2023-06-30
«La scuola patisce il peso del Sessantotto. Torniamo a bocciare»
Paola Mastrocola (Getty Images)
La scrittrice Paola Mastrocola: «Il clima dominante è fatto di permissivismo venato da buone intenzioni, regole blande e nessuna sanzione». Paola Mastrocola, scrittrice di grande successo, da parecchi anni ormai si occupa di scuola: la racconta, ne svela i pregi e i difetti, si batte per migliorarla. Nei giorni scorsi ha preso la parola per affrontare il caso della professoressa «impallinata» dai suoi studenti, commentando la vicenda con molto buon senso e senza un grammo di buonismo.Mi pare che abbia apprezzato l’intervento del ministro Valditara nel caso di questa insegnante. Ma non sarebbe stato più giusto procedere alla bocciatura immediata dei ragazzi che l'hanno aggredita?«Le rispondo con un aneddoto. Ieri raccontavo l’episodio della professoressa impallinata a un pescatore, qui sull’isola dove abito per metà dell’anno, e gli dicevo che poi all’allievo che ha sparato i suoi insegnanti hanno dato 9 in condotta. Il mio amico pescatore resta allibito, sbotta in parole irripetibili e conclude, senza che io gli avessi suggerito nulla: “Bocciarlo dovevano, bocciarlo!”. Quindi la mia risposta è sì, perché istintivamente sto sempre dalla parte dei pescatori (forse mi sento pescatore io stessa): dovremmo bocciare allievi che insultano, minacciano o aggrediscono insegnanti, ma non in questo mondo, in un altro possibile che però non abbiamo scelto: il mondo del buon senso. Ma le pare che noi oggi diamo retta ai pescatori? Comunque, è possibile che la bocciatura non sia la soluzione. Il punto è che non si dovrebbe arrivare a tanto: se un ragazzo arriva anche solo a pensare di poter puntare una pistola ad aria o un coltello davanti al suo insegnante, vuol dire che non è stato educato mai al rispetto, mai alle più elementari regole del vivere civile, né in famiglia né a scuola, fin da quando era bambino». Non è certo la prima volta che si assiste a episodi di questo tipo. Che problema c'è, o che problemi, nel rapporto tra insegnanti e studenti?«Si è rotto il patto su cui si fondava la scuola, e in due sensi. Il primo senso è culturale: l’insegnante non è più il depositario di un sapere che trasmetteva ai giovani, ma è l’intoppo, colui che interrompe la superficie piana del piacere e del divertimento, dando compiti e infliggendo voti. Un nemico da abbattere, non più un maestro da cui farsi guidare. Il secondo senso è educativo: non esiste più il “superiore”, ma tutti sono sullo stesso piano, l’insegnante e l’allievo, il bambino e l’adulto, il figlio e il genitore. Tutti pari grado, tutti amici, tutti complici. Se qualcuno incrina questa mirabile, e fittizia, uguaglianza, se qualcuno osa imporre qualcosa, foss’anche una minima regola, gli si va contro, con proteste, ricorsi, oppure insulti e aggressioni. I genitori per primi: difendono i figli a oltranza, combattono perché vadano a scuola sereni, mai offuscati da frustrazioni e doveri. Non sono genitori, ma sindacalisti, avvocati e vendicatori dei figli. Se invece già in famiglia si ristabilisse una normale severità, affettuosa ma ferma, fatta anche di premi e punizioni, forse le cose migliorebbero».Secondo lei come si è giunti ad alcune degenerazioni attuali? È facile ma non troppo sbagliato forse ricondurre tutto a quanto accaduto dal 1968 in avanti... O no?«Il Sessantotto è lontano, inutile insistere a denunciarne le colpe. Parlerei piuttosto di un Sessantotto degenerato, che negli ultimi trent’anni si è diabolicamente mescolato al consumismo sfrenato e alla cultura dello spasso, dando origine a una società del benessere a tutti i costi, dove vige il diritto al divertimento e alla soddisfazione immediata di ogni desiderio e appetito, e dove nessun dovere è previsto, tanto meno il rispetto dell’altro. Il tutto condito dall’esorbitante potere dei social, che ci hanno abituati a una libertà verbale che è spesso pura violenza, protetta per giunta dall’anonimato e quindi sempre impunita».Esiste secondo lei la possibilità di una inversione di marcia?«No. Il clima dominante è fatto di un permissivismo venato da buone intenzioni. Le parole d’ordine sono accoglienza, inclusività, diritti. Regole blande, che perlopiù si disattendono. E al posto delle sanzioni, l’analisi delle cause (economiche, sociali, psicologiche), la comprensione, l’ascolto, la lezioncina morale affidata agli esperti. Tutto viene ricondotto al “disagio giovanile”: troppo facile, e ingiusto; il disagio c’è, ma non credo riguardi la maggioranza dei giovani, e semmai riguarda tutti, anziani compresi (non esiste forse anche un “disagio senile”?). Ogni critica allo stato di cose esistente, ogni protesta, ogni pur timido accenno a voler cambiare viene preso come forma reazionaria, un tornare indietro, una ridicola nostalgia dei tempi andati. Mentre sarebbe solo il ripristino di alcune norme fondamentali di comportamento. Dare valore alla condotta, al voto di condotta, mi sembra un buon passo avanti, non indietro».Qualche mese fa abbiamo letto inchieste su vari giornali in cui si parlava dell'abbandono dei licei da parte di studenti che si definivano «troppo stressati». Le dico la verità: a me sono sembrate il ritratto di una generazione che non ha abitudine alla fatica. Lei che ne pensa?«Siamo noi adulti che stiamo facendo, dei giovani, una generazione di vittime, frustrati e fragili. Alimentiamo in loro il vittimismo, li sproniamo a esigere solo diritti, protezioni, tutele, e non esigiamo più niente da loro. Non crediamo abbastanza nella loro forza, temo. O ci va bene così, perché la loro fragilità ci assicura un ruolo di protettori. Ma i genitori e i maestri dovrebbero essere una guida per affrontare sfide e responsabilità, non una tana dove trovare riparo e coccole. Se molti ragazzi abbandonano, è perché la scuola non li ha preparati abbastanza a seguire corsi di studio elevati. Da lì la pioggia di cattivi voti, e lo stress che ne deriva. L’impreparazione a cui li abbiamo condannati spiega gran parte dell’attuale “dispersione scolastica”. Siamo noi i colpevoli, noi che abbiamo voluto una scuola facilitata e fragile. La scuola sì, è oggi fragile!».A suo giudizio, anche se non è bene generalizzare, il livello dell'istruzione in Italia è calato rispetto al passato?«Non lo dico io. Ci sono fior di studi e analisi che lo testimoniano con i dati. Io semmai posso dire di aver assistito al declino, e di averlo sempre denunciato, a partire dalla fine degli anni Novanta. Dolorosamente accoglievo ragazzi in prima liceo sempre meno preparati, con lacune madornali, non più in grado di scrivere correttamente, di costruire frasi sintatticamente complesse, di ordinare logicamente il pensiero, orale e scritto. Le assicuro, uno spettacolo desolante, a cui abbiamo tutti, chi più chi meno, assistito inermi, senza reagire. Dovremmo ora chiedere scusa ai giovani, per questo». Alla classe degli insegnanti si sente di muovere delle critiche? A volte pare che anche lì il livello sia sceso parecchio...«Mi sembra che molti insegnanti per primi non credano più al loro ruolo, culturale innanzitutto. Credono nelle sirene del nuovo, accettano compiti insulsi e inutili, si lasciano sopraffare da una burocrazia demenziale, e hanno deviato il loro lavoro (culturale prima di tutto, lo ripeto) diventando psicologi e amici dei loro allievi. Non tutti, naturalmente. Ci sono ancora molti insegnanti che invece continuano a fare il loro mestiere, ma temo si sentano sempre più soli. Bisognerebbe aiutarli, affermando che la cultura è ancora un valore, oggi più che mai, nonché l’unica vera chance per le classi svantaggiate di poter raggiungere posizioni elevate, vincendo la sfortuna delle loro origini».Che pensa dell’utilizzo della tecnologia nelle classi? Non sembra abbia portato a grandi risultati. «La tecnologia è un mezzo, un preziosissimo mezzo. Un aiuto, non la soluzione di tutti i mali. Un abuso tecnologico mi farebbe paura, disumanizzerebbe la scuola, la consegnerebbe nelle mani delle macchine, indebolendo ancor di più la figura del maestro e svilendo il valore dello studio. Illuderebbe i ragazzi che imparare non sia più necessario». Dopo i lockdown e le lezioni a distanza lei ha notato un peggioramento della situazione nella scuola? «Non so, perché non insegno da otto anni. Ma la lezione a distanza è di per sé un ossimoro: la lezione è per definizione in presenza. È il centro stesso dell’insegnamento, il più potente se non unico strumento con cui si può ancora tentare di appassionare un giovane ai libri, al sapere, alla cultura».Quali sono a suo giudizio i tre cambiamenti più importanti di cui la scuola italiana avrebbe bisogno oggi?«Rivedere i programmi e i compiti culturali di elementari e medie, in modo da fornire una preparazione di base altissima. Dare più potere agli insegnanti. Esigere uno studio serio dai ragazzi, senza blandirli con vie facilitate e l’abolizione di ogni ostacolo: le difficoltà fanno crescere, e il giudizio, anche espresso in voti, serve a dare ad ognuno la misura di quel che vale e di quanto può migliorare».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.