2023-07-15
«Scordare Palestrina è un delitto: è lui il genio del Rinascimento»
Peter Phillips (Getty Images)
Il padre dei Tallis Scholars Peter Phillips, gruppo vocale inglese considerato l’apice nella polifonia del Cinquecento: «Da 50 anni inseguiamo la perfezione».A dar retta alla stampa internazionale, ascoltare le «rock star della musica vocale del Rinascimento» (New York Times) è «la cosa più vicina a un’esperienza extraterrestre che si possa provare stando seduti in una sala da concerto» (The Observer). Figuriamoci cosa può accadere se al posto di un teatro di Londra o di Manhattan, con qualche decennio di storia, il luogo prescelto è un gioiello dell’arte bizantina del VI secolo, patrimonio dell’Unesco. A scoprirlo ci penserà il pubblico che domani sera varcherà la soglia della basilica paleocristiana di Sant’Apollinare in Classe per assistere all’esibizione numero 2.500 dei Tallis Scholars, il complesso vocale britannico che non teme rivali quando si tratta di eseguire i capolavori di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Josquin Desprez o Tomás Luis de Victoria. Una perla nascosta nel programma smisurato del Ravenna Festival 2023, che da inizio giugno riesce misteriosamente a far convivere Frank Zappa e Giovanni Testori, Laurie Anderson e Italo Calvino, le vie dell’Amicizia di Riccardo Muti e un rave di musica classica - a prova di decreto - che questa notte promette sorprese. L’avventura dell’ensemble inglese, invidiato per la purezza e per la fusione timbrica delle sue dieci voci, inizia nel 1973 nella mente del fondatore e direttore, Peter Phillips, all’epoca ventenne. «Come un pensiero fisso», racconta alla Verità, «nel mio cervello si era conficcato un suono ideale. Ricrearlo e si è rivelata un’impresa tutt’altro che semplice. Il primo problema è stato trovare le voci giuste. Poi ho dovuto spiegare ai cantanti il risultato che desideravo. Il resto sono lunghi anni di duro lavoro insieme». Sotto gli splendidi mosaici di Sant’Apollinare vi eravate già esibiti. Ma questa occasione è speciale perché riceverete il Premio Ravenna Festival 2023, che celebra il vostro primo mezzo secolo in tour. Vi emozionate ancora?«Certamente. I concerti, per quanto mi riguarda, sono l’unica cosa che riesce a farmi dimenticare quanto gli aeroporti e le sveglie all’alba siano orribili». (ride). «Ci mettiamo sempre in viaggio molto presto, il giorno stesso dell’esibizione. Arriviamo, proviamo e andiamo in scena. Possono essere giornate molto dure e lunghe, per una settantina di date all’anno, ma la passione non ci abbandona. Riguardo a Ravenna, ho un bellissimo ricordo del Festival e del concerto del 2016 in questa straordinaria chiesa carica di storia. Anche l’acustica è perfetta: il tempo di riverbero non è né eccessivo, né troppo breve. Domani l’equilibrio della basilica ci darà una mano».A proposito di sale da concerto fuori dal comune: nel 1994, per inaugurare degnamente lo storico restauro degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, l’invito ai Tallis Scholars fu la scelta più naturale. Che effetto le fece eseguire il Miserere di Gregorio Allegri proprio là dove un quattordicenne Wolfgang Amadeus Mozart rischiò la scomunica «trafugandone» la partitura, che riuscì a memorizzare e a trascrivere dopo soli due ascolti, il Mercoledì e il Venerdì santo del 1770?«Probabilmente è stata l’esecuzione più emozionante della nostra carriera. Non si è trattato di un concerto, ma di una registrazione televisiva. Fu un’esperienza surreale, soli, per tutto il giorno a tu per tu con il Giudizio universale, mentre gli operatori cercavano l’inquadratura perfetta. Immaginando come dovesse essere l’Ufficio delle Tenebre dell’epoca (la Sistina, illuminata solo da 27 candele che venivano gradualmente spente, a ogni salmo sprofondava sempre più nel buio, simboleggiando il venir meno della fede degli apostoli durante la Passione di Cristo, ndr), chiesi al secondo coro di posizionarsi dietro la galleria, in modo che il Do acuto dei soprani provenisse da un luogo il più possibile nascosto e misterioso».Torniamo per un attimo ai vostri primi passi. Che obiettivi vi eravate dati all’inizio del percorso?«Più che i traguardi era chiaro il metodo: una disciplina ferrea nella preparazione dei concerti e un estremo rigore nel mantenere la direzione intrapresa. Molti gruppi partono in un modo e poi si perdono, cantando un po’ di tutto. Noi volevamo confrontarci soltanto con la polifonia rinascimentale, eseguendola nel migliore modo possibile».Senza deroghe?«Esatto, niente madrigali, niente romanticismo, niente Johann Sebastian Bach». Come mai?«Non è una questione di gusti musicali, Bach è ovviamente grandioso, ma richiede una disciplina diversa. Implica l’utilizzo di strumenti musicali, mentre noi abbiamo deciso di cantare solo a cappella».E senza raddoppi: per ogni parte una sola voce.«Esatto, è ciò che distingue un gruppo vocale - ovvero ciò che abbiamo scelto di essere - da un gruppo corale». Il vostro nome è un tributo a Thomas Tallis, il più grande compositore inglese del Cinquecento. Servì quattro sovrani (Enrico VIII, Edoardo VI, Maria I ed Elisabetta I), ma in qualche modo venne travolto dalla storia. Assistette allo scisma anglicano e nelle sue composizioni fu costretto a passare dal latino all’inglese, pur rimanendo cattolico fino alla fine.«Riguardo alla fede di Tallis, direi che questo aspetto è molto più evidente nella vita del suo allievo, William Byrd, che rischiò continuamente la vita in quanto cattolico. Tallis, parlando meno, arrivò tranquillamente agli 80 anni... Sul nome, le confesso che fu una scelta fortunata, dettata dal fatto che gli altri grandi compositori rinascimentali erano già “occupati”. La musica di Tallis 50 anni fa non era conosciuta come lo è adesso».Come se lo spiega?«Era considerata troppo difficile per essere eseguita. L’esempio più calzante è Spem in alium, un mottetto per 40 voci, da noi inciso: probabilmente il brano più complesso che sia stato composto per un gruppo vocale. Il merito di questa recente riscoperta comunque non è soltanto nostro». Mi permetta una battuta: è solo un caso quindi se non vi chiamate Palestrina Scholars, in onore del «principe» della scuola romana? «In effetti negli anni Settanta il suo nome era abbastanza comune tra i cori...» (ride). «Però le faccio una confidenza: del termine “Scholars” alla fine mi sono pentito. Dà l’idea che si tratti di un coro di studenti, ma non abbiamo più l’età per stare tutto il giorno in biblioteca. Parlando seriamente di Palestrina, è semplicemente il compositore più sottovalutato di tutti i tempi. Lo dico a voi italiani: non dimenticatelo. La sua è una delle più belle musiche mai scritte».La leggenda narra che con la sua Missa Papae Marcelli salvò la polifonia dal Concilio di Trento. Ed è universalmente considerato un maestro assoluto nel contrappunto. Qual è però, secondo lei, il tratto che lo rende unico?«Molti colleghi di Palestrina eccellono nella tristezza e nel dolore, anche se comporre musica penitenziale forse non è così complicato. In pochi invece sanno esprimere la gioia come Palestrina».E secondo lei perché viene sottovalutato anche oggi? «È un grande pedagogo e la sua grandezza costringe a studiarlo, per questo è passata l’idea che sia un autore noioso. La sua biografia poi è considerata poco “sexy” perché ha avuto pochi drammi rispetto a compositori più depressi e problematici. In realtà la sua scrittura musicale rasenta la perfezione. Tutti i giganti che sono venuti dopo di lui, a cominciare da Ludwig van Beethoven, se ne sono accorti». Un’ultima curiosità, la vostra fedeltà al Rinascimento in realtà prevede qualche piccolo strappo alla regola. Ad esempio con i contemporanei John Taverner e Arvo Pärt.«Nel caso di Taverner fu lui a comporre dei brani appositamente per noi. La scoperta di Pärt invece è stata incredibile. È l’unico compositore del nostro tempo che sembra provenire dallo stesso mondo di Palestrina e Tallis, anche se non ha alcuna intenzione di scrivere una musica rivolta al passato. Abbinarlo alla polifonia rinascimentale cambia completamente la prospettiva ai concerti».Per via dell’apparente semplicità dell’opera del compositore estone o per la sua profondità spirituale? «Io ci vedo innanzitutto una genialità musicale. Il suo sistema compositivo, ispirato dalle campane è unico. Dopo un brano di Pärt l’orecchio non chiede altri ascolti, ma il silenzio, per restare nel luogo che lui ha creato».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.