2021-02-15
Scuola e sanità: gli assunti per il Covid che nessuno vuol pagare
Chiamati in emergenza, supplenti e personale Ata subiscono pesanti ritardi nella retribuzione. «Non siamo gente di serie B».Gli «eroi» del coronavirus sono stati gratificati con elemosine. Un dottore su due è in dubbio se lavorare ancora in ospedale.Lo speciale contiene due articoli.Non ci sono solo i banchi a rotelle e le mille peripezie della didattica nell'annus horribilis della scuola italiana. A segnare il fallimento della premiata ditta Azzolina-Arcuri si aggiunge una terza vicenda, quella dei cosiddetti «supplenti Covid». Personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario assunto ai sensi dell'articolo 231 bis del decreto Rilancio, al quale la legge ha attribuito un compito fondamentale e cioè supportare l'istituzione scolastica per «consentire l'avvio e lo svolgimento dell'anno scolastico 2020/2021 nel rispetto delle misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica».Quanto bastava per trattare questa categoria con il guanto di velluto, e invece. Nella sua versione originaria, infatti, la norma prevedeva «in caso di sospensione dell'attività in presenza» il licenziamento del dipendente per giusta causa e senza indennizzo. Tradotto, con un nuovo lockdown l'insegnante, l'addetto alla segreteria o il collaboratore scolastico sarebbero stati cacciati a pedate senza alcuna buonuscita. Una clausola discriminante eliminata, fortunatamente, a seguito della presentazione di un emendamento al decreto Agosto. Risolte le gabelle contrattuali, i problemi per i supplenti Covid non sono certo finiti. Lo scorso 21 ottobre, a seguito delle «numerose segnalazioni di problematiche», le principali sigle sindacali hanno chiesto un incontro urgente al ministero dell'Istruzione per discutere delle risorse effettivamente stanziate e distribuite alle Regioni, del monitoraggio dei fabbisogni richiesti dagli uffici scolastici regionali (Usr), dell'assegnazione delle risorse e all'attivazione e alla disattivazione del personale aggiuntivo.Proprio in quei giorni, alcuni Usr inviavano alle scuole la richiesta di sospendere la sottoscrizione di nuovi incarichi e la stipula di supplenze per la sostituzione del personale Covid, vista la necessità di verificare l'effettivo costo di tali contratti. Secondo i calcoli, infatti, sarebbero mancati circa 200 euro al mese per ciascuna supplenza per colpa di una errata interpretazione delle tabelle retributive. «Cifre insufficienti e previsioni di spesa sbagliate», questo ai tempi il commento del segretario della Uil Scuola Pino Turi, «fino ad oggi la scuola ha retto e dimostrato grandi capacità, non bisogna però esagerare e la mancanza di idee e risorse, non vanno scaricate sulla comunità educante le cui riserve e capacità non sono infinite».Passano i primi mesi e il disastro si materializza. Gli stipendi non si vedono nemmeno con il binocolo e il malumore aumenta. Le testimonianze raccolte dal portale Orizzontescuola.it, uno dei più cliccati dai dipendenti del comparto, parlano da sole. «Sono in servizio dal 9 ottobre e a tutt'oggi ancora devo ricevere lo stipendio», scrive a novembre un Ata, «sono fortunato perché lavoro in Campania, ma prendi quello che deve andare a Firenze, Milano, Torino, prendere impegni per una casa, un albergo e alla fine non si è nemmeno pagati, iniziassero ad essere più precisi nei pagamenti perché anche noi personale Covid non siamo di serie B». Un'altra dipendente si sfoga: «Assunta il 28 settembre, mi pagheranno il 2 di dicembre, ma i soldi che arrivano dovrò restituirlo a chi me li ha prestati. È una vergogna, non si lavora per la gloria». Il disagio si tocca con mano. «Vi meravigliate che i “Covid" non rispondano alle chiamate, ma come si fa a rispondere a una chiamata magari distante dalla tua residenza sapendo che non sai quando ti pagheranno, senza nessuna garanzia di poter pagare un affitto e con tutto lo spauracchio che hanno e avete messo per la pandemia?».«Chiamati in emergenza, insegnanti e personale Ata, stanno subendo pesanti ritardi nel pagamento delle loro retribuzioni, molti non hanno ricevuto nessun bonifico anche da ottobre scorso», lamenta la Uil Scuola solo pochi giorni fa, «pagare gli stipendi al personale che ha lavorato è un atto dovuto, di ordinaria amministrazione, affari correnti, non vorremmo che diventasse “un'operazione di affari"».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-sanita-assunti-covid-pagare-2650533650.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="medici-e-infermieri-si-sentono-beffati-e-lasciano-le-corsie" data-post-id="2650533650" data-published-at="1613308607" data-use-pagination="False"> Medici e infermieri si sentono beffati e lasciano le corsie Eroi quando si tratta di vergare i titoli dei giornaloni oppure mandare in onda un servizio a effetto con tanto di musica strappalacrime in sottofondo, trascurati quando si tratta di curare i sacrosanti aspetti contrattuali. Se c'è una categoria che ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite umane, qualità della vita e mancato ritorno economico, è proprio quella del personale sanitario. Sono più di 300 i medici in attività o in pensione - «perché per noi i medici sono tutti uguali», ha spiegato il presidente della Federazione medici chirurghi e degli odontoiatri Filippo Anelli - deceduti per colpa del Covid dall'inizio della pandemia. Cifra a cui vanno aggiunte almeno 80 vittime tra gli infermieri, categoria che secondo recenti stime ha visto tra le sue fila ben 90.000 contagiati. Le radici della crisi della sanità italiana affondano nei tagli lineari che l'hanno colpita nell'ultimo decennio. Secondo uno studio della Fondazione Gimbe - molto citato all'inizio della pandemia, quando il nostro sistema ha mostrato i primi segni di cedimento - dal 2010 al 2019 alla sanità pubblica sono stati sottratti ben 37 miliardi di euro, di cui 25 miliardi derivanti da tagli effettuati nelle manovre finanziarie del 2010-2015, e altri 12 miliardi legati al «definanziamento» che ha assegnato al Ssn meno risorse rispetto ai livelli programmati. La famigerata spending review ha causato due effetti nefasti. Primo, l'aumento della spesa sanitaria privata. Per curarsi, infatti, gli italiani hanno dovuto mettere mano al portafoglio, intaccando i propri risparmi o, peggio ancora, indebitandosi. Secondo, l'ondata di tagli ha causato un crollo del personale sanitario. Dati del ministero della Salute alla mano, dal 2010 abbiamo perso quasi 6.000 medici (-6%) e 10.000 infermieri (-4%). Risultato, il «paziente Italia» è arrivato in condizioni disastrose all'appuntamento con il Covid. C'è voluta la pandemia per mettere mano, finalmente, agli stipendi del personale sanitario. L'ultima legge di Bilancio ha aumentato del 27% l'indennità esclusiva di medici e veterinari, con incrementi che vanno dai 52 ai 368 euro in più al mese in base all'anzianità. Solo un «primo segnale positivo» secondo Carlo Palermo, segretario nazionale dell'associazione medici dirigenti Anaao Assomed: «Mancano ancora almeno 6.000 medici e dirigenti sanitari per supportare il notevole incremento dei carichi di lavoro provocato dalla pandemia, e dalla conseguente attivazione di nuovi posti letto, mettendo in conto anche la necessità di dover isolare quanti di loro vengano eventualmente contagiati». Non c'è solo il gap retributivo con gli altri Paesi dell'Europa occidentale, stimato in circa 40.000 euro annui, ma anche i turni massacranti, i rischi legati alla professione e lo scarso coinvolgimento nelle decisioni che li riguardano. Tutti elementi che, stando a un recente sondaggio interno alla professione medica promosso proprio dall'Anaao Assomed, portano solo un medico ospedaliero su due (54,3%) a pensare di continuare a lavorare in un ospedale pubblico nei prossimi due anni. E ben 3 dottori su 4 pensano che il proprio lavoro non sia stato valorizzato durante la pandemia. Scontenti anche gli infermieri. «Contestiamo fortemente la legge di Bilancio che ha previsto un'elemosina di 60 euro mensili agli infermieri e poco più di 30 euro alle altre 21 professioni sanitarie e socio sanitarie», ha dichiarato a gennaio Calogero Coniglio, coordinatore nazionale del Coordinamento nazionale infermieri (Cni), «il Governo ha dimenticato gli operatori sanitari che sono stati beffati». Praticamente l'equivalente di un caffè e una brioche al giorno. Somme «insufficienti a dare dignità professionale a tali professionisti davanti alla fatica e all'esposizione di questi lavoratori, in prima linea nei reparti Covid». Senza dimenticare gli specializzandi e i medici precari, professionisti a tutti gli effetti costretti a tappare i buchi nei reparti, oppure accettare incarichi in nero a discapito della formazione.
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