2018-07-31
Se Berlusconi lascia il veto su Foa spalancherà le porte al nemico
Domani Fi potrebbe far saltare la nomina del giornalista a presidente Rai, alla quale è favorevole anche Fdi Con un altro candidato, però, i grillini avrebbero campo libero. Unico spazio di manovra, le trattative sui Tg.«Contro l'arroganza di Matteo Renzini non possiamo che votare no». Dentro Forza Italia lo strappo è pronto e senza almeno quattro voti azzurri domani Marcello Foa potrebbe non diventare presidente della Rai. Sarebbe la prima sconfitta per il governo e arriverebbe per mano del principale alleato di coalizione della Lega. Tutti riconoscono il valore del professionista e del manager culturale, ma nel quartier generale di Silvio Berlusconi la risposta è un'eco diffusa che percorrere ogni corridoio: «Non ci sono le condizioni». Così il partito va verso il paradosso di dover bocciare un giornalista liberale, affine ai valori del centrodestra moderato e lontano anni luce dalle eterne e pelose logiche della lottizzazione tanto care al centrosinistra. Non solo, il Cavaliere corre il rischio di dire no a un uomo dalla schiena dritta, ex responsabile della redazione Esteri del Giornale, ex direttore del sito Web, al quale ha dato lo stipendio per 22 anni. Insomma, una scelta poco comprensibile anche per la base, che di solito affolla le conferenze e le presentazioni dei libri del giornalista. Il problema non è personale, ma politico, quindi paradossalmente appianabile anche in 24 ore. Secondo i berlusconiani sta nel comportamento di Matteo Renzini, soprannome con il quale i colonnelli del partito definiscono da qualche tempo l'alleato leghista, Matteo Salvini, ritenuto sempre più distante, sempre più individualista e refrattario al confronto, simile in guasconerie all'ex premier di centrosinistra. A Palazzo Grazioli spiegano che sarebbe bastata una telefonata per condividere nome e curriculum, mai arrivata. «Nessuna valutazione negativa su Foa, il suo file non è stato neppure aperto perché non sono state rispettate le precondizioni». Il vicepresidente Antonio Tajani precisa il concetto: «La proposta ci è stata resa nota 10 minuti prima dell'ufficializzazione senza passare attraverso un minimo percorso di consenso. Un metodo inaccettabile. Auspico che la Lega torni a far parte del centrodestra; questo governo a guida grillina ha oscillazioni preoccupanti».In Forza Italia nessuno nasconde i pericoli in caso di no a Foa, che sono tre. Primo, quello di vedersi incollare l'etichetta di corifei del Pd in decomposizione, in una riedizione fuori dal tempo del patto del Nazareno e con motivazioni deliranti orecchiate dal retrobottega dei social (anti Mattarella, filo Putin, no-vax). Una scelta che potrebbe far scricchiolare anche altrove la problematica alleanza. Secondo, quello di mettersi contro il resto del centrodestra, visto che anche Giorgia Meloni ha indicato ai due rappresentanti di Fratelli d'Italia di votare sì con queste parole: «Il Pd parla di lottizzazione Rai dopo quello che ha fatto Renzi. È veramente ridicolo, il loro comportamento ci ha convinto a votare Foa presidente. Non ho condiviso il metodo, ma essere sovranista in Italia non è reato». Terzo pericolo, il più imbarazzante: se il candidato dovesse essere bruciato tornerebbero in auge nomi come quelli di Milena Gabanelli e Peter Gomez, che proprio Berlusconi avrebbe liquidato con una battuta: «Siamo su Scherzi a parte?». Come diceva Voltaire, «spesso il meglio è nemico del bene».La scalata è ancora possibile, ma impervia. E i voti di Forza Italia in Commissione di Vigilanza sono fondamentali. Gli elettori sono 40, la maggioranza prevede i 2/3 dei votanti, quindi 27 preferenze. La maggioranza ne ha in mano 23 (14 del Movimento 5 stelle e 7 della Lega, ai quali si aggiungono i 2 di Fratelli d'Italia). Poiché Pd (7 voti) e Liberi e Uguali (2) si preparano a fare muro, Forza Italia diventa l'ago della bilancia. Come convincerla a cambiare idea? «Fuori i secondi, basterebbe una telefonata fra leader. Ma Renzini non la farà», tagliano corto nel quartiere generale berlusconiano. Così si appresta a entrare in scena il sottosegretario alla presidenza, Giancarlo Giorgetti, il Kissinger della maggioranza, che ha approvato fin da subito il nome e il profilo professionale di Foa. E che potrebbe compiere il miracolo. Anche perché dopo il presidente sarà la volta dei direttori di rete e dei telegiornali, e comincia a farsi largo l'idea che le riottosità di Forza Italia nasconderebbero la volontà di utilizzare i voti per ottenere una rete a guida berlusconiana o un Tg in area moderata affidato a una risorsa interna all'azienda (per esempio Gennaro Sangiuliano, oggi vicedirettore di Raiuno). La Lega sarebbe anche d'accordo, ma l'idea di pescare dentro la redazione confligge con il diktat di Luigi Di Maio, che vorrebbe andare a cercare fuori i profili ideali (come Foa) per accelerare la rivoluzione. Il protagonista, suo malgrado, della ruggente vicenda ritiene necessario abbassare i toni e aspettare. «Qui tutto viene strumentalizzato», taglia corto Foa. «Non ho chiesto nulla, non sono uno che briga e non ho mai frequentato un Palazzo. Chi mi descrive come Belzebù evidentemente non mi conosce. Non sono abituato a offendere nessuno, tanto meno le istituzioni. Sono soltanto un giornalista, quello sì. Ce l'ho nel sangue». A Indro Montanelli, che lo conosceva così bene da nominarlo caporedattore agli Esteri nel 1993, questa frase sarebbe piaciuta.