2019-09-29
Se ci sono di mezzo islam e immigrati la sinistra giustifica pure l’omofobia
In un nuovo saggio, il giornalista Jean Birnbaum racconta le ipocrisie dell'Occidente di fronte al terrorismo, compresa la tolleranza verso lo straniero che odia i gay, visto come un resistente all'imperialismo culturale.Nell'autunno del 2007 il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha tenuto un discorso davanti a ottocento persone a New York. Invitato dalla prestigiosa università Columbia, ha scatenato un'improvvisa ilarità affermando: «In Iran non ci sono omosessuali come nel vostro Paese. In Iran non c'è questo fenomeno». Eppure c'era poco da ridere: in realtà gli omosessuali iraniani sono perseguitati, torturati, condannati a morte pubblicamente e in piena legalità. Dalla rivoluzione islamica del 1979, sarebbero stati giustiziati quattromila omosessuali. Allora come spiegare il riso di studenti e professori della Columbia? Si potrebbe interpretare questa reazione nervosa come un'espressione «viscerale» dello «scontro di culture». [...] Ma forse il riso alla Columbia aveva un altro significato. Forse esprimeva un sentimento più positivo, una reazione divertita e ammirata nei confronti della sfrontatezza di un politico venuto dall'Oriente che osava finalmente dirne quattro all'Occidente. Infatti, per i frequentatori della Columbia ad apparire audace era più la serenità con cui Ahmadinejad aveva pronunciato quelle parole e il luogo in cui le aveva pronunciate, nel cuore dell'America, che non il contenuto in sé. Il discorso non sembrava davvero provocatorio. Perché in un'università in cui i cultural studies, e in particolare gli studi «postcoloniali», sono diffusi da tempo, l'idea secondo cui bisogna rimettere l'Occidente al proprio posto, raffreddare le sue pretese universaliste e smettere di guardare il mondo intero attraverso i suoi occhi crea consenso. Perciò, in alcuni ambienti della Columbia, affermare come Ahmadinejad che in Iran non ci sono omosessuali semplicemente perché l'omosessualità sarebbe un «fenomeno» occidentale è in fin dei conti un'argomentazione abbastanza banale. Lo dimostra una coincidenza: nel 2007, proprio l'anno dell'intervento del presidente iraniano, uno dei professori più rinomati di quell'Università, Joseph Massad, specialista di storia intellettuale araba, pubblicava un libro in cui sviluppava la medesima tesi. L'opera, intitolata Desiring Arabs (Desiderare gli arabi), ha conosciuto un successo internazionale. Rivendicando il legame con i lavori di Edward Said sull'orientalismo e quelli di Michel Foucault sulla sessualità, Massad sostiene che è stato l'Occidente a inventare l'opposizione binaria tra sessualità «normali» e sessualità «devianti», tra «eterosessualità» e «omosessualità»; queste categorie non significavano nulla nel mondo arabo e musulmano tradizionale, dove gli abbracci tra uomini e le esperienze «omoerotiche» erano comuni, senza che fosse necessario etichettarle; nell'Ottocento il colonialismo ha imposto ai Paesi sottomessi queste ripartizioni artificiali; avendo asportato con la forza l'«identità» omosessuale, l'Occidente ha creato le condizioni per un'intolleranza da parte del popolo e, successivamente, una repressione politica; secondo Massad, in reazione alla dominazione coloniale e per superare l'apparente «ritardo» della loro civiltà, i riformatori musulmani hanno adottato la moralità europea con le sue categorie sessuali; allo stesso modo gli islamisti hanno fatto proprio il discorso omofobo degli psichiatri dell'Ottocento e dei cattolici integralisti; insomma, secondo l'autore, se in Oriente esiste l'«omofobia», è perché l'Occidente l'ha creata. La conseguenza politica di tale argomentazione è inevitabile. Gettando discredito su quella che chiama l'«internazionale gay», Joseph Massad la accusa di buttare benzina sul fuoco: quando le associazioni Lgbt «dominate da uomini occidentali bianchi» organizzano campagne di solidarietà insieme agli «omosessuali» egiziani o iraniani credendo di difendere una causa universale, in realtà applicano una griglia di lettura occidentale a situazioni che rispondono a una logica altra. Questo produce un effetto perverso perché, a furia di denunciare l'«omofobia» nei paesi musulmani, gli attivisti Lgbt le spianano in realtà la strada. Ciò spiegherebbe non solo la reazione islamista e la repressione statale ma anche l'ostilità di una popolazione che vede l'attivismo Lgbt come una manifestazione dell'«influenza occidentale». Visione «legittima», afferma Joseph Massad, visto che nei Paesi musulmani proteggere gli «omosessuali» equivale a difendere una nicchia privilegiata, poiché l'«omosessualità» rappresenta un lusso riservato all'élite occidentalizzata.Al pari della lotta contro l'omofobia, la lotta femminista non avrebbe quindi nulla di universale ma sarebbe invece un'invenzione dell'Occidente, un prodotto di esportazione arrivato grazie all'espansionismo coloniale dell'Europa. E che anzi gli avrebbe persino aperto la strada. Una tesi ormai comune in gran parte della sinistra occidentale, che ritroviamo, in forma più o meno sofisticata, nelle riviste universitarie e, più prosaicamente, nei testi degli attivisti postcoloniali. In un'opera intitolata I bianchi, gli ebrei e noi: verso una politica dell'amore rivoluzionario, Houria Bouteldja, leader del Parti des indigènes de la République (Partito degli indigeni della Repubblica), mette in dubbio l'idea che il femminismo universale debba essere considerato un passaggio obbligato per raggiungere la liberazione, la dignità e il benessere. [...] Félix Boggio Éwanjé-Épée e Stella Magliani-Belkacem condannano quindi la «focalizzazione» del femminismo su alcune pratiche come i delitti d'onore, la mutilazione genitale, i matrimoni forzati o il velo; «focalizzazione» il cui principale obiettivo sarebbe stigmatizzare i giovani figli di immigrati: «Se il velo è un simbolo, lo è soprattutto per le femministe che si vantano di combatterlo», scrivono. Così come le campagne Lgbt causano, secondo loro, l'esasperazione dei giovani immigrati che finora avrebbero ignorato l'omofobia, l'attivismo delle femministe provoca la loro radicalizzazione machista, opinione condivisa anche da Houria Bouteldja in una nota riassuntiva: «Le società del Sud rispondono all'internazionale gay scatenando un odio contro gli omosessuali che prima non esisteva o facendo riemergere una preesistente omofobia, al femminismo imperialista rispondono con un inasprimento del patriarcato e una recrudescenza delle violenze contro le donne, all'umanesimo bianco e alle lobbies dei diritti umani con un rifiuto dell'universalismo bianco, alle forme d'ingerenza da parte dell'Occidente, così numerose che sarebbe noioso elencarle tutte, rispondono con una crescente ostilità. Ecco perché nei quartieri popolari si reagisce all'omorazzialismo con un machismo identitario e… un'omofobia crescente. Per quanto brutte siano le reazioni, hanno un motivo comune: una feroce resistenza all'imperialismo occidentale e bianco...».
Attività all'aria aperta in Val di Fassa (Gaia Panozzo)
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Lo spettacolo Gabriele d’Annunzio, una vita inimitabile, con Edoardo Sylos Labini e le musiche di Sergio Colicchio, ha debuttato su RaiPlay il 10 settembre e approda su RaiTre il 12, ripercorrendo le tappe della vita del Vate, tra arte, politica e passioni.
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