2020-05-04
Schedati dalla Finanza i giornalisti che hanno parlato con Palamara
La Procura di Perugia ha ordinato un'informativa con le intercettazioni delle telefonate fra il giudice e i reporter. Vittime eccellenti: fra loro Giovanni Minoli, Gigi Marzullo e il nostro Giacomo Amadori. Nella cosiddetta inchiesta Csm mancava giusto la schedatura dei giornalisti. Eppure è successo anche quello. E dentro all'imbarazzante (per chi lo ha commissionato) fascicolo ci sono finiti tutti, sia chi, come i cronisti della Verità, non ha fatto sconti agli inquirenti, evidenziando strabismi e contraddizioni nelle investigazioni, sia i trombettieri che hanno difeso l'indagine senza mai un tentennamento o un dubbio. Alla fine l'inchiesta ha creato un grande polverone mediatico, ma ha portato a pochi risultati, dal punto di vista penale. Resterà negli annali il trattamento riservato ai media. Ieri era la giornata mondiale della libertà di stampa e noi l'abbiamo festeggiata leggendo sconcertati l'informativa di cui vi stiamo dando conto.Partiamo dall'incipit che sa tanto di Corea del Nord: «In esito a quanto richiesto da codesta autorità giudiziaria si rappresenta che le attività tecniche condotte, nel presente procedimento penale, nei confronti di Luca Palamara permettevano di acquisire evidenza di una serie di rapporti intrattenuti dall'indagato con giornalisti, esponenti del mondo della carta stampata e dei media. In tal contesto, come richiesto dalle signorie loro, si riporta, di seguito, l'esito delle attività di riascolto svolte». Insomma i magistrati di Perugia, in un'inchiesta incentrata sulla corruzione, a un certo punto, era il luglio 2019, decisero che era cruciale riascoltare le telefonate di Palamara con i giornalisti. E che occorreva radunare in un'apposita informativa i brogliacci e le trascrizioni delle chiamate. Ma, come vedremo, nessuna di queste chiacchierate ha a che fare con i reati contestati a Palamara. Non si parla di corruzione. Ma nemmeno di segreti investigativi. Nelle carte c'è solo uno spaccato del nostro mondo. Di come cerchiamo le notizie, di come trattiamo le fonti, persino delle invidie dentro alle redazioni. Ma reati zero. Eppure siamo stati schedati. Per la sola colpa di aver parlato con Palamara. A noi è accaduto il 29 maggio, quando i giornaloni pubblicarono per la prima volta la notizia dell'inchiesta che lo riguardava. Si capisce da quella telefonata che ritenevamo l'inchiesta strumentale e legata a due fatti, la nomina del procuratore di Roma e un esposto presentato al Csm contro i vertici della Procura capitolina. Riferimmo al pm indagato di una voce intercettata dentro al Csm. Una brutta storia che, se non confermata, sarebbe dovuta rimanere riservata e che invece adesso è stata messa nero su bianco in un atto giudiziario. Ma a parte noi, l'elenco dei giornalisti schedati dalla Procura di Perugia è lunghissima. Ci sono per esempio diverse telefonate di Liana Milella, firma di Repubblica, uno dei giornali che più hanno spinto l'inchiesta perugina, e grande esperta di politica della giustizia. La Milella, il giorno in cui è uscito l'articolo su Palamara, si scusa con il magistrato, sua fonte. Questo il riassunto: «La Milella riferisce che ha saputo dell'articolo leggendolo all'1.30 di notte e dice di aver sbagliato a non chiamarlo prima, ma a lei non avevano detto nulla dal suo giornale. Se lei avesse chiamato prima Palamara “l'avremmo scritta, ma non in questo modo"». La stessa, in un'altra telefonata, «avvisa» il pm che la collega «Maria Elena Vincenzi sta andando sotto casa sua», probabilmente per cercare di strappare una dichiarazione. Ma la Milella dice a Palamara che «devono parlarne bene dell'intervista». In un'altra telefonata la giornalista sembra molto preoccupata per la sorte dell'ex capo dell'Anac Raffaele Cantone e alla fine propone: «Potrebbero (i membri del Csm, ndr) pure fare la mossa di mandare Cantone da qualche parte […]? Cioè perché poi alla fine fanno pure un piacere a questo governo che glielo levano dai coglioni». A proposito del gruppo Gedi ci sono anche alcune chiamate di Francesco Grignetti della Stampa, alla ricerca di notizie sull'inchiesta. Tanto è bastato a far finire pure lui dentro all'informativa. C'è anche un capitoletto su Giovanni Bianconi, inviato del Corriere della Sera, dall'inizio in prima linea nello spingere mediaticamente l'inchiesta. Ma neppure lui viene risparmiato. Agli atti finiscono persino le telefonate per organizzare un incontro di persona con Palamara. Poi per il resto i finanzieri riportano alcune considerazioni di Palamara su Bianconi, che viene gentilmente definito come vicino ai servizi segreti e «cassa di risonanza del gruppo di potere attuale». Infine Palamara giudica così l'intervista di congedo rilasciata dall'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone allo stesso Bianconi: «Hai visto ieri che pompino gli ha fatto al Pigna?». Nella stessa conversazione aggiunge: «L'altra volta (Bianconi, ndr) mi è venuto a riparlare di Perugia a me». Cioè dell'inchiesta in quel momento ancora segreta. I finanzieri annotano «l'esistenza di contatti intercorsi tra Palamara e Giovanni Minoli, giornalista saggista e conduttore televisivo». I due, stando alle captazioni, sono in confidenza. Si confrontano sugli articoli pubblicati nel periodo clou della tempesta sulle toghe e sulla possibilità di rendere un'intervista per la trasmissione condotta da Lucia Annunziata. Tra il 13 marzo 2019 e il 5 giugno, periodo monitorato dagli investigatori, si parlano otto volte. In una conversazione Minoli fa a Palamara i complimenti per un'intervista. Ci sono anche telefonate durante le quali Minoli sembra quasi lo spin doctor della toga. Il 29 maggio si sentono due volte. «La Repubblica è la risposta al Fatto», dice Palamara. E chiede a Minoli un consiglio, visto che Claudio Tito, cronista di Repubblica, gli ha chiesto se voglia replicare e la toga non sa cosa rispondergli. Si vedono anche per parlare dell'invito dell'Annunziata, che Minoli definisce «pericolosa, perché è dall'altra parte». La giornalista è stata una delle prime a saltare sull'inchiesta perugina. Il 29 maggio, data dei primi articoli sull'argomento, alle 9 del mattino, Palamara viene chiamato da Silvia Barocci, autrice della trasmissione Mezz'ora in più, quella dell'Annunziata. Lo invita per la domenica. La toga prende tempo. Poi richiama e accetta, ma con riserva. E annuncia che «se andrà in trasmissione parlerà di cose importanti».Per quella comparsata Palamara si confronta perfino con Giovanni Legnini, già vicepresidente del Csm. «Cioè, se Lucia mi dà la possibilità... faccio un discorso politico...». Legnini lo riprende: «No, tu le cose tue le devi grida'... seguono milioni di persone, viene ripreso dalla stampa». Poi fanno strategia «sulla necessità di avviare una interlocuzione con redattori a livello apicale di Repubblica, al fine di riequilibrare gli articoli usciti su altre testate di fronte avverso, e reindirizzare, attraverso nuovi articoli di stampa, la figura del procuratore uscente di Roma Pignatone.Il telefono di Palamara è bollente. E il comunicato inviato alle redazioni gli ha messo dietro diversi cronisti. Lo chiamano Rosa Polito e Simona Olleni dell'Agi, Sandra Fischetti dell'Ansa, Valeria Di Corrado del Tempo e Federico Marietti del Tg5.Vincenzo Bisbiglia del Fatto Quotidiano lo cerca per chiedergli informazioni sul conto della moglie, che ha un impiego alla Regione Lazio, ma anche su eventuali contatti con Nicola Zingaretti. La toga afferma di non aver fatto pressioni e che la moglie «ha un curriculum di tutto rispetto». Ma Bisbiglia non è l'unica firma del Fatto a ritrovarsi nell'informativa. Il famoso trojan piazzato nel telefonino di Palamara ha beccato una conversazione in ambientale con il pm Stefano Fava. I due, secondo gli investigatori, parlano della «necessità di avviare una interlocuzione con Marco Lillo per la trasmissione di un fascicolo al Csm nei confronti dell'ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dell'aggiunto Paolo Ielo». In realtà nelle intercettazioni questo fatto non risulta, anche perché l'esposto di Fava era già stato trasmesso per le vie ufficiali. Il giornalista con cui Palamara ha un filo diretto è Gigi Marzullo: 15 telefonate intercettate. E, sottolineano gli investigatori, «il tenore delle intercettazioni permetteva di rilevare l'esistenza di plurimi incontri».Ci sono appuntamenti in vari ristoranti della Capitale. E poi, sarà perché Marzullo fa le ore piccole con il suo Sottovoce, tanta caffeina, soprattutto in zona Prati. Palamara chiama pure per sapere se andrà allo stadio. Poi è Marzullo a richiamare. Porta al magistrato i saluti di tale Paolo e aggiunge che «ha le carte che avrebbe voluto leggere».