisazione».Certo. «Non è vero che i nostri centri storici non sono vitali, sono anzi vitalissimi. Ce ne accorgiamo se nel periodo esaminato prendiamo in considerazione le dinamiche dei negozi per tipologia dei prodotti. Le categorie che vendono beni essenziali - alimentari e tabaccherie - hanno perso pochissimo. Se prendiamo, invece, farmacie e negozi di telefonia assistiamo a crescite importanti. Segno che i trend settoriali condizionano inevitabilmente le dinamiche di aperture e chiusure. La farmacia, ad esempio, non è vista più solo come un negozio dove si comprano i medicinali, ma dove ci si prende cura di sé».Negli altri settori però si assiste a un vero tracollo…«Mobili, giocattoli, abbigliamento e calzature, carburante diminuiscono del 20% o anche più. Non va mai dimenticato che, sebbene il nostro Pil l’anno scorso sia cresciuto, i consumi non sono ancora tornati a livelli pre-pandemia. Anche se consideriamo la spesa dei turisti siamo lontani anni luce. Va considerato anche il commercio ambulante, che ha perso terreno a causa di un processo di razionalizzazione, e l’alloggio e la ristorazione, cresciuti moltissimo negli ultimi dieci anni ma vittime di una battuta d’arresto a causa della pandemia».Eppure sembrava che nei centri storici almeno il turismo stesse andando forte.«Fino al 2019 ci ponevamo una questione rilevante, ovvero se fosse possibile raggiungere un equilibrio tra la rarefazione dei negozi e l’aumento dell’offerta turistica. Per noi questa rappresentava già una questione foriera di dubbi, dal momento che l’offerta commerciale va sviluppata sia per i residenti che per i turisti. Dopo la pandemia, invece, abbiamo capito che se il nostro turismo non recupererà avremo centri storici sia con meno negozi sia con meno attività commerciali, e questo porrà un grosso problema».Sembra che il fattore sociale e demografico giochi un ruolo fondamentale.«In generale, già di per sé la conformazione fisica delle città tende a favorire un processo di spostamento fuori dal centro. La diffusione dello smart working, poi, potrebbe dare un nuovo impulso alla riduzione della popolazione nei centri storici. Meno occasioni di andare in centro e, non dimentichiamolo, case meno care in periferia».Quanto pesa il boom delle vendite in rete?«Il commercio online ha tolto un pezzo al commercio fisico, ma la situazione non è così grave come si tende a pensare. Anzi, questo canale sta aiutando molti piccoli negozi a innovare e ad ampliare il bacino di utenza. Anche il piccolo negozio del centro storico può avere la propria vetrina digitale. Un tema che la pandemia ha enfatizzato». In positivo o in negativo?«I dati diffusi dal Politecnico di Milano testimoniano che, rispetto al 2019, nel 2021 il commercio online su tutte le piattaforme è aumentato del 71%, mentre i servizi sono calati del 34%. Quando la situazione si normalizzerà, diciamo nel 2023, i beni continueranno a essere acquistati e i servizi torneranno al livello pre-pandemia e questo costituirà un ulteriore stress sui negozi fisici. Durante il lockdown le persone hanno capito che si possono far portare a casa anche il detersivo. Non c’è soluzione alternativa rispetto alla ricetta che i negozianti stanno già mettendo in atto: migliore organizzazione, aumento della produttività e azioni di marketing. Non c’è piano B, non serve lamentarsi. Occorre rendersi conto che serve un cambiamento culturale».Che contributo possono dare gli enti locali?«Possono aiutare, ma non modificare i trend. Pensiamo alla vicenda dei tavoli all’aperto durante questa pandemia: i Comuni si sono dimostrati validi interlocutori, ma ciò non toglie che servirebbero riflessioni diverse sulla desertificazione dei centri storici. Finora abbiamo pensato di difendere i negozi con battaglie di retroguardia, come quella dei vincoli all’apertura di grandi superfici. Ciò che proponiamo oggi è un modello diverso: se il numero dei negozi in centro scende oltre un certo limite, solo allora scatta un limite temporaneo alle nuove aperture di grandi superfici».Domanda secca: i negozi dei centri storici eviteranno il baratro?«Tutte le analisi mettono in evidenza un punto ineludibile: è solo la crescita del nostro sistema economico che potrà salvare il commercio italiano».