2018-07-03
Se i libri bruciano non è colpa di Trump ma della nuova dittatura tecnologica
Su Sky l'ultima versione cinematografica di «Fahrenheit 451» Capolavoro di Bradbury contro la tirannia delle minoranzeDa quando Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti, il genere letterario della distopia ha conosciuto una nuova primavera. Vengono ristampati e tornano in classifica i classici di George Orwell e Upton Sinclair, è tornato di moda Il racconto dell'ancella di Margaret Atwood, da cui è stata tratta anche una fortunata serie tv. Ma pure gli autori contemporanei hanno preso a misurarsi con la descrizione di futuri alternativi in cui regimi dittatoriali dominano l'Occidente. Il motivo di questo revival è facile da immaginare: l'avanzata dei partiti e movimenti cosiddetti populisti viene letta dagli intellettuali di orientamento liberal come la realizzazione delle più fosche profezie letterarie. Tutte le distopie, in sostanza, si fondono per diventare un gigantesco atto d'accusa contro The Donald e gli identitari al potere. Come prevedibile, in questo calderone militante è finito anche l'ultimo film di Ramin Bahrani. Il regista, dopo tutto, vanta un curriculum degno del più determinato oppositore anti trumpiano. Tanto per cominciare, ha origini iraniane, dunque - benché nato in North Carolina - beneficia della patina multiculturale che tanto eccita i progressisti. Ma soprattutto ha realizzato numerosi lungometraggi dedicati al rapporto fra culture diverse, come Goodbye Solo (2008), sul rapporto tra un tassista senegalese e un anziano americano bianco, o Chop Shop (2007) sulla difficile infanzia del piccolo Alejandro per le strade del Queens, a New York. Era facile immaginare, dunque, che - trovandosi a maneggiare il capolavoro di Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Bahrani ne tirasse fuori una storia sul razzismo, sull'oppressione delle minoranze e sul controllo sociale imposto dal bianco rabbioso Trump. Incredibilmente, però, le cose sono andate in maniera diversa, e ora anche il pubblico italiano può constatarlo. La nuova versione cinematografica di Fahrenheit 451, in questi giorni, è visibile in esclusiva su Sky, a poca distanza dall'uscita americana sul canale Hbo (avvenuta a metà maggio) e dall'anteprima a Cannes. Intendiamoci subito: l'operazione era delle più difficili e ambiziose. La traduzione in immagini dei classici della letteratura non è mai un'impresa facile. In questo caso, poi, Bahrani doveva confrontarsi pure con il film di François Truffaut del 1966. La sfida era doppia, ma il cineasta americano se l'è cavata egregiamente, e ha regalato più d'una sorpresa. La prima, e più grande, sta nel fatto che la sua pellicola non è per nulla anti Trump, benché egli non sia certo un fan del presidente. indicazioni precise La stampa americana ha fatto di tutto per spingere Baharani in quella direzione. Appena la Hbo ha annunciato che avrebbe prodotto il film, subito il New York Times ha pubblicato un editoriale per spiegare che, nell'America fascistoide di oggi, il libro di Bradbury è «più importante che mai». Ma il regista non ha ascoltato (almeno non del tutto) le sirene. «Non voglio concentrarmi più di tanto su Trump», ha dichiarato in un'intervista. E ha aggiunto che, secondo lui, il grande problema della contemporaneità è «il grande avanzamento tecnologico». La nuova dittatura, dunque, è quella digitale. Bahrani ha preso di mira lo strapotere di Facebook e Google, e mostra che - se i libri bruciano e vengono inceneriti assieme al pensiero - è soprattutto colpa dell'ossessione tecnologica e del controllo sociale che essa produce. Nel film, come nel romanzo di Bradbury, a distruggere libri, giornali e pure qualche computer sono i pompieri, che appiccano gli incendi invece di domarli. Il protagonista Guy Montag, «milite del fuoco» giovane ed entusiasta, è interpretato da Michael B. Jordan (tra le star del blockbuster sull'orgoglio nero Black Panther). Egli è una celebrità dei social network, le sue operazioni poliziesche ai danni dei fan della lettura rimbalzano in tutti gli Stati Uniti tramite il Web. Insomma, il nostro è un influencer applaudito dalla massa di indottrinati. La scelta di Jordan come interprete principale introduce il secondo grande tema toccato dal film: il politicamente corretto. A un certo punto, Montag riceve una grande lezione dal suo capo Beatty (lo straordinario Michael Shannon). Prima di dare alle fiamme una copia di Le avventure di Huckleberry Finn, Beatty dice: «Huck Finn e il suo amico negro? Noi bianchi sapevamo che offendeva voi neri, e che abbiamo fatto? Lo abbiamo bruciato». Eccoci al punto. La vera minaccia alla libertà di espressione, oltre alla rivoluzione digitale, è costituita dalle rivendicazioni folli delle minoranze, dalle accuse di razzismo sulla base delle quali si censurano film e romanzi (come è realmente accaduto alle opere di Mark Twain). contro la censuraFu proprio Ray Bradbury a calcare particolarmente la mano su questo punto. In una intervista del 1996, lo scrittore americano spiegò, sconfortato, di avere «previsto l'avvento del politicamente corretto con 43 anni di anticipo». E aggiunse, riguardo a Fahrenheit 451, che «se allora scrivevo della tirannia della maggioranza oggi parlerei di tirannia delle minoranze. [...] Avrei voluto dire a entrambe le categorie: “Che siate maggioranza o minoranza, piantatela!". Che tutti quelli che vogliono dirmi cosa devo scrivere vadano al diavolo! La loro società si frammenta in sottosezioni di minoranze che, in effetti, bruciano libri, proibendone la lettura». È da riflessioni come queste che prende spunto il film di Baharani. Il quale, non ha caso, è stato pure accusato da qualche recensore di non aver fatto i conti con il «razzismo» di Bradbury. In effetti, la pellicola ha deluso molti critici: il dispotismo digitale e le minoranze opprimenti non sono graditi come nemici. Prendersela con i populisti, invece, fa parecchio figo.
Il caffè di ricerca e qualità è diventato di gran moda. E talvolta suscita fanatismi in cui il comune mortale si imbatte suo malgrado. Ascoltare per credere.