
La manifestazione pro life, che si terrà sabato prossimo a Roma, non ha nulla di ideologico o di politico: è solo la difesa della nostra civiltà e del nostro futuro. La banalizzazione dell’aborto porta tanta povertà. E bisogna rilanciare le adozioni.Gli organizzatori della prima Manifestazione per la vita, che si tenne nel 2011 a Desenzano sul Garda, e il cui nome era allora Marcia per la vita, avevano visto giusto: e oggi, nel 2024, è impossibile negarlo. Infatti, dopo l’infausta promulgazione della legge 194/78, la partita sembrava chiusa e impegnarsi per la tutela della vita umana e contro l’aborto, appariva alle menti infatuate di progresso e di relativismo etico, quasi come contestare l’Unità d’Italia o mettere in dubbio il referendum monarchia-repubblica del 1946.E invece no. Uno dei rari meriti dell’oscuro regno, ormai in scadenza, di Emmanuel Macron sta nell’aver ricordato a tutti che l’aborto - lo si consideri un diritto come Elly Schlein o un delitto come papa Francesco - è sempre di attualità. Ma lo è, il che si vorrebbe negare, come una piaga aperta e sanguinante. Non è vero del resto che le leggi progressiste degli anni Settanta che regolamentarono l’Ivg, ricalcando la sentenza americana Roe vs Wade del 1973, misero la parola fine a una prassi che già esisteva nell’antichità e che il Giuramento di Ippocrate apertamente riprova.Così, senza arrivare agli eccessi francesi o a quelli americani dell’aborto sino al nono mese, anche qui da noi la sinistra politica e culturale, appena si sussurra la parola aborto, scalpita, minaccia e chiede di andare oltre. Magari cancellando la sacrosanta obiezione di coscienza, in costante aumento, di medici e ostetriche, per non parlare delle proposte pro eutanasia e suicidio assistito dei radicali.Per contrastare e scongiurare tutte queste derive, la Manifestazione nazionale per la vita sfilerà ancora una volta a Roma, sabato 22 giugno, da piazza della Repubblica, chiamata dai romani piazza Esedra, sino ai Fori imperiali, da cui si intravede quel Colosseo che ricorderà in eterno il sangue degli innocenti, sparso anche allora «in nome della volontà popolare».Prima della partenza del corteo, coloratissimo e con un trenino riservato - simbolicamente - a bambini e anziani, ci saranno delle testimonianze pro life, anche di donne che rimpiangono il loro figlio perduto, perché nessuna femminista le ha sostenute nel momento fatidico della gravidanza inattesa e difficile.«La civiltà orientata al futuro e al progresso», scrivono gli organizzatori, «ha a cuore i diritti umani. Primo fra tutti, il diritto alla vita». E questo primato della vita, va ribadito ora e in qualche modo sacralizzato, magari inserendolo nelle Costituzioni degli Stati e nelle Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’Onu e in qualunque solenne dichiarazione. Per evitare che parlando di «diritti» in modo vago e astratto, non si arrivi a rimuovere quel diritto che è previo l’esercizio di ogni altro: il diritto alla nascita! Insomma occorre prendere a esempio Macron e fare il contrario.Anche perché qualunque società evoluta e qualsiasi Stato di diritto «considera ogni essere umano come soggetto e mai come oggetto» secondo il motto di Kant e il nascituro una persona da tutelare «fin dall’istante che gli dà origine e identità, il concepimento».Nessun vero medico, biologo, filosofo o genetista può negare la veridicità dell’assunto kantiano, ma solo coloro che bypassano le acquisizioni scientifiche più recenti, in nome di ideologie e contingenze politiche spurie. Magari abbellite da parole o slogan talismano come «il corpo è mio e lo gestisco io», «my body my choice», etc. Secondo gli oltre 100 gruppi pro life che hanno aderito alla manifestazione, coordinati dagli intrepidi Maria Rachele Ruiu e Massimo Gandolfini, oltre alla guerra, che danneggia anzitutto bambini e neonati, anche le società in pace, attraverso l’Ivg, fanno strage dei «membri più fragili, più piccoli, più poveri, più indifesi». E ogni male ne produce altri a catena, in una spirale diabolica, perché la banalizzazione dell’aborto, oltre alla negazione in radice dell’uguaglianza tra umani, genera «tanta povertà». Materiale, in ragione del declino demografico noto, ma anche direttamente alla donna «per la maternità negata», di cui non raramente si pente e si addolora. All’uomo stesso «per la paternità svilita» oltre che per la sua ingiusta esclusione dalla decisione, secondo la lettera della 194. Quella legge, come le altre simili in Europa o in America, ha minato la società, colpendone «il vincolo di solidarietà» tra le generazioni, che è il «fondamento della convivenza umana». Ora, per la crisi demografica epocale in cui siamo immersi, e che nessuno ha più il coraggio di negare, invece dell’aborto andrebbe rilanciato l’istituto dell’adozione, necessario per contrastare la scarsa natalità e l’aumentata infertilità.Respingere l’aborto e l’ideologia abortista non vuol dire, secondo Gandolfini e Ruiu, rimpiangere il passato o essere retrivi e sconfortati, ma «guardare al futuro con speranza», ribadendo che «ogni figlio concepito è “uno di noi”». Un fratello di sangue, un discendente, un concittadino, un compatriota, un membro fosse pure malato e «meno utile» di quella umanità che è uguale in tutti, o che, negata in uno, sparisce dalla legge.Ma la causa della vita divide, obietterà il progressista, assieme a certi conservatori e perfino taluni vescovi. Ed è vero, ma è la stessa civiltà umana, fondata sulla giustizia, il bene comune e l’equità, a dividere. E chi sono i padri, un tempo indiscussi, della nostra civiltà? Sono figure come il politico Alcide De Gasperi (1881-1954), l’utopista Giorgio La Pira (1904-1977) o il giurista Norberto Bobbio (1909-2004). Tutti contrari all’aborto e alla sua legalizzazione. Come lo furono, in altri contesti e momenti, tantissimi altri punti di riferimento di qualunque cittadino del mondo: si pensi al mahatma Gandhi (1869-1948), a Maria Montessori (1870-1952), o a madre Teresa di Calcutta (1910-1997).Uniamoci dunque, almeno idealmente, al corteo apartitico e apolitico del 22 giugno che si concluderà con la testimonianza del giovane influencer Arturo Mariani e col concerto della rock band The Sun, da sempre impegnata in senso pro life. Sani o malati, perfetti o imperfetti, voluti o inattesi: tutti i nascituri devono essere uguali davanti alla legge e alla storia. Dopo aver ricevuto ancora una volta il plauso del pontefice più aperto di sempre, i marciatori chiedono al governo Meloni leggi, aiuti e norme «che proteggano il diritto alla vita e tutelino veramente la maternità».
Benjamin Netanyahu (Ansa)
Colpi sulle forze Onu in Libano. Gerusalemme: «Abbiamo confuso i soldati per sospetti a causa del maltempo». E l’esercito avverte: «Se necessario operazioni a Gaza».
Ennesimo attacco alle stazioni Unifil in Libano da parte dell’Idf, ennesimo rimpallo di responsabilità. «Le forze israeliane (Idf) hanno aperto il fuoco contro peacekeeper di Unifil da un tank Merkava nei pressi di una postazione allestita da Israele in territorio libanese» ha denunciato Unifil ieri mattina, precisando che «i colpi sono arrivati a circa cinque metri dai peacekeeper, che erano a piedi» e sono stati costretti a mettersi al riparo. «I caschi blu hanno chiesto alle Idf di cessare il fuoco tramite i canali di collegamento di Unifil. Sono riusciti ad allontanarsi in sicurezza circa trenta minuti dopo, quando il carro armato Merkava si è ritirato all'interno della postazione delle Idf. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito». Poco dopo l’Idf si è difeso chiarendo di non aver «sparato deliberatamente» contro le forze di pace delle Nazioni Unite in Libano. Hanno affermato di aver scambiato i soldati per «sospetti» a causa «delle cattive condizioni meteorologiche».
Un volo breve, un dirottatore Naif e un mistero ancora irrisolto. Ecco la storia del terrorista a bordo di Northwest 305.
Volodomyr Zelensky e Kyriakos Mitsotakis (Ansa)
Prima è stato in Grecia, oggi va a Parigi e domani in Spagna: il presidente ucraino ha la faccia tosta di pretendere gas, fondi e aerei dopo che i suoi hanno sperperato svariati miliardi per farsi i water d’oro.
Non indossa il saio del pentimento anche se assomiglia sempre più a Fra Galdino impegnato in una questua perenne. È Volodymyr Zelensky che ieri è andato in Grecia, oggi sarà a Parigi e domani in Spagna a chiedere soldi, energia e armi. Come il frate cercatore del Manzoni dice: noi siam come il mare che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire ai fiumi. Solo che i suoi fiumi sono gli oligarchi e gli amici dello stesso Zelensky, che si sono spartiti tangenti miliardarie mentre gli ucraini continuano a morire di guerra e di freddo. Lo scandalo sulla corruzione – che l’Europa conosceva dal 2021 attraverso una denuncia della sua Corte dei conti, ma che Ursula von der Leyen ha scelto di ignorare – non si placa e il presidente ucraino, mentre va in giro a fare la questua, ha annunciato profonde modifiche negli assetti istituzionali a cominciare da un radicale cambiamento della e nella Commissione per l’energia e ai vertici delle aziende di Stato, che ha chiesto al governo di presentare con urgenza alla Verkovna Rada, il Parlamento.
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Una tassa su chi non vota. L’idea l’ha lanciata il direttore della Stampa, Andrea Malaguti, per arrestare il calo della partecipazione popolare alle elezioni, sintomo - a suo dire - del declino della democrazia.
L’articolo 48 della Costituzione dice che votare è un dovere civico, cioè una specie di impegno morale, ma non un obbligo. Per l’illustre collega, invece, si dovrebbe essere costretti a partecipare alle elezioni. «Si va», ha spiegato, «con la forza». Non mi è chiaro se Malaguti preveda l’intervento dei carabinieri o, visto che «chi non va alle urne fa un danno alla collettività», quello degli esattori del fisco, per monetizzare il diritto a non esercitare un diritto (di voto). Quali che siano le procedure che il collega intende adottare per risolvere i problemi della crisi della democrazia, segnalo che il fenomeno dell’astensionismo riguarda ogni Paese occidentale.






