2019-10-07
Sconfitto il tortellino dell’accoglienza. Ora rilanciamo i cibi della tradizione
La globalizzazione ha cancellato le ricette antiche che vanno recuperate. Perché anche mangiare è una rivoluzione politica.Che cos'è la tradizione? La risposta migliore, più che in mille parole pompose, sta in una scena dell'infanzia. Il bambino che osserva la nonna mentre prepara la pasta fresca, la vede armeggiare con gli ingredienti che compongono il ripieno e le domanda: perché fai in quel modo? La nonna risponde, sbrigativa: perché si fa così. La tradizione è tutta lì, in quella frase: si fa così.Si fa così perché lo fa la nonna, e lo ha fatto la sua mamma prima di lei e sua nonna prima ancora. E poi la sua bisnonna e i suoi antenati generazione dopo generazione. Si fa così perché il nostro popolo, la nostra gente, fa in questo modo da sempre. Non ha bisogno di manuali, di leggi e di regolamenti: sa fare da sola perché si è tramandata - tramite lo sguardo e la pratica - un sapere antico e un po' misterioso. Un rito che, se eseguito con precisione e devozione, magicamente rinnova ogni volta il miracolo. Un bel giorno ecco un'altra domanda: perché vi accanite così tanto contro i tortellini con il ripieno di pollo? Perché vi ostinate a ripetere che serve il maiale? Risposta: perché si fa così. Perché così fa la nostra gente da generazioni, e quella è la norma, la tradizione. Quello è il rito che consente il ripetersi della magia. Ora che il tortellino è stato giustamente difeso, tuttavia, urge una riflessione ulteriore. Ci siamo preoccupati che la tradizione non fosse svenduta per consentire ridicoli ossequi al politicamente corretto. Abbiamo alzato la guardia per evitare che il grottesco «tortellino dell'accoglienza» svilisse l'eredità dei nostri avi. Adesso tocca domandarsi: ma quanti di noi sarebbero in grado di ripetere il rito da soli? Quanti potrebbero preparare i tortellini in casa senza l'aiuto di un tutorial di Youtube? Pochissimi, probabilmente. Ci riuscirebbero, forse, coloro che hanno potuto vedere con i propri occhi la mamma o la nonna (o il papà e il nonno) rigirare la pasta attorno alle dita e tirare la sfoglia a mano. Ma tutti gli altri? Ed eccoci al punto: la tradizione non va difesa soltanto dagli assalti del buonismo d'accatto o dalle pretese delle minoranze aggressive. Dobbiamo difendere la tradizione anche da noi stessi, dalla superficialità dell'Occidente, dal sistema frenetico che ci cancella la memoria e ci ha fatto smettere di frequentare il passato. È spiacevole da dire, ma non è sufficiente difendere il tortellino una volta all'anno e solo se scoppia una polemica mediatica, se poi il resto del tempo preferiamo comprare cibo vegano o ci facciamo sfamare dai take away orientali. È pieno di giovani milanesi che fanno la fila davanti alle rivendite di ravioli cinesi. Ma quanti di loro conoscono la pasta fresca italiana? Quanti invece preferiscono evitarla perché «fa ingrassare» o è «troppo pesante» da digerire? La grande battaglia del futuro è proprio quella in difesa del cibo tradizionale. Le mode, la globalizzazione e il mercato hanno spazzato via le ricette antiche. Hanno svilito i piatti tradizionali, salvo poi riproporceli - anni dopo -sotto forma di spettacolo. Oggi compriamo da Eataly gli stessi prodotti che vent'anni fa erano considerati «roba da provinciali». Riscopriamo attraverso il Web e i format televisivi una cucina che è stata vilipesa per decenni: decostruita, modificata geneticamente, perfino derisa. Da una parte è un bene che la riscoperta avvenga. Ma dall'altra tutto ciò porta a un'amara constatazione: nell'arco di una ventina d'anni abbiamo perso il contatto con le radici. Il cibo casalingo - quello vero, non quello riveduto e corretto a uso dei «foodies» modaioli - è in via di estinzione. Uno dei più grandi esperti di alimentazione del mondo, Michael Pollan, ha detto in una bella intervista alla rivista Kai Zen: «Cucinare è diventato fuori moda e di conseguenza la popolazione ha iniziato a soffrire problemi di salute […]. In pratica ci siamo fregati da soli: siamo passati dal cucinare il cibo al produrlo». In un colpo solo abbiamo danneggiato la nostra salute e dimenticato un patrimonio culturale immenso. Ecco perché ora è il momento di iniziare la vera resistenza. Riprendiamo, ogni volta che è possibile, a cucinare in casa i prodotti della tradizione italiana. Mangiare è un atto politico, cucinare è un atto politico. Tirare la sfoglia è rivoluzionario. Difendiamoci dal tortellino dell'accoglienza, ma pure da un sistema che ci toglie tempo, soldi ed energie. Che non permette alle famiglie di riunirsi intorno a un tavolo la domenica o fra la settimana, che ci isola dalla comunità e dal pranzo insieme. La minaccia non è il tortellino dell'accoglienza in sé: è il tortellino artificiale dentro di noi.
(Totaleu)
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