
La ricerca non produce affermazioni certe o verità stabilite una volta per tutte, bensì asserzioni che sono e restano tentativi. I risultati arrivano proprio mettendo in discussione quel che già si conosce. Cosa che oggi i falsi profeti impediscono, insultando.Cominciamo con il ricordare alcuni concetti fondamentali. Il primo è stato formulato da Karl Popper: «La scienza non è un sistema di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte. La nostra scienza non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità» Ciò significa che, anche nelle condizioni di massimo rigore, obiettività e onestà intellettuali, le scienze non producono «verità», ma solo «asserzioni» che «restano per sempre allo stato di tentativo» e modelli parziali e provvisori dei fenomeni. La scienza costruisce infatti interpretazioni per spiegare i fenomeni, fino a quando nuovi dati non intervengano per modificare la teoria precedente e impongano una lettura più attendibile. «Lo dice la scienza» è una barzelletta: la scienza fornisce strumenti utili per sapere come impostare convenientemente il problema e trovare una soluzione. La storia delle scoperte scientifiche insegna per questo che il dubbio sistematico costituisce l’antidoto essenziale contro le false certezze: ubi dubium, ivi libertas, ammonisce un detto latino. Ciò è specialmente vero in quest’epoca caratterizzata dalla crisi di riproducibilità, ovvero l’impossibilità di confermare risultati creduti scontati, un fenomeno grave che ha portato, nel solo 2023, a sconfessare più di 10.000 articoli scientifici. Per questo la scienza non può essere spacciata per un insieme di certezze dogmatiche su cui basare scelte economiche e politiche. La scienza nasce invece come palestra di libero pensiero, contro ogni assolutismo, ben consapevole di quanto difficile e complessa sia la ricerca di una verità. Ogni buon scienziato impara a sue spese che esiste la propria verità, esiste la verità dell’altro e poi esiste la Verità - con la V maiuscola - che è tutta un’altra cosa. Con il Covid le norme basilari che impongono alla ricerca scientifica onestà intellettuale, disinteresse, cauto scetticismo e disponibilità al confronto e alla condivisione dei dati sono state sistematicamente violate a beneficio di una vulgata motivata da precise esigenze politiche. In quel periodo la disseminazione delle «scoperte» - e la loro sensazionalistica comunicazione al grande pubblico - è stata indirizzata a magnificare risultati parziali, non di rado manipolando i dati o presentandoli al di fuori del contesto appropriato, dimenticando di sottolineare le incertezze e i lati oscuri che sono connessi a qualunque risultato. Un esempio preclaro è quello del ritiro di uno studio che smantellava la validità dell’idrossiclorochina come antivirale, e che è stato successivamente ritenuto fraudolento. Il dramma è che l’uso di quel farmaco è stato penalizzato, tutti ricordano (e citano ancora!) l’articolo che la condannava e nessuno -incredibilmente- sa che si trattava di una gigantesca manovra per impedire di trovare, subito, ottimi e semplici rimedi al Covid, come ha egregiamente ricordato Silvana De Mari sulle colonne de La Verità. Una vergogna che grida vendetta. Non è quindi paradossale che la pandemia abbia favorito la comparsa di cosiddetti «esperti», privi di credenziali vere e soprattutto incapaci di produrre risultati rilevanti. Per accertarsene basti vedere i valori di H-index dei tanti (troppi) che hanno affollato gli studi televisivi. I mass-media hanno contribuito potentemente a questa deriva, noncuranti che alcuni dei migliori epidemiologi e specialisti di politica sanitaria sono stati diffamati come incapaci e pericolosi da persone che si ritenevano idonee a soppesare le diverse opinioni scientifiche senza avere la benché minima competenza. In quei giorni le voci critiche sono state silenziate, ridicolizzate o semplicemente ignorate. Autorevoli esponenti del mondo scientifico -scienziati, professori, finanche premi Nobel- sono stati dileggiati, derisi o semplicemente trattati da folli. Si è negato un confronto pubblico tra i membri del Cts e un panel di esperti indipendenti. Parimenti, le audizioni al Senato di professori universitari sono passate al vaglio di Open -la nuova versione della Stasi di regime- in cui le credenziali dei novelli Torquemada rimangono avvolte nella nebbia più fitta. A molti medici, è andata anche peggio: sono stati «dissuasi» dal contestare o discutere le norme e i dati scientifici, sotto pena di ritorsioni che in molti casi hanno portato a sospensioni e radiazioni dall’albo, giustificando il tutto in nome dell’emergenza. È grave che ancor oggi si persegue attivamente l’indottrinamento, cercando di spacciare per scienza i «derivati» tecnologici, di applicazioni scientifiche affrettate, foriere di gravi conseguenze. Basti leggere i verbali della Commissione Covid. E pensare che Albert Einstein sosteneva che la scienza doveva essere presentata per quello che era, con luci e ombre, e non come occasione per vendere gadgets. È invece tipico della tecnoscienza negare i propri limiti e i propri fallimenti. Come mai, invece di preoccuparsi delle opinioni dei diversi scienziati, il ministro tarda tanto a considerare in tutta la sua gravità il problema degli effetti avversi al vaccino? Abbiamo oggi a disposizione una letteratura imponente, e i dati forniti addirittura dalla Pfizer evidenziano quanto grave sia il problema. Niente da dire sulla farmacovigilanza? Perché l’Aifa non pubblica i dati? Perché voci autorevoli non vengono ascoltate? Mi sia consentito di citare almeno un esperto che dovrebbe entrare di diritto nella commissione sui vaccini, il dottor Maurizio Federico che per anni è stato direttore della sezione vaccini dell’Istituto superiore di sanità. O forse non va bene neanche lui, dato che ha più volte documentato - con articoli scientifici e non nei talk-show - le inadeguatezze della tecnologia a mRNA. Noi non pretendiamo fornire una vulgata alternativa che abbia la pretesa di essere verità assoluta. Solleviamo dubbi, poniamo domande. E ci attendiamo che a queste si risponda con argomenti, non con insulti. Ho un suggerimento per il ministro Orazio Schillaci: perché non promuovere un convegno pubblico in cui tutti gli scienziati del settore abbiano (finalmente!) la possibilità di esprimersi e confrontarsi? Questo sì che farebbe bene alla scienza, e permetterebbe di mostrare a tutti che non è una disciplina noiosa di stampo sovietico in cui tutti applaudono ritualmente la vulgata propinata da mass-media e aziende farmaceutiche. Spero che al ministro sia chiaro che la politica sanitaria e le strategie scientifiche non possono (e non devono) essere decise da questi signori. Come recita l’articolo 33 della Costituzione, «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». E speriamo che tali restino, nonostante i Burioni di turno. Un’ultima annotazione: la medicina è una tecnica, come già insegnava Platone, basata sulle scienze. Occupa un ruolo eticamente unico: la tecnica è il mezzo tramite il quale l’ars curandi adempie la propria funzione, dove l’uomo è il fine ultimo. Per questo una relazione terapeutica non può prescindere dalla cooperazione del paziente. Il medico cura insieme al paziente, non contro di lui. Non imponendogli obblighi che contraddicono democrazia e scienza allo stesso tempo.di Mariano Bizzarri, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Gruppo di Biologia dei Sistemi, Università La Sapienza, Roma. Responsabile del laboratorio di Biomedicina spaziale. Responsabile del Comitato scientifico del Programma spaziale - Presidenza del consiglio dei ministri
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I flop del governo Lecornu e del campo largo pure in Calabria confermano che le presunte alchimie politiche non bastano per convincere i cittadini. I quali, transalpini o italiani, non si fan abbindolare dalle chiacchiere.
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Dazi, Difesa, Africa, Medio Oriente: sono tanti i dossier su cui Parigi ci ha messo i bastoni fra le ruote in questi anni. La crisi politica francese apre più spazi al premier e, al contempo, mette con le spalle al muro i dem, orfani del loro tutore estero.
Un tempo porto sicuro, il Paese transalpino diventa il più rischioso per gli investitori.