2023-10-29
Scholz è peggio della Merkel: austerity sì, ma per gli altri
Angela Merkel e Olaf Scholz (Ansa)
Al Consiglio europeo il cancelliere frena sulla spesa degli Stati membri, mentre la Commissione pretende altri 100 miliardi in quattro anni. Allo stesso tempo però la Germania tampona la sua crisi strutturale con una valanga di aiuti di Stato.A Bruxelles, la notte del Consiglio europeo tra giovedì e venerdì è stata qualcosa di simile alla notte dei lunghi coltelli, ovviamente in senso figurato, con il Financial Times che non ha esitato a definirla una discussione in cui si è visto «schizzare un po’ di sangue sui muri». Divisi su tutto, a partire dai soldi.Perché sul tavolo dei leader di governo c’era la richiesta della Commissione di aumentare il bilancio dell’Ue per 100 miliardi nei prossimi quattro anni, ma nessuno ha la più pallida idea di dove andare a prendere quei soldi. O meglio, l’idea è quella di aumentare i contributi nazionali al bilancio e di tagliare alcune voci di spesa per fare posto alle nuove priorità. E qui si è aperto il vaso di Pandora.Ha aperto la discussione il premier tedesco, Olaf Scholz, che si è rivolto a muso duro ai propri colleghi - in un vertice serale a porte chiuse protrattosi per tre ore fino a mezzanotte - mettendoli di fronte alla necessità di cominciare a parlare di priorità nelle destinazioni di spesa e tagli, prima ancora di parlare di ulteriori decisioni di spesa. Infatti le principali voci della proposta della Commissione consistono in 50 miliardi a favore dell’Ucraina (17 miliardi di sussidi più altri 33 di prestiti), 15 miliardi per la gestione dei flussi migratori, 10 per misure a favore della competitività ed innovazione, altri 20 per fare fronte alla maggiore spese per interessi sui titoli emessi per il Next Generation Eu e infine altri 1,9 miliardi per aumentare gli stipendi del personale dell’Unione europea.Mentre pare che si sia raggiunto un accordo di fatto sui fondi all’Ucraina - in questo senso il comunicato finale del Consiglio europeo è abbastanza netto e dettagliato, nonostante la posizione critica del governo di Budapest - e sui 15 miliardi per l’immigrazione, le altre richieste della Commissione hanno ricevuto solo critiche e rifiuti. Ed è stata proprio la Germania a fare da capofila al gruppo dei sostenitori dell’austerity, richiamando i colleghi sulla necessità di tagliare altre voci del bilancio, anziché richiedere nuovi contributi agli Stati membri. Un argomento a cui dovrebbe essere sensibile anche l’Italia che, ricordiamolo, è sempre il terzo contribuente netto al bilancio Ue.Va sottolineato che 100 miliardi di aumento, su un bilancio che dal 2021 al 2027 vale circa 1.100 miliardi e quindi mediamente circa 160 miliardi all’anno, non sono proprio quattro spiccioli. La differenza tra la Germania e tutti gli altri Stati membri è che mentre Berlino ha già impostato un piano per la competitività della propria economia - facendo leva su ingenti risorse nazionali, in barba al divieto di aiuti di Stato, che è stato abbondantemente annacquato - gli altri sono alle prese con un’esplicita richiesta di consolidamento dei conti pubblici e riduzione del debito. E se da un lato Scholz chiedendo agli altri di tirare la cinghia si pone in perfetta continuità con Angela Merkel, dall’altro il fiume di aiuti nazionali scaricati a sostegno di un sistema-Paese fiaccato della cesura energetica con la Russia rende decisamente insostenibile il rigore «suggerito» agli altri.E allora diventa proprio contraddittorio, e un corto circuito logico prima ancora che finanziario, largheggiare nella spesa in Europa per poi chiamare gli Stati membri a contribuire a quella spesa, peggiorando i rispettivi conti nazionali. Contraddizione segnalata anche dal premier belga, Alexander De Croo, spalleggiato da Emmanuel Macron, secondo il quale la richiesta della Commissione dovrà essere ridimensionata. A questo proposito, Bruxelles ha reso noto che il rifiuto di aumentare il bilancio comporterà dei tagli del 30% circa sulle altre voci, per fare posto alle nuove priorità, Ucraina in testa. Inoltre, Ursula von der Leyen ha candidamente ammesso davanti ai leader che le casse sono semivuote e che ha dovuto spendere parte dei fondi del bilancio 2024 già quest’anno per fronteggiare l’emergenza dell’alluvione in Slovenia.Ma ancora prima dell’eurosummit di Bruxelles, la Danimarca in compagnia di altri Stati membri aveva fatto circolare un documento in cui accusava la Commissione di non aver fatto i compiti a casa. In sostanza, prima di chiedere altri soldi agli Stati membri, ci sarebbero almeno 16 miliardi di fondi non ancora assegnati. Ancora più divisiva è la richiesta dei 20 miliardi per gli interessi passivi sul debito del Ngeu. Sul punto, alcuni Stati membri hanno fatto rilevare che la richiesta della Commissione è a piè di lista, priva di un tetto massimo. Ma questo è ovviamente necessario perché, se i tassi aumentano, la Commissione deve avere sempre spazio di bilancio per pagare gli interessi, pena la sfiducia degli investitori che, in qualche misura, esiste già. Allora la risposta dei tedeschi e dei cosiddetti «frugali» (ma a casa degli altri) è quella di rivedere le priorità nelle voci dell’attuale bilancio e fare quadrare i conti con le risorse che già ci sono. E su questo è bene che cominci il lavoro già nei prossimi giorni, ha ribadito Scholz. Proposta che suona malissimo alle orecchie del premier bulgaro, Nikolai Denkov, secondo il quale aumentare i contributi al bilancio sarebbe la soluzione più facile, mentre modificare il bilancio «creerebbe molte altre tensioni». Posizione comprensibile, vista la posizione di beneficiario netto della Bulgaria.Come si vede, un’assordante cacofonia, in cui ciascuno Stato, a partire proprio dalla Germania, cerca di salvaguardare gli interessi nazionali e si intestardisce a cercare soluzioni affidandosi a un assetto istituzionale disfunzionale come quello europeo, che è spesso causa dei problemi. Oppure si preferisce sognare un assetto federale che, almeno nel breve termine, non riceverà mai l’approvazione popolare democraticamente espressa.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.