2018-08-16
Nicola Gratteri: «Sconfiggo la paura parlando con la morte»
Il procuratore di Catanzaro, bestia nera della 'ndrangheta: «Ho la scorta dal 1989, il timore non lo scacci ma puoi addomesticarlo». Gli immigrati? «È impossibile prenderli tutti, i clan prosperano sull'accoglienza». La vera riforma carceraria: «Prigioni più grandi».«Un giorno spararono alla casa della mia fidanzata e a lei arrivò un messaggio: sposerai un morto. Ma è calabrese, ha la testa dura e mi ha sposato lo stesso». Il dottore è in ufficio. Nicola Gratteri si concede un momento di relax, alza la testa dai faldoni di Ferragosto, la squadra farà le ferie più avanti. La sua stanza in Procura è il cuore della trincea, perché se Cristo si fermò a Eboli lo Stato non si fermi in Calabria, dove lui costituisce il baluardo più concreto alla liquida, pervasiva avanzata della 'ndrangheta.Dalla scrivania ingombra, come da una torretta d'osservazione, il procuratore di Catanzaro (60 anni, saggista per hobby, Fiumi d'oro il suo ultimo libro scritto con Antonio Nicaso) guarda l'Italia e i suoi problemi. La criminalità organizzata, la tratta dei migranti, la giustizia dal passo lento, lo stop alla sua nomina a ministro della Giustizia, le riforme proposte invano a Matteo Renzi, la stagione del cosiddetto cambiamento. Soprattutto la politica dei fantasmi che aiuta i criminali a vincere la guerra. «Perché la 'ndrangheta controlla il battito cardiaco del territorio stando qui 24 ore su 24 per 365 giorni l'anno, mentre i politici si fanno vedere solo a 20 giorni dalle elezioni».Signor procuratore, la 'ndrangheta è davvero il problema numero uno del Paese?«La sua presenza impoverisce l'Italia togliendole il 9% del Pil, secondo studi tecnicamente molto seri. E la latitanza della politica fa il suo gioco, la aiuta a moltiplicare gli affari in ogni regione, anche all'estero. In Piemonte c'è dal 1975, in Lombardia domina i paesi che circondano Milano, in provincia di Reggio Emilia è una potenza. Le famiglie arrivano in Germania, in Slovacchia. E il narcotraffico è il moltiplicatore più efficace di denaro».In che senso?«La 'ndrangheta importa l'80% di cocaina in Europa e la compra dai produttori a un prezzo di favore: 1.000 euro al chilo mentre le altre mafie non spuntano più di 1.800 euro al chilo. Con un chilo tagliato con la mannite escono quattro chili di prodotto da consumo. Un grammo di coca costa 50 euro. Faccia lei, in questo sono i più bravi. Quando l'ho raccontato alla conferenza antidroga di Rotterdam (invitato dalla Dea americana, ndr) ho visto il premier olandese seriamente preoccupato. Buon segno».E cosa si potrebbe fare per arginare il flusso?«La forma più economica per combattere il narcotraffico è un viaggio in Sudamerica nei tre Paesi produttori - Colombia, Bolivia e Perù - per stringere un accordo governativo. Bisogna dire ai contadini che guadagnano 100 con la cocaina e 40 con il caffè: i 60 che mancano te li do io».Bisognerebbe fidarsi.«Per niente. Bisognerebbe rimanere lì a controllare che da domani i contadini producano davvero caffè. Così si risparmierebbero anche i miliardi di investimenti in intelligence e polizia per combattere il fenomeno. Ma quello che le sto dicendo è pura utopia».Perché?«Perché i tre Stati non accetterebbero mai».E si torna alla politica, alla sua debolezza. Lei l'ha toccata con mano presiedendo la commissione Riforme alla lotta alla criminalità voluta dal governo Renzi nel 2014. Il vostro lavoro è rimasto in un limbo?«Eravamo in 15. Magistrati, avvocati, docenti universitari che nel 2014 gratuitamente si sono messi a disposizione per affrontare i problemi e migliorare le leggi. Ci siamo detti: cominciamo con modifiche ovvie che servano a far funzionare la macchina processuale e vediamo l'effetto che fa: 266 pagine per la modifica di 150 articoli. Ne è stato applicata una sola».Quale, per curiosità?«Quello del processo a distanza. Se un detenuto a Tolmezzo ha un processo a Catania, ieri doveva essere trasferito da Tolmezzo a Trieste, poi in aereo a Roma e ancora in aereo a Catania. E la mattina dopo in tribunale con un cellulare. Il tutto con cinque uomini di scorta per evitare evasioni o comunicazioni criminali. Costo dei trasferimenti ogni anno: 70 milioni».Oggi quel detenuto che fa?«Resta a Tolmezzo e si collega in video. Per questo articolo gli avvocati hanno fatto cinque giorni di sciopero». L'articolo a cui teneva di più?«Per esempio, da ogni parte si sente la necessità di velocizzare il processo. Mettiamo che in dibattimento ci siano 40 testi, che il giudice ne abbia sentito 37 e venga trasferito. Oggi si ricomincia daccapo. Ecco perché c'è eccesso di prescrizione, perché i processi si fanno almeno due volte».E il rimedio quale sarebbe?«Per evitare di far risentire al nuovo giudice 37 testi invece dei soli 3 rimanenti, avevamo previsto la videoregistrazione. Una telecamera digitale in alta definizione che riprenda il teste e ne restituisca anche l'emotività che accompagna le risposte. Piccole modifiche fattibili, nessuna lesione delle garanzie dei difensori».Tutto al macero?«Per la verità questo articolato non è il quarto segreto di Fatima ed è a disposizione del ministero della Giustizia. Le norme sono compito dei legislatori, noi possiamo solo applicarle».Lei è andato vicinissimo ad essere Guardasigilli.«Matteo Renzi mi aveva chiesto la disponibilità e io gliel'avevo data per provare a realizzare le cose che avevo in testa. Poi non è avvenuto. A me è stato detto che l'allora capo dello Stato, Giorgio Napolitano, mi aveva stoppato».E perché lo avrebbe fatto?«Sono un uomo di legge, dico ciò che riesco a provare».Fra i suoi cavalli di battaglia c'è la riforma carceraria.«Da decenni si parla di sofferenza. E quando il problema viene a galla si annuncia la costruzione di nuove carceri; si istituisce come ha fatto il ministro Angelino Alfano una commissione di architetti per farle belle; si operano piccole modifiche all'ordinamento penitenziario per far uscire qualche migliaio di detenuti ed evitare le sanzioni dell'Ue. È la politica dell'emergenza, come se il problema fosse un temporale d'agosto».E invece?«Da noi le carceri più grandi hanno 1.300 posti, sono tante e piccole, con un dispendio notevole in direttori, economato, segreteria, ragioneria. A New York c'è un carcere con 18.000 posti, a Miami uno con 7.000. Con carceri da 5.000 detenuti risolveremmo numericamente il problema risparmiando».C'è anche la parte non numerica, quella dedicata al recupero del detenuto.«Ma con il sovraffollamento e la carenza di personale le carceri sono contenitori. Così quando il trafficante di droga esce, torna a fare il trafficante. Come l'estorsore o l'usuraio. Quando vado a parlare di centri di rieducazione dei tossicodipendenti, mi raccontano la vita che fanno: ogni 10 solo 4 ce la fanno a venirne fuori. Solo la dignità del lavoro può rieducare un condannato».Come risolvere il dramma?«Con i lavori socialmente utili. Pulire le fiumare per evitare gli incendi, le spiagge dopo le mareggiate, i fiumi contro le inondazioni».Il vicepremier Matteo Salvini ha detto che lei sarebbe il suo ministro della Giustizia ideale.«Mi fa piacere e lo ringrazio, ma non c'è bisogno. Posso tranquillamente collaborare da procuratore per migliorare il sistema giudiziario e penale con una certa esperienza».Stando in trincea ha qualche idea anche sulla tratta dei migranti?«Quando abbiamo contribuito alle indagini sul Cara di Capo Rizzuto abbiamo scoperto che la 'ndrangheta si era accaparrata 120 milioni in 9 anni. Ho più volte ripetuto in varie commissioni che dovremmo smettere di considerare il fenomeno delle migrazioni come temporaneo. Loro partono da quattro Paesi del Centroafrica, andiamo a capire chi attraversa il deserto e perché».E una volta capito?«Un dollaro in Europa vale otto dollari in quegli Stati. Avremmo risposte positive mandando imprese italiane, tedesche, spagnole a costruire strade, scuole, aziende agricole, pozzi, impianti fotovoltaici. Non possiamo pensare all'Africa sempre e solo come una mucca da mungere. Petrolio e diamanti. Nessuno lascia il proprio Paese senza motivo, il luogo più bello del mondo è dove si nasce».Lei criticò molto la scelta dell'ex ministro Marco Minniti di realizzare campi d'accoglienza il Libia. Perché?«Perché mentre noi parliamo, nelle gabbie costruite con i soldi europei ci sono ragazze violentate, bambini venduti per il trapianto di organi. La politica del mondo occidentale non può essere questa. Dov'è la nostra cultura? Non possiamo certo accogliere tutti, ma dobbiamo lavorare con più impegno e con meno egoismo».Non ha paura a stare in trincea a Catanzaro?«Sono arrivato qui due anni fa, c'erano tristezza e desolazione. Ora i colleghi sono orgogliosi di appartenere a questa squadra, abbiamo triplicato gli arresti, i giovani magistrati chiedono di essere destinati a questa procura. Qui c'erano fascicoli fermi dal 1999, dopo un anno gli arretrati arrivano al 2013. La paura c'è ma ti diventa compagna».E come la si scaccia?«Sono sotto scorta dal 1989, non vado al cinema da 20 anni, al mare da 30. La paura non la scacci, al massimo la addomestichi parlando con la morte. Così vai avanti perché sai che per questa gente rappresenti l'ultima spiaggia. Come in un consultorio, dedico un giorno alla settimana a ricevere le persone».Dottore Gratteri, non si vedrà anima viva.«Invece c'è la fila fuori. Nella Calabria omertosa ci sono persone che si siedono davanti a me a raccontare cose gravissime. Parlano, ci credono, sentono lo Stato».Anche a Ferragosto?«Si lavora. Sennò poi ti licenziano per scarso rendimento».