2023-02-27
Integrazione fallita: i bimbi stranieri spariscono dalla scuola
Siamo il Paese europeo col più alto tasso di abbandono scolastico tra gli studenti di origine straniera: uno su tre si ferma alla licenza media. Una situazione che il Covid ha ulteriormente peggiorato.La preside di un istituto veneto: «Qui pochi italiani, le bambine partono per sposarsi».Il consigliere di Novellara, il Comune del caso Saman: «Pure lei aveva chiesto aiuto, invano».Spinti dagli estremisti, molti rinunciano alle lezioni e si formano nelle moschee. Spesso per combattere all’estero. Souad Sbai: «Vengono separati dalla società fin da piccoli, abbiamo l’Afghanistan in casa».Lo speciale contiene quattro articoli.«Yan non si è svegliato. Ha dormito fino a tardi. Non andrà a scuola nemmeno oggi, amen».La mamma che ci sta davanti sta parlando con il marito. Il figlio non si è svegliato nemmeno stamattina. Sarà un mese che manca da scuola. Loro sono una famiglia di immigrati cinesi giunti in Italia poco prima del Covid. Il figlio continua a perdere giorni di lezione, arriva in ritardo, esce prima, sostanzialmente fa quello che vuole con il beneplacito di padre e madre. La stessa cosa accade per molti bambini e ragazzini di altre nazionalità.Alcuni sono nati in Italia da genitori stranieri. Altri sono nati all’estero e poi giunti nel nostro Paese.L’Italia, da tempo, è diventato il luogo dove chiunque può entrare e chiunque può uscire e anche se non sei in regola nessuno ti dice niente. Anzi. Gli stranieri entrano. Escono. Fanno quello che vogliono. Tenerne il conto diventa sempre più difficile. Molti si perdono via, alcuni sono completamente abbandonati a sé stessi e alle file dei banchi di scuola preferiscono quelle della criminalità. Basta passare per qualche parco di qualche città al mattino per vedere ragazzini di 12, 13, 14, 15 anni, tutti stranieri, seduti sulle panchine senza fare niente. Alcuni già con le bottiglie di birra in mano e l’iPhone sempre con loro.Dati alla mano, l’Italia è il Paese dove il tasso dell’abbandono scolastico degli studenti stranieri è il più elevato a livello europeo. Il fenomeno è stato ribattezzato come «early school leavers». L’indicatore europeo di questi «early leaving from education and training», quelli che non studiano e non lavorano, abbandonando precocemente i percorsi di istruzione e formazione, ha evidenziato come gli alunni con cittadinanza non italiana siano quelli con il più alto tasso del rischio di abbandono.L’indicatore prende come riferimento i giovani tra i 18 e i 24 anni con un titolo di studio non più alto dell’istruzione secondaria inferiore, la scuola media per intenderci, e che non risultano inseriti in alcun programma lavorativo o didattico.Nel 2020 l’indicatore riferito agli studenti stranieri nel nostro Paese era pari al 35,4% a fronte di una media nazionale del 13,1%. Il governo italiano, già nel 2013, aveva stanziato un finanziamento di 14 milioni di euro, per - si legge nel sito dell’Unicef - «mettere a punto politiche di contrasto alla dispersione scolastica finalizzate a raggiungere entro il 2020 l’obiettivo del 16% dell’indicatore Els, early school leavers».Sì certo, ci sono messi di mezzo il Covid, la guerra in Ucraina, le varie tensioni, ma se si guarda al 2021-2022 le cose non vanno meglio, tanto che a novembre scorso il Consiglio d’Europa ha varato una raccomandazione sulle politiche di riduzione dell’abbandono scolastico. Già il 30 settembre 2020 la Commissione europea aveva pubblicato la comunicazione «sulla realizzazione dello spazio europeo dell’istruzione entro il 2025, una delle cui sei dimensioni è rappresentata dall’inclusività». Non solo. Già tra il 2014 e il 2020, i fondi strutturali e d’investimento europei, fondi Sie, avevano «mobilitato ingenti investimenti per contrastare l’abbandono dell’istruzione e della formazione, sostenendo numerosi progetti su vasta scala in linea con la raccomandazione del Consiglio del 2011». Fondi e raccomandazioni che a quanto pare sono serviti a poco, soprattutto se i giovani continuano a lasciare gli studi. Il Consiglio ha anche convenuto «che entro il 2030 la percentuale di quindicenni con scarsi risultati in lettura, matematica e scienze dovrebbe essere inferiore al 15 % e si è impegnato a ridurre la percentuale di giovani che abbandonano l’istruzione e la formazione a meno del 9%». Nell’Unione, «sono ancora più di 3,2 milioni i giovani (tra i 18 e i 24 anni) che abbandonano l’istruzione e la formazione». L’Ue riconosce che persistono alcune disuguaglianze tra «gruppi specifici», i migranti per esempio, i rom o i giovani delle zone rurali.Così come riconosce - qual buon vento - che con «con la pandemia di Covid 19 è diventato ancora più importante affrontare queste sfide. Numerosi studi suggeriscono che la crisi può avere aumentato la probabilità che i discenti a rischio di distaccarsi dalla vita scolastica abbandonino effettivamente la scuola, oltre ad aver inciso negativamente sulla salute mentale e sul benessere generale dei discenti».Tra le misure di prevenzione da adottare, spicca il fantastico «kit europeo» - disponibile online - a cui i dirigenti scolastici, gli insegnanti e i genitori possono ispirarsi per «promuovere l’istruzione inclusiva e affrontare l’abbandono scolastico precoce». Kit che però pare sia servito a poco. Secondo un’indagine del Censis (centro studi investimenti sociali) compiuta in Italia nel 2022, su oltre 1.400 dirigenti scolastici, nelle scuole con una elevata presenza di stranieri (oltre il 15%) solo il 19,5% ritiene il livello di integrazione del tutto soddisfacente e solo per il 35,5% negli ultimi tre anni non c’è stata alcuna criticità. Il 51,5% segnala frequenti difficoltà di comunicazione linguistica e il 43,7% palesa la mancanza di supporto da parte di personale qualificato. Il 41% pone l’attenzione sullo scarso rendimento.Ad arricchirsi infatti con la bomba immigrazione sono state le cooperative dalle uova d’oro, che con i migranti hanno fatto lievitare i loro bilanci. L’istruzione per gli stranieri, invece, quella non lievita mai.Nell’anno scolastico 2021/2022 gli alunni non italiani erano 865.388. Il ministero dell’Istruzione, a luglio scorso, pubblicando il report con «i dati relativi alle studentesse e agli studenti con cittadinanza non italiana», parlava di una leggera flessione degli stranieri registrando un -1,3%, 11 mila circa in meno, rispetto all’anno precedente. Giornaloni di sinistra che avevano cavalcato la notizia, in realtà non tennero conto dell’altra faccia della medaglia: vero che gli studenti con cittadinanza non italiana sono diminuiti, ma «nonostante la flessione» la percentuale di studenti con cittadinanza non italiana (10,3%) è rimasta inalterata, perché «è diminuito, al contempo, di quasi 121.000 unità anche il totale generale degli alunni». La percentuale dei nati in Italia sul totale delle studentesse e degli studenti di origine migratoria, nel 2020/2021, è arrivata al 66,7%, registrando un punto in più rispetto al 65,4% del 2019/2020.Ma da dove vengono questi studenti? Provengono da quasi 200 Paesi del mondo. Il 44,95% è di origine europea. Il 26,9 % di provenienza africana e il 20,2% di provenienza asiatica. La cittadinanza più rappresentata è quella romena con oltre 154.000 studenti. Gli alunni marocchini, 109.000 mila (12,6%), costituiscono la comunità più consistente del continente africano nonché la terza in valore assoluto in Italia. E gli alunni cinesi, quelli nati in Italia, rappresentano ben l’86% del totale (42.441 su 49.354). I cinesi appunto. Quelli che lavorano nei laboratori a sei anni e dormono fino a tardi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-fallimento-integrazione-2659472154.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="vanno-e-vengono-dalla-loro-patria-assenti-dalle-classi-per-settimane" data-post-id="2659472154" data-published-at="1677491934" data-use-pagination="False"> «Vanno e vengono dalla loro patria. Assenti dalle classi per settimane» In Italia le scuole in cui la maggioranza degli alunni è di origine straniera sono 859. Davanti all’istituto comprensivo Filippo Grimani di Marghera (Venezia), si vedono famiglie di ogni nazionalità. La tunica fino a terra. I pantaloni sotto la gonna. Le scarpe da ginnastica ai piedi. E quel velo che le copre tutte. Così aspettano i figli le mamme musulmane. La preside Marisa Zanon gestisce questa scuola da cinque anni. Com’è la situazione ora? «Abbiamo sempre tantissimi stranieri e pochissimi italiani. Sono famiglie che gravitano qui per motivi di lavoro, provengono da Bangladesh, Africa, Medio Oriente». Quante nazionalità avete? «Più di 40». E con la lingua come fate? «Abbiamo attivato i corsi per alfabetizzare. La lingua madre è la loro. La lingua 2 è l’italiano. Il sito l’ho fatto fare in quattro lingue. Qui parliamo inglese, francese, tedesco e spagnolo. Organizziamo corsi anche per le mamme». Ci sono casi di madri musulmane che non prendono i figli perché devono stare in casa? «Sì, ma anche qui ho dato istruzioni precise, può capitare una volta, il genitore poi deve sapere che in caso si chiamano i carabinieri». E li ha già chiamati? «No, ho solo minacciato finora di farlo». Quanti studenti ha? «Sono 1.270». E italiani? «Diciamo 1/3. Ogni anno facciamo una festa dove coinvolgiamo tutte le nazionalità». Ma vanno d’accordo? «Sì, i bambini sono bambini, è difficile capire se si tratti per esempio di un romeno o di un cecoslovacco, tranne quelli di colore e gli asiatici per ovvie ragioni somatiche». Ma il menù in mensa? «Noi rispondiamo alle esigenze di tutti». Alcuni vengono influenzati dalle famiglie? «Qui si cerca di dare a tutti la possibilità di espressione ma vige la regola della scuola italiana». E viene rispettata? «Abbastanza, anche se la tendenza degli stranieri è quella di non prendere la scuola come priorità». Ci sono casi di abbandono? «Sì, è un’abitudine abbastanza diffusa di andare e tornare in patria, lo fanno tutti, ma non è che stanno via una settimana, stanno via un mese e mezzo e questo crea problemi nel percorso di apprendimento». E in questi casi cosa fate? «D’accordo con la prefettura noi segnaliamo quando abbiamo assenze troppo lunghe. Poi con il consenso dell’ufficio del comune depenniamo e togliamo il bambino dagli elenchi oppure facciamo un lavoro con le famiglie». E bambine musulmane che vengono ritirate ce ne sono? «Lì c’è una lotta, le bambine non vengono molto valorizzate dalle famiglie, alcune le fanno tornare al paese di origine per sposarsi». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-fallimento-integrazione-2659472154.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="le-scuole-segnalano-ma-i-servizi-sociali-poi-non-si-attivano" data-post-id="2659472154" data-published-at="1677491934" data-use-pagination="False"> «Le scuole segnalano ma i servizi sociali poi non si attivano» Ma alla fine i servizi sociali cosa fanno? «È questo il problema, è lì che si incaglia tutto». Cristina Fantinati è un consigliere d’opposizione del comune di Novellara, quel comune emiliano conosciuto da tutti per la terribile storia di Saman. Fantinati si è occupata del caso, denunciando l’abbandono scolastico della ragazza pachistana. «Capisco la difficoltà di agire in questi casi però i regolamenti operativi che fanno muovere i servizi sociali vanno rivisti. Si deve agire quando c’è un campanello d’allarme». E invece? «Invece non agiscono, anche perché gli stranieri che vengono qui non sono molto stabili, vengono qua per lavorare i campi, i figli che dovrebbero andare a scuola alla fine lavorano anche loro e poi li rispediscono in Pakistan. La maggior parte fa così». Ma chi deve segnalare? Qual è il procedimento? «La scuola con la pec segnala al comune che il ragazzo non va a scuola. Il comune manda i vigili a verificare a casa, ma questi stranieri prendono partono tornano, se i vigili non li trovano, non è che poi tornano a verificare». E perché? «Perché dicono che c’è libertà di movimento e un pakistano non è che deve informare se torna al proprio Paese». Ma anche gli extracomunitari? «Sì e quindi il sindaco di un comune non ha mai la fotografia precisa di quanti siano effettivamente. Noi alla fine li accogliamo però di fatto non riusciamo a prendercene cura e la cosa così non funziona. Se i vigili vanno a casa e non trovano nessuno, se gli stranieri sono ancora registrati qui, la polizia locale ci deve tornare». Il regolamento è comunale? «È un protocollo della Regione Emilia Romagna, ma è una crepa, perché qua si ferma tutto. Bisogna prevedere che quando se ne vanno dall’Italia lo debbano comunicare». Anche Saman si era rivolta ai servizi sociali. «Sì e infatti Saman per essere ascoltata ha dovuto recarsi lei di persona ai servizi perché le segnalazioni non sono state prese in considerazione. Ma così facendo noi li perdiamo per strada. Questi ragazzi stranieri non frequentano la scuola. Anche i rom per esempio. Come fai a verificare l’abbandono scolastico? Diventa un problema politico». A Novellara ci sono altri casi? «Che sappia io no. Ma io abito in campagna e le vedo tutte queste donne, segregate chiuse in casa, non sanno l’italiano. Sono i mariti che vanno dal fornaio a far la spesa». A proposito, il sindaco Elena Carletti ha detto che ora la gente denuncia. «Ma mi faccia il piacere. Non mi vengano a dire questa cosa, perché alla fine anche se uno denuncia non serve a niente. Va modificata la procedura». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scuola-fallimento-integrazione-2659472154.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="tra-i-giovani-che-lasciano-le-aule-i-jihadisti-reclutano-le-nuove-leve" data-post-id="2659472154" data-published-at="1677491934" data-use-pagination="False"> Tra i giovani che lasciano le aule i jihadisti reclutano le nuove leve È venerdì mattina e i giovani musulmani che non vanno a scuola, sono tutti qui a far la fila per entrare in moschea. La moschea, quella dove ci troviamo ora, è a Marghera in provincia di Venezia. Da fuori sembra uno stambugio ricavato su un vecchio capannone industriale. Dentro accoglie centinaia di persone. Se ti avvicini e provi a entrare, ti respingono. E quando vedono che sei donna ti trattano come un insetto. Il rischio che questi giovani, che hanno abbandonato gli studi e nemmeno lavorano, si radicalizzino è assai alto. Noi della Verità ne abbiamo parlato con la saggista ed ex deputata Souad Sbai. «Il primo obiettivo della fratellanza musulmana», ci spiega, «è radicalizzare il maggior numero di persone, li preparano fin da piccoli, li tolgono dalla scuola italiana perché secondo loro quella italiana inquina». In Italia, infatti, 60 bambine musulmane su 100 sono costrette dai genitori ad abbandonare la scuola dell’obbligo tra la classe quinta elementare e la prima media. Scuole coraniche, finte moschee, centri di preghiera, moschee ricavate in vecchi magazzini, in negozi, palestre, casolari abbandonati; tutto contribuisce a spianare l’avanzata col beneplacito delle nostre istituzioni. Chi scrive aveva fatto un’inchiesta sui foreign fighters partiti da Belluno e andati a combattere in Siria. Tale Munifer Karamaleski, macedone, è partito nel 2013 da una frazione di Chies d’Alpago portandosi dietro la moglie e i tre figli che avrebbero dovuto frequentare la scuola in Italia. Così come Ismar Mesinovic, l’imbianchino jihadista, sempre nel bellunese, partito con il figlioletto di due anni. Mesinovic morì in battaglia ad Aleppo e la madre rimasta in Italia ancora cerca il figlio. Anche loro frequentavano le moschee del Paese. O il baby terrorista che voleva far saltare per aria il Ponte di Rialto, veniva dal Kosovo. Il Kosovo appunto. Uno stato grande quanto l’Abruzzo, dove convivono sei etnie differenti. Anche qui, quando ci siamo stati, parlando con le forze militari internazionali a guida Nato, le nostre fonti ci avevano spiegato che il rischio di radicalizzazione tra i giovani che abbandonano la scuola è elevato. I reclutatori fanno breccia sulla debolezza dei ragazzi, sul loro disagio economico, promettono soldi. «Questo sistema viene importato anche qua», spiega Sbai, «in futuro sarà un danno enorme, sarà un disastro perché troveremo ragazzi radicalizzati». Il 15 dicembre 2015, le conclusioni del Consiglio dell’Unione Europea «sulla riduzione dell’abbandono scolastico e sulla promozione del successo» a scuola, parlavano già di di radicalizzazione: «I tassi di abbandono scolastico sono particolarmente allarmanti per determinati gruppi, quali i bambini provenienti da contesti d’immigrazione (compresi i migranti appena arrivati e i bambini nati all'estero), i bambini rom e i bambini con esigenze educative speciali». E poi continuava: «Per prevenire l’emarginazione e l’esclusione sociale, come pure per ridurre il rischio di estremismo e radicalizzazione, è fondamentale garantire che tutti i giovani abbiano un accesso paritario a un’istruzione inclusiva». «Il problema», spiega Sbai, «è che quando in Italia ritiri una bambina da scuola a nove anni, il rischio che si radicalizzi è al 100%. Le bambine vengono ritirate presto, così le controllano e le sottomettono. Alcuni si organizzano a casa, fanno corsi per bambini e bambine e li plagiano. Oltre ai corsi privati ci sono le scuole coraniche in moschee fai da te. Gestiscono come mangi, come ti vesti, come cammini, cosa leggi, è una dittatura nello Stato democratico. Noi siamo in Occidente ma non ci siamo ancora resi conto che l’Afghanistan ce l’abbiamo in casa. Alcuni a 17 anni vengono reclutati tramite internet, ma ora è più difficile, il web è più controllato e quindi si stanno ben inserendo nel nostro tessuto sociale economico e politico. Loro fanno così, educano prima le femmine così non si ribellano. Ovvio che questo può portare a tutto, anche a un aumento della comunità radicalizzata. Del resto, l’abbiamo visto con Saman. Il padre pensa che la scuola l’abbia rovinata».
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
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