2021-06-20
La scienza è finita in un vicolo cieco. Più si crede logica, più è irrazionale
Sganciamento dall'uomo e recisione di ogni legame con il divino: nella pandemia è diventata manifesta la crisi già anticipata da Edmund Husserl ai primi del Novecento. Ma così il metodo non è più strumento di lettura della realtà.Stupisce, nel dibattito di grandi giornali e media sui sondaggi e sul processo di progressiva unificazione e trasformazione dei partiti, la bassezza di orizzonti e prospettive attribuita ai leader e ai loro seguaci nel Paese. Possibile che progetti di federazione di forze protagoniste della politica italiana negli ultimi 40 anni come la Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, con il patrimonio di forze sociali, storiche e culturali che ognuno si porta dietro, sia dettato solo dalla smania del duo Salvini-Berlusconi di tagliare la strada a Giorgia Meloni? E che il sommovimento in atto - con molta fatica - a sinistra sia soltanto questione di stipendi e pensioni? Ne dubito, e non perché i politici meritino l'assunzione in cielo. Il fatto è che la psiche dei dirigenti politici, come quella di tutti, per fortuna non funziona solo in questo modo. Il fatto è che noi siamo sempre portatori di bisogni e aspirazioni più nobili e ampie degli aspetti bassi delle nostre ambizioni (che naturalmente esistono: nessuno è santo, e scarseggiano i profeti). Anche se molte volte lo ignoriamo, storditi da ciò che oggi è considerato ovvio, cioè l'interesse personale, presentato nel suo aspetto più misero e banale.Negli attuali dibattiti, però, il lato «alto» non viene visto, non se ne parla affatto, pur in una situazione dove finalmente si muovono nuove forze e progetti, come appunto accade oggi. Prevale invece quasi sempre (ma molto in peggio), il cinismo alla Giuseppe Prezzolini: «Gli italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi». Così, il terrore di trovarsi tra i secondi domina e ispira le mosse e le riflessioni dei più. Non c'è scampo. L'effetto di tutto ciò sulle persone è assai deprimente ed è certo (a volte persino ammesso) che la velocissima trasformazione in merda di tutto ciò che compare sulla scena dell'attualità è un ostacolo non da poco a qualsiasi sviluppo positivo della situazione italiana. Come storia e fisica insegnano, il corso degli eventi è influenzato dallo sguardo dell'osservatore. Senza sguardi innocenti nessuna trasformazione è possibile; anche per questo Gesù diceva che i piccoli saranno i primi ad entrare nel Regno, perché sono aperti e curiosi alle novità. Eppure, che un cambiamento profondo sia inevitabile è sotto gli occhi di tutti. Il fatto stesso che il mondo intero sia ancora sotto lo scacco di un'epidemia non ancora vinta, dopo due anni di alterazioni gravissime nella vita delle persone provocate non solo dal Covid 19, ma anche dalle misure adottate per contrastarla, e dal modo in cui sono state applicate, dimostra che non si può fare finta di niente e usare le categorie del piccolo cabotaggio degli interessi locali. Siamo sempre una (un po' vacillante) media potenza, non un pattino di Ostia-mare. Tutti, anche noi cittadini qualsiasi, dobbiamo dunque dare alla situazione risposte credibili e adeguate. Non solo perché (ovviamente) non si può credere a un ministro che ha affrontato un evento di questo genere inchiodando ostinatamente le persone e i medici alla tachipirina quando in tutto il Paese (e nel mondo) vengono praticati e diffusi da autorevolissimi clinici e scienziati (come l'italiano Giuseppe Remuzzi) protocolli di cura dettagliati e e completi, grazie ai quali sono state salvate migliaia di persone. Per non parlare poi della fantasia sadica di cocktail di vaccini, che si vorrebbero obbligatori per grandi e piccini, capace di innervosire perfino strutture abituate a tutto come l'Ema. La questione va molto oltre le singole (per quanto inaccettabili) arroganze e incompetenze, ma purtroppo è proprio su quelle che si incaglia, lasciando che continuino a occupare la scena, e immiserendo riflessioni e prospettive. Come il teatro ha raccontato da sempre, una mezza calzetta lasciata in scena a fare confusione può scatenare guai più micidiali dell'armata di un generale gallonato.La realtà è però molto più significativa e interessante: nel Covid 19, come in tutte le altre grandi sfide che oggi assediano il mondo uscito dalla tarda modernità, si manifesta, più che l'abilità a sgambettare il vicino di banco, la grande crisi delle scienze europee denunciata dal filosofo Edmund Husserl già nel anni Trenta del Novecento. Quelle che smarrendo il senso del loro rapporto con l'uomo e la sua dignità di origine divina, l'hanno reso ormai dipendente da sviluppi e procedure scientifiche di cui lo stesso scienziato non è più in grado di spiegare esattamente la ragione. Non si tratta solo dell'ipotesi del «virus da laboratorio», ormai sempre più avallata anche da autorevolissimi scienziati. Dai laboratori industriali provengono comunque la maggior parte delle sostanze che hanno minato la salute delle grandi zone produttive europee, a cominciare dalla pianura padana, trasformando così in tragedie mortali i raffreddori da coronavirus. Sempre dai laboratori industriali provengono le bevande zuccherate e gli alimenti farciti di ogni sorta di additivi e sostanze sintetiche la cui relazione con diabete e tumori è acclarata da tempo, ma la cui produzione continua imperterrita, e si vedrà quanto e se venga messa in discussione dalla transizione all'«economia sostenibile», passaggio non aggirabile di qualsiasi politica sanitaria minimamente credibile. Come aveva in parte previsto Arnold Gehlen con l'antropologia filosofica, la scienza ha gradualmente scavalcato l'uomo svalutando e sostituendo con calcoli matematici le sue competenze e attività tradizionali. Con esiti pessimi.Oggi vediamo infatti che ciò ha portato (in ogni campo, dalla medicina all'economia), in vicoli ciechi, da cui non si sa più bene come uscire. La stessa svalutazione fatta durante l'epidemia delle cure mediche tradizionali, l'enfasi posta prima sulle macchine, poi sui vaccini, trascurando ampiamente gli interventi medici di profilassi, di difesa delle difese immunitarie, e l'importanza degli stili di vita alimentari e di movimento (addirittura proibito nei confinamenti) è frutto di questa crisi della scienza che si appella alla razionalità ma ha poi comportamenti e soluzioni che si rivelano del tutto irrazionali. Perfino vagamente magiche, come l'abuso della maschera dappertutto. La scienza moderna poi guarda ai corpi viventi e alla natura riducendoli a calcoli numerici, matematizzandoli come volle secoli fa Galileo Galilei, e accantonando invece l'osservazione piena e profonda già proposta e praticata dal selvatico Leonardo da Vinci. Ma come scrive Francesco Saverio Trinca nella sua Guida alla lettura della crisi delle scienze europee (Laterza), razionale non è «l'uomo asservito alle scienze, ma l'uomo libero, che trova nella propria capacità e indipendenza critica (non positivistica) il senso del suo vivere». I fenomeni della realtà sono più «veri» dei processi calcolati in astratto.Oggi dunque tutte le decisioni della politica devono confrontarsi con gli esiti della crisi delle scienze positiviste che dall'Ottocento in poi hanno ispirato la modernità: dalla politica sanitaria, allo sviluppo industriale, all'educazione, alla gestione del territorio, ai vari deliri d'onnipotenza: dalla rimozione della morte alla ribellione contro il sesso naturale. D'altra parte se vuoi organizzare il mondo come se l'uomo fosse un insieme di numeri, e fingi che l'anima neppure ci sia, perché non è quantificabile, non devi stupirti se poi finisce così. Le burocrazie dei partiti e i commentatori del potere fanno finta di niente, cercando di ridurre la storia a beghe personali. Stavolta però sarà più difficile del solito.
Francesco Zambon (Getty Images)
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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