2025-04-30
Ultimatum di Bessent sulle tasse digitali Ue. The Donald intanto mette in riga Bezos
Il ministro come Henry Kissinger: «In Europa non so chi chiamare». Lite con Amazon sui dazi. Ma arriva lo sconto sulle tariffe auto.In Europa, il Parlamento magiaro approva la proposta di Viktor Orbán contro il tribunale «politicizzato», che vuole processare Benjamin Netanyahu. Plauso di Matteo Salvini. Antonio Tajani lo bacchetta: «L’Italia resta».Lo speciale contiene due articoliDonald Trump rimette in riga Jeff Bezos. Ieri era circolata l’indiscrezione che Amazon avrebbe indicato nei prezzi il costo dei dazi. «È un atto ostile e politico», ha tuonato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, chiedendosi come mai «Amazon non ha fatto questo quando l’amministrazione Biden ha portato l’inflazione al livello più alto degli ultimi 40 anni». A stretto giro la replica di Amazon che, come ha riportato Bloomberg citando un portavoce della società, ha giurato di «non aver mai preso in considerazione» una soluzione di questo tipo. L’idea di esporre il costo dei dazi invece è stata della «squadra che gestisce il negozio ultra low cost Amazon Haul per alcuni prodotti. Ma non è mai stato preso in considerazione dal sito principale di Amazon». La giustificazione però non ha convinto Trump che, come riportato dal Cnn, ha chiamato Bezos per lamentarsi. Il botta e risposta tra i due è arrivato proprio mentre si svolgeva un briefing in occasione della settimana dei primi 100 giorni del secondo mandato del presidente, in cui il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent, illustrava i risultati della strategia commerciale dell’amministrazione e i passi in avanti nei negoziati sui dazi, con i vantaggi già incassati dagli Stati Uniti.In risposta alle voci critiche, Bessent ha spiegato che «le entrate generate dalle tariffe sulle importazioni potrebbero essere utilizzate per finanziare tagli all’imposta sul reddito». Quindi, meno tasse per tutti. Poi ha annunciato che «ci saranno contatti con almeno 17 partner commerciali nelle prossime settimane» per ridefinire gli accordi esistenti. Ma al momento non ha voluto scoprire le carte. Quanto alla Cina, «sta perdendo milioni di posti di lavoro molto velocemente a causa delle barriere doganali insostenibili». L’obiettivo di Trump, ha rimarcato Bessent, è di «costruire una strategia per ottenere il miglior accordo commerciale per gli americani», con scambi che «devono essere equi». Ha ricordato che tra gli obiettivi principali dell’amministrazione c’è il rilancio della produzione automobilistica. A questo scopo, ha detto, «Trump ha incontrato produttori auto domestici e stranieri per riportare la produzione in America». Dalla Casa Bianca poi è arrivato l’annuncio della firma, da parte del presidente, di un ordine esecutivo per «alleggerire» alcuni dei nuovi dazi al 25% sull’import di auto e parti di auto. «I colloqui con le case automobilistiche ci hanno fatto capire che avrebbero fermato assunzioni e investimenti», ha detto il segretario al Commercio, Howard Lutnick. Oltre all’automotive, Bessent ha ribadito che Washington «vuole riportare negli Usa la produzione di acciaio, di farmaci e dei semiconduttori».E l’Europa? Su questo fronte, Bessent ha lanciato una stoccata a Bruxelles, ricordando la battuta di Henry Kissinger («Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?»). Prima di sedersi al tavolo negoziale, ha detto, la Ue deve parlare una voce sola, cominciando a «risolvere alcune questioni interne», come la digital tax. «Una tassa ingiusta che colpisce i nostri fornitori di internet», ha protestato Bessent e sulla quale in Europa non tutti la pensano allo stesso modo. Ha ricordato che «i nostri amici in Italia, in Polonia e in Germania non hanno introdotto questa misura». Quindi prima di affrontare una trattativa sulle tariffe, la Ue «deve rimuovere questa tassa».Bruxelles però continua a mostrare i muscoli. In serata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha usato toni sferzanti: «I dazi sono un danno per tutti, dobbiamo impedirlo. Fanno male a Wall Street ma anche a Main Street», ha detto citando Trump. «Milioni di cittadini dovranno fare i conti con un aumento della spesa e le medicine costeranno di più». Anche Piero Cipollone, della Bce, ha delineato uno scenario drammatico, parlando del rischio «di una perdita del ruolo dominante del dollaro».Eppure la strategia di Trump ha già portato oltre 100 Paesi a presentarsi al tavolo negoziale per discutere dei dazi e offrire «termini più favorevoli» agli Stati Uniti, ha detto la portavoce della Casa Bianca. Ci sono poi «gli oltre 345.000 posti di lavoro, di cui 9.000 solo nel settore manifatturiero, in netto contrasto con i 6.000 persi ogni mese durante l’amministrazione Biden». Leavitt poi ha sottolineato «il calo dei prezzi per famiglie e imprese e la fine della guerra spietata di Biden contro l’energia americana e i combustibili fossili. I prezzi di petrolio e gas sono diminuiti e il costo della benzina è sceso del 7%». La portavoce ha poi sottolineato che sono arrivati investimenti «da tutto il mondo per oltre 5.000 miliardi di dollari, inclusi 500 miliardi da Apple, 500 miliardi da Nvidia, 100 miliardi da Tsmc, 500 miliardi da OpenAi e Softbank. Porteranno almeno 451.000 posti di lavoro ad alto reddito per i lavoratori americani».Anche se sugli oltre 100 negoziatori viene mantenuto il più stretto riserbo, Bessent ha rivelato che entro le prossime due settimane si dovrebbe arrivare a un accordo commerciale con l’India. Progressi ci sono anche nei colloqui con Giappone e Corea del Sud. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/scott-bessent-tasse-digitali-ue-2671865780.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lungheria-esce-dalla-corte-penale" data-post-id="2671865780" data-published-at="1745968539" data-use-pagination="False"> L’Ungheria esce dalla Corte penale Il Parlamento ungherese ha approvato ieri la proposta del governo di Viktor Orbán di avviare il ritiro del Paese dalla Corte penale internazionale, una decisione annunciata già a inizio aprile durante la visita a Budapest del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, sul quale, da novembre scorso, pende un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra nella Striscia di Gaza. Allora, Orbán aveva denunciato come la decisione riguardante Israele dimostrasse chiaramente che la Corte penale con sede all’Aia - da non confondersi con la Corte internazionale di giustizia - non sia più imparziale. «Con questa decisione ci rifiutiamo di far parte di un’istituzione politicizzata che ha perso la sua imparzialità e credibilità», ha annunciato sui social il ministro degli Esteri magiaro, Péter Szijjártó. Per tutta risposta, sono arrivate le parole di Anouar El Anouni, portavoce della Commissione europea, il quale ha osservato come l’Ue abbia «una posizione piuttosto chiara sulla faccenda. Sosteniamo la Corte penale internazionale e i principi stabiliti nello Statuto di Roma. Rispettiamo l’indipendenza e l’imparzialità della Corte e siamo fermamente impegnati a favore della giustizia penale internazionale e della lotta contro l’impunità». «Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea», prosegue El Anouni, «l’Ungheria è tenuta a sostenere attivamente e senza riserve la politica di sicurezza esterna dell’Unione, in uno spirito di lealtà e di solida garanzia reciproca, e a conformarsi all’azione dell’Unione in questo settore». Anche in Italia non sono mancate le reazioni alla notizia e in proposito le voci dei due vicepremier sono discordanti. Matteo Salvini, leader della Lega, ha definito quella dell’Ungheria una «scelta di giustizia e libertà, di sovranità e coraggio», mentre il suo omologo di Forza Italia, Antonio Tajani, si è espresso diversamente: «Quella di Salvini è la sua opinione. La mia è differente ma non è che devo commentare tutto. Non credo che dovremmo uscire dalla Cpi. L’Italia deve rimanere». Intanto, alcune settimane fa, la Corte penale aveva chiesto spiegazioni al governo ungherese in merito al suo rifiuto di eseguire il mandato di arresto internazionale emesso dal tribunale contro il premier israeliano Netanyahu. Secondo il Times of Israel, «la richiesta è stata fatta ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 7, dello Statuto di Roma, che consente l’avvio di procedimenti contro gli Stati che non collaborano con la Corte, “impedendo così alla Corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri previsti dallo Statuto”». «Israele», procede il giornale dello Stato ebraico, «come gli Stati Uniti, non è parte della Corte dell’Aia, che si affida alla cooperazione degli Stati membri per far rispettare i suoi mandati. I Paesi membri della Cpi sono tenuti ad agire sui mandati d’arresto della Corte, ma non sempre lo fanno».
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
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