2023-02-16
La scure ecologista sulle vetture farà strage di imprese e lavoratori
L’elettrificazione stroncherà le aziende (più di 2.000 nel Paese) che producono componenti per le automobili a benzina o diesel. E molte saranno costrette a fabbricare ricambi, sprecando risorse in un settore morente.Forse, chi sostiene che l’atteggiamento negativo del governo Meloni nei confronti della decisione Ue di vietare la vendita di vetture con motori endotermici dal 2035 sia esagerato, non ha l’immagine precisa dell’indotto italiano relativo al comparto automotive e delle competenze a esso associato. Ford ha comunicato ieri di voler tagliare 3.800 posti di lavoro in Europa, ma anche se ciò colpirà poco in Italia, resta il fatto che i veicoli con motore elettrico hanno a bordo un terzo dei componenti mobili delle auto tradizionali e anche una necessità di lubrificanti e di altri «consumabili» inferiore di almeno il 60%. Tradotto, a parte i carburanti - per i quali ci sarà la rivoluzione - per esempio la catena di distribuzione degli oli nuovi e quella del recupero di quelli esausti sarà sconvolta, i tipi stessi di lubrificante richiesto cambieranno (variano le temperature d’esercizio e i materiali che ne vengono in contatto), e soprattutto le quantità necessarie sui mezzi a batteria non sosterranno l’attuale filiera con un aumento di costi enorme. Il ministero dello Sviluppo economico, nel 2022, aveva calcolato che le aziende italiane del settore erano poco più di 2.250 (purtroppo pare siano già diminuite nel frattempo), e davano lavoro a 160.000 persone, generando un fatturato prossimo ai 45 miliardi di euro. Possiamo dividerle in tre tipologie, a partire da quelle che realizzano parti interne per motori diesel e benzina che non ci sono in quelli elettrici, come bielle, pistoni, valvole, eccetera. Pare siano poco più di un centinaio e dovranno riconvertirsi o limitarsi a esportare i prodotti in mercati dove ancora si compreranno mezzi con motori termici, perché con i soli ricambi non sopravviveranno, seppure saranno essenziali anche quelli. In queste lavorano circa 25.000 addetti che corrono il rischio più grave, non perché le aziende non siano in grado di modernizzarsi, ma perché oltre a farlo dovranno continuare a soddisfare una domanda di ricambistica che continuerà almeno per due decenni dopo il 2035, investendo in un settore morente.C’è poi un gruppo di 750 realtà produttive con poco più di 50.000 persone che potranno evolvere, poiché ciò che realizzano può essere impiegato in mercati differenti o essere adattato alle auto a batteria. Pensiamo a cuscinetti e bronzine, sempre a titolo d’esempio. Ma non si tratta mai di percorsi banali, come avverrà per i connettori e i cablaggi elettrici richiesti già oggi, le cui caratteristiche sono destinate a cambiare per soddisfare nuove nicchie di mercato. È il caso dei cavi ad alta capacità e a ridotta dispersione (i Volt e gli Ampere in gioco sulle auto a batteria sono parecchi), che collegano accumulatori e motori, conduttori e connettori che limitano la propagazione di campi elettromagnetici, che non propagano le fiamme se prendono fuoco ma resistono a ungo nel tempo a umidità e vibrazioni. Ovvero parti che, se di scarsa qualità, provocano incendi.Vero è che per marmitte, candele d’accensione, radiatori e molte altre componenti l’evoluzione non si è mai fermata, ma al contrario di quanto viene imposto oggi, queste aziende hanno sempre seguito tempi di adattamento «naturali» dettati dai mercati. Infine - ma sono poche decine di aziende - ci sono imprese che dall’elettrificazione del comparto avranno un impatto limitato se non nullo, o addirittura migliorativo, come chi costruisce sensori per l’usura di dischi dei freni o per rilevare parametri elettrici, vibrazioni e altro ancora. Su questi, infatti, si basa il concetto della manutenzione predittiva che si sta diffondendo, che vede quella parte della vettura avvisare il conducente e il centro di assistenza in caso di usura o prossima avaria.Folle è invece illuderci che tutte le persone che perderanno il lavoro possano trovarne un altro in aziende che si occuperanno di trasformare la rete elettrica nazionale in qualcosa di compatibile con la nuova mobilità, poiché se la spinta alla conversione è imposta, quella all’acquisto è limitata dalle prestazioni e dal costo dei nuovi veicoli. Aiuterebbe incentivare il cambio di vetture anche fatto usato su usato, se l’acquisto riguarda un mezzo con una classe di emissioni migliore, come favorire produzioni locali di ciò che fino a oggi compriamo dall’altra parte del mondo. Un’altra direzione da prendere è quella dei biocarburanti, dove tuttavia è necessario investire molto e subito, così come ha suggerito anche Akio Toyoda, il patron di Toyota: favorire l’evoluzione delle vetture mediante i retrofit, in modo da farle durare a lungo cambiando motore termico, ibrido o elettrico, ma anche la batteria, ogni volta che quelle istallate sono esauste o sul mercato ne divengono disponibili di migliori. Proprio le batterie, soprattutto quelle a ridotto - o nullo - utilizzo di metalli rari, è da non perdere l’opportunità di tornare a costruirle entro i confini Ue. Ma pensare di recuperare 25 anni di sviluppo cinese in meno di 12 è illusione. Si crea il lavoro di figli e nipoti, ma non si salva quello dei loro genitori.