
«Fuori dal coro» svela le mail di un esperto, che accusa l’esecutivo: «Non ci ha coinvolto nella decisione di costringere gli ultracinquantenni a vaccinarsi». E ammette: «La tessera? Misura politica, non sanitaria».Perfino il Comitato tecnico scientifico (Cts) è spiazzato da alcune scelte del governo, compreso il green pass. Come rivelato ieri sera da Fuori dal coro, su Rete 4, un importante membro del Cts - in una email del 5 gennaio mostrata nel servizio televisivo - si dichiara «sconcertato» di come vengono prese «certe decisioni» e sulle «modalità con cui vengono prese». Il riferimento è all’introduzione dell’obbligo vaccinale per gli over 50 appena introdotto dal governo Draghi. L’esperto del Cts, nello scritto, si dice sorpreso nell’apprendere di tale provvedimento, visto il «mancato coinvolgimento» dello stesso comitato nel processo decisionale. Proprio lo scienziato si definisce «alquanto perplesso» di questo andazzo. Del resto, se un gruppo di esperti viene chiamato dal governo con l’intento di indicare le scelte da fare in base alle evidenze scientifiche e non viene coinvolto in una decisione come l’obbligo vaccinale - che però viene giustificato dallo stesso capo del governo «sulla base dei dati» - può legittimamente sentirsi un po’ strumentalizzato. Il problema è che, quanto accaduto per l’obbligo vaccinale, si era già verificato anche a novembre in tema di obbligo di green pass. L’altissimo membro del Cts smentisce la natura sanitaria del documento. Come fa notare nell’email, «è un provvedimento di natura amministrativa», una «decisione politica» che ha «una finalità di sanità pubblica». A suo avviso, però, attraverso il certificato verde, si fa «pesare la tutela della comunità più del diritto individuale». Sono parole decisamente in disaccordo con il racconto ufficiale che è arrivato dal versante politico. Insomma, quella che il governo fa passare per scelta presa su «evidenza scientifica», «piena e compiuta evidenza scientifica» in questi due casi sembra piuttosto essere una scelta arbitraria. Del resto, sul green pass la narrazione è cambiata più volte. Introdotta come misura per evitare il contagio (doveva essere la «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose», giurò Mario Draghi), la certificazione è stata poi difesa come «spinta gentile» per convincere la gente a vaccinarsi. Ma visto che non bastavano le due dosi, la card è diventata super, in modo tale che si accelerasse sulla terza. Ora, poi, la carta verde è diventata necessaria anche per andare a scuola. Inquieta che, senza nessuna base scientifica, ma solo per una questione politica, il green pass stia diventando un sistema premiale per il diritto allo studio. Lo dichiara proprio l’immunologo della Statale di Milano, Sergio Abrignani, componente dello stesso Cts. Ieri, in un’intervista al Corriere della Sera, a proposito della scarsa adesione alla campagna vaccinale dei bambini 5-11 anni, l’esperto affermava: «La speranza è che, con le nuove norme sulla scuola, le famiglie si sentano incentivate. I bambini immunizzati non andranno in didattica a distanza, una specie di premio per loro stessi e per i genitori». Insomma, Abrignani è un tecnico, conferma la sua terzietà rispetto alla politica («I nostri pareri tecnici sono stati evidentemente un ausilio per i decisori», ribadisce), ma rivendica che la vaccinazione abbia un impatto sul diritto allo studio. Il meccanismo premiale tra i banchi di scuola innesca infatti una compressione dei diritti costituzionali, il cui bilanciamento è materia squisitamente politica. Come ha già segnalato la Verità, il green pass, in effetti, ora serve anche a scuola. In caso di contagi in classe, il decreto del 27 gennaio prevede che i docenti controllino quotidianamente il documento. Fra le righe dell’ultimo dl è scritto che la riammissione in classe dopo la sospensione delle attività didattiche, a seguito di casi di positività, per gli alunni che non debbono effettuare test antigenico o molecolare, gli insegnanti «mediante l’applicazione mobile» faranno la «verifica delle certificazioni verdi». Non sono chiari quali siano i presupposti scientifici, ma tant’è. Eppure, come fa notare lo stesso Abrignani «con l’85% della popolazione vaccinata abbiamo praticamente ripreso in pieno la vita normale. Per i cittadini con green pass non esistono luoghi preclusi». Certo: basta esibire il green pass ogni dove, a scuola, nei negozi, in posta, dal parrucchiere. Anche in questo caso è inutile cercare dati o evidenze scientifiche. L’unica notizia buona sembra essere l’annunciata fine dello stato di emergenza per il 31 marzo, ma essa potrebbe non coincidere con la fine del green pass. Non serve nemmeno cercare la motivazione scientifica. Viene da domandarsi se, mentre si marcia verso la fine dell’emergenza e in un contesto in cui le scelte sono prese (anche) senza consultare il Cts, questo comitato abbia ancora significato. Sulla questione, Abrignani fa notare che «il governo non ci ha ancora licenziati. Se riterrà che non siamo più utili non ci resterà che ringraziare e tornare a casa». È evidente che qualcosa non torna persino all’interno del Cts.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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