2024-12-12
Se il molestatore è del giro giusto le femministe perdono la parola
Leonardo Caffo (Imagoeconomica)
Dopo la condanna del filosofo Caffo, «scoperto» dalla Melandri e protetto da Chiara Valerio, le progressiste sempre pronte a denunciare il «patriarcato» sono rimaste in silenzio. L’amichettismo conta più degli ideali.La sua testa era lì, su un vassoio d’argento, servita pronta alle vestali della lotta al patriarcato tossico. Condannato in primo grado a quattro anni per maltrattamenti aggravati e lesioni gravi all’ex fidanzata e madre di sua figlia. Ma Leonardo Caffo, 36 anni, filosofo estetico di una sinistra eretica e animalier, cresciuta a pane e Thoreau, collaboratore dei giornali e delle riviste giuste, è stato risparmiato dai compagni e soprattutto dalle compagne. Silenzio totale sulla sentenza e si vorrebbe poter dire che siamo di fronte a una civilissima prova di garantismo. In realtà, è lecito immaginare che se Caffo fosse un filosofo di destra o cattolico sarebbe già stato crocefisso da tutto l’arcipelago femminista. Che però, in questo caso, si troverebbe anche a dover passare sopra l’immagine pubblica dell’amata Chiara Valerio, che aveva invitato Caffo a una fiera libraria nonostante il processo in corso. Dal punto di vista mediatico, martedì, c’è stata una evidente asimmetria informativa. L’ex fidanzata, pur senza nome e cognome, dopo la sentenza si è sfogata e ha parlato di «cultura permeata ancora di pregiudizi». Il riferimento è stato alla dolorosa sensazione di non essere creduta da tanti, perché donna e perché non famosa come l’ex compagno. Le sue parole sono quasi cadute nel vuoto e sono state praticamente cancellate dal contro-sfogo di Caffo, che con una formula efficace ha affermato di esser stato vittima di un meccanismo infernale: «colpirne uno per educarne mille». Il filosofo siciliano, del resto, i media li conosce bene e li sa usare, visto che nella sua carriera ha collaborato con testate importanti come La Lettura, Internazionale, La Sicilia, L’Espresso, Il Manifesto e il Corriere della Sera, oltre ad avere per anni un blog su The Huffington Post. Nel linguaggio in uso in alcuni ambienti più alla moda, l’ex compagna di Caffo è stata «invisibilizzata», un trattamento che se applicato a una donna vittima di violenza la rende ancora più fragile e incapace di ottenere giustizia. Il problema è che se di «invisibilizzazione» si deve parlare, è un fenomeno di rimbalzo perché quello da cancellare oggi è Caffo. Non un vieto seguace di Ezra Pound o un simpatico bigottone alla Mario Adinolfi, ma un filosofo esperto di estetica, arte e moda, oltre che del pensiero libertario ed ecologista di Henry David Thoreau. Uno che ha già diretto un proprio programma su Radio 3 e che ha fatto l’opinionista per Tagadà, su La7. Tra l’altro, essendo anche un personaggio decisamente originale e che si presta alle imitazioni, se Caffo fosse un intellettuale di destra sarebbe presto oggetto di un monologo di Luciana Littizzetto. Invece è una vecchia scoperta di Giovanna Melandri, ex piddina che lo invitava come oratore al Maxxi, e solo la sua incresciosa vicenda processuale gli ha probabilmente impedito di essere invitato a Che tempo che fa da un altro lupo mannaro del femminismo 4.0 come Fabio Fazio. Mentre andiamo in stampa, sulla condanna di Caffo tacciono opinioniste come Concita De Gregorio e Annalisa Cuzzocrea e, in generale, le altre voci rosa di Stampa, Repubblica e Corriere della Sera. I collettivi solitamente assai combattivi come «Nonunadimeno» non hanno dedicato una parola, forse perché questa volta non c’è scappato il morto, o forse perché hanno esaminato a fondo tutta l’opera filosofica del maschio violento Caffo e non vi hanno trovato traccia alcuna di patriarcato tossico. In realtà, per molte femministe di oggi, più attente alla disinfezione ossessiva del linguaggio che al raggiungimento della parità e dell’indipendenza economica, dev’essere veramente difficile non rispondere all’accusa di Caffo. Lamentando di aver subito una condanna esemplare, dovuta anche al «momento» (processo Cecchettin e non solo), il filosofo ha in sostanza attaccato non solo i magistrati che lo hanno condannato, ma anche e soprattutto un clima di sospetto non favorevole al maschio. Ma nessuno, da sinistra, ha ritenuto di polemizzare con lui e ricordargli, magari, che anche per lui vale il principio della responsabilità penale personale (senza fare della sociologia). Invece è scattata «l’invisibilizzazione» della notizia, dettata anche da un calcolo di sincero «amichettismo» di sinistra. Due settimane fa, Chiara Valerio, esponente di punta di questo milieu perennemente esacerbato, aveva invitato l’imputato Caffo a presentare un suo libro al salone della piccola editoria di Roma, da lei presieduto. Alcuni autori, guidati dal fumettista ZeroCalcare, si erano molto indignati e avevano minacciato di disertare la fiera, che per altro è andata male di suo, e Valerio ha tenuto il punto con improvviso garantismo. Caffo, invece, ha capito che era meglio tenere un profilo basso e si è tirato indietro spontaneamente. Ora la sua condanna imbarazza anche l’amica Valerio e nell’intellighenzia di sinistra c’è chi si starà mordendo le labbra per non danneggiare lei, che aveva creduto a lui. Ma tant’è, in fondo se a Caffo sarà scappato qualche schiaffo sarà solo perché i lunghi studi sulla vita con gli animali lo avranno convinto che tutti scendono dagli alberi, anche i compagni.
Abiy Ahmed e Giorgia Meloni (Ansa)
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