2019-03-20
Sberla del tribunale Ue a Bruxelles: «Per Tercas nessun aiuto di Stato»
La Corte annulla la decisione della Commissione che, nel 2015, bocciò l'intervento del fondo interbancario sull'istituto pugliese: «Erano soldi privati». Lo stop, però, influenzò le successive crisi. L'Abi: «Ora i danni».Oltre ai miliardi bruciati dal sistema, le sofferenze svalutate e il bail in anticipato. Ora Enzo Moavero Milanesi potrebbe rivolgersi a Jean-Claude Juncker.L'intervento dell'Europa legò le mani al Fitd, che non poté arginare i crac di Etruria, Carife, Banca Marche e Carichieti. Un risparmiatore che aveva perso tutto si suicidò.Le colpe degli amministratori, anche delle Venete, sono indiscutibili. Ma l'eccessiva acquiescenza del Colle e di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni alla vigilanza Ue ha fatto danni in serie.Lo speciale contiene quattro articoliPiù che a una sentenza, quella pronunciata ieri dalla Corte di giustizia europea somiglia a un terremoto in grado di scuotere le fondamenta dei palazzi del potere di Bruxelles e, potenzialmente, riscrivere l'intero processo di risoluzione delle crisi bancarie a livello comunitario. Nel comunicato diffuso a margine della pronuncia, i togati spiegano con un linguaggio asciutto e perfettamente lineare che lo schema messo in atto nel 2014 tramite il Fondo interbancario dei depositi (Fitd) per il salvataggio di Banca Tercas in nessun modo rappresenta aiuto di Stato, come invece contestato dalla Commissione europea. La Corte era stata chiamata a decidere nel merito dopo che l'allora ministro degli Esteri del governo Renzi e futuro presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, si era visto recapitare a febbraio del 2015 una velenosa letterina recante in calce la firma di Margrethe Vestager, ancora oggi commissario europeo per la Concorrenza. La mossa da parte del Fitd di mettere sul piatto la somma totale di 330 milioni di euro per tappare la voragine di Tercas, propedeutica alla ricapitalizzazione da parte della Banca popolare di Bari, non era piaciuta alla Commissione. Secondo Bruxelles, l'intervento a sostegno dell'istituto violava la disciplina degli aiuti di Stato, risultando pertanto lesivo della concorrenza. Cosa ancora più grave, Vestager e soci ipotizzavano che dietro al salvataggio ci fosse la regia statale. L'Italia aveva dunque deciso di opporsi alla decisione, presentando formale ricorso a marzo del 2016. Nulla di più sbagliato. Accogliendo le obiezioni giuridiche sollevate dal nostro Paese, la Corte smonta punto per punto l'impianto accusatorio della Commissione. La prima ipotesi a cadere per mano dei giudici è quella dell'imputabilità dell'aiuto allo Stato. Il Tribunale osserva infatti che «in una situazione in cui l'intervento in favore di Tercas è stato concesso da un ente privato, ossia il Fitd, spettava alla Commissione disporre d'indizi sufficienti per affermare che tale intervento è stato adottato sotto l'influenza o il controllo effettivo delle autorità pubbliche e che, di conseguenza, esso era, in realtà, imputabile allo Stato». Giova ricordare che il Fondo infatti, pur svolgendo un'attività di pubblica utilità qual è la garanzia dei depositi bancari, si configura pur sempre come un'istituzione di natura privata. «Al contrario», aggiungono i giudici, nel fascicolo sono presenti «numerosi elementi che indicano che il Fitd ha agito in modo autonomo al momento dell'adozione dell'intervento a favore di Tercas». La Corte sottolinea, inoltre, il fatto che gli interventi messi in atto avessero una finalità diversa dalla tutela dei depositi, e perciò «non costituiscono l'esecuzione di un mandato pubblico». Smentito anche il «coinvolgimento delle autorità pubbliche italiane nell'adozione delle misure». L'autorizzazione di Banca d'Italia non costituisce infatti «indizio che consenta d'imputare la misura di cui trattasi allo Stato italiano», e la Commissione non è riuscita a «dimostrare che i fondi concessi a Tercas a titolo dell'intervento di sostegno del Fitd fossero controllati dalle autorità pubbliche italiane».La storia racconta che il salvataggio ci fu comunque, grazie al «piano B» messo in atto grazie un escamotage ideato dallo stesso Fitd in accordo con il Mef e Banca d'Italia. Le somme deliberate a favore di Tercas furono restituite alle banche, che le fecero rifluire dal Fondo obbligatorio a un'associazione volontaria composta dagli istituti con un organo deliberante e dotazione patrimoniale propri. Ma ormai l'effetto domino era stato innescato e avrebbe portato, per usare le parole pronunciate durante un'audizione svoltasi nel dicembre 2017 in Commissione Banche da Salvatore Maccarone (presidente del Fitd), a una «distruzione di ricchezza pesante». L'atteggiamento della Commissione, spiega Maccarone, ebbe infatti «un'influenza nefasta sulla possibilità di intervenire nei confronti delle quattro banche (Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti, ndr)». Strozzato dalla condanna di Bruxelles, infatti, il Fondo non era più in grado di aiutare i quattro istituti in difficoltà, lasciati affondare insieme a migliaia di risparmiatori truffati.Verrebbe da chiedersi: e adesso chi paga? La sentenza in realtà prevede solo il rimborso delle spese legali, ma le conseguenze potrebbero essere molto pesanti. Su Twitter il presidente della commissione Finanze del Senato, Alberto Bagnai, ha definito «epocale» la sentenza di ieri e ha annunciato: «Chiederemo i danni». L'Associazione bancaria italiana esprime «grande soddisfazione», con il presidente Antonio Patuelli e il dg Giovanni Sabatini che ora chiedono alla Commissione di rimborsare «i risparmiatori e le banche concorrenti danneggiate dalle conseguenze delle sue non corrette decisioni che hanno imposto la risoluzione delle “quattro banche" e altri interventi più onerosi delle preventive iniziative» dal Fitd. Sulla stessa linea Lando Maria Sileoni, segretario generale Fabi: «Chiunque abbia subito danni deve essere rimborsato dalla Commissione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sberla-del-tribunale-ue-a-bruxelles-per-tercas-nessun-aiuto-di-stato-2632150808.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sulle-nostre-banche-un-delitto-perfetto-leuropa-deve-pagare" data-post-id="2632150808" data-published-at="1757918487" data-use-pagination="False"> Sulle nostre banche un delitto perfetto. L’Europa deve pagare Quasi cinque anni di tempo per smontare un intervento a gamba tesa da parte dell'Ue. Il no al salvataggio di Tercas (2014) non era legittimo. Il sistema bancario italiano avrebbe preso una strada completamente diversa rispetto all'attuale. Non tanto per la banca e il buco che portava con sé (330 milioni di euro), o per gli effetti su Popolare di Bari e sull'impatto della gestione delle quattro banche popolari saltate nel 2015, ma per il fatto che quel niet è stato la leva che ha portato il nostro Paese ad approvare con ben tre anni di anticipo il bail in. La storia non si fa con i se. Ma alla politica tocca porsi interrogativi, e capire se quel cambio di passo rivoluzionario poteva essere intrapreso in altro modo. All'inizio del 2016, all'indomani del crac di Etruria, Carife, Banca Marche e Carichieti, il sistema bancario italiano ha dovuto infatti sborsare 1,7 miliardi di euro per rimettere le quattro banche in pista dopo averle scorporate dalla parte sporca, la bad bank per la quale era già stato speso circa 1,8 miliardi. A ottobre del 2016, stando alle offerte presenti sul tavolo di Roberto Nicastro, presidente dei quattro istituti, non si andava oltre al miliardo complessivo per piazzarle tutte e quattro. Alla fine arrivò Ubi a prendere la baracca, pagando per tre istituti un euro soltanto. E portando la perdita del sistema al 100%. Di più, però, non avrebbe potuto pagare perché nel frattempo, in meno di un anno e mezzo, le banche sane, le good bank, avevano già prodotto sofferenze pari a 2,2 miliardi di euro. Rilevate dal fondo Atlante che finirà a sua volta travolto nel tentativo di salvare le due banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Quando Etruria, la banca in cui militò il padre dell'ex ministro Maria Elena Boschi, è saltata, l'operazione di scorporo e rilancio fu fatta in tutta furia, giustificando la necessità di vendere le good bank al più presto. La pratica affidata a Bankitalia generò un calcolo delle sofferenze di poco inferiore al 18%, scatenando la corsa dei fondi esteri al mercato degli incagli e dei cosiddetti Npl (non performing loans) italiani. La percentuale di svendita dettata da quella operazione ha creato il benchmark di riferimento per le altre banche. Dando il via a un'ondata di ribassi che ha creato in poche settimane perdite stimate in circa dieci miliardi di euro. E qui sta la seconda gamba dell'omicidio perfetto. Non solo la Commissione prende una decisione irreversibile sul piano del mercato, ma chi doveva vigilare e garantire gli investimenti degli italiani svaluta in un solo colpo il patrimonio immobiliare detenuto dagli istituti di credito e fa sapere a tutti gli investitori stranieri quanto poco valgano le sofferenze in pancia alle banche. L'operazione è così maldestra che lo scorso gennaio interviene pure la magistratura. I commissari di Etruria, nominati da Bankitalia, vengono indagati dalla Procura di Arezzo per abuso d'ufficio. Un pacchetto di crediti del valore nominale di 301,7 milioni, venduto per 49,2 milioni. Non sappiamo dove andrà a finire questa inchiesta. Ma la mossa è stata come sollevare una bandiera bianca e dire che il nostro sistema bancario non era più in grado di stare in piedi. E ci sono infatti voluti mesi, il sacrificio del fondo Atlante e miliardi buttati dalla finanza cattolica per stabilizzare la caduta. A chi tiene a puntualizzare che le banche sarebbero saltate lo stesso vale la pena rispondere che sì è vero, ma c'è modo e modo per contenere il contagio. Un conto è tagliare l'arto, tutt'altro stare ad aspettare che il cadavere si dissangui. L'interrogativo da porsi è come la politica romana potrà usare la sentenza contro la Commissione. Non è un caso se da qualche settimana Bankitalia, Confindustria e tutto l'entourage che gravita tra Colle e Mef sollevino dubbi sull'applicazione del bail in. Significa che gli uomini della vigilanza italiana e le istituzioni vogliono rivedere il modello di unione bancaria prospettato da gente come il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager che si nasconde sempre dietro le barricate della burocrazia. E non è un caso che tutto ciò avvenga nel momento in cui la Germania è alle prese con la fusione fondamentale per la stabilità del proprio sistema bancario. Ci riferiamo a Deutsche Bank e Commerzbank. Se il ministro Giovanni Tria e il governatore Ignazio Visco si scagliano contro il bail in significa che qualcosa è cambiato davvero. Il ministero degli Esteri, guidato da Enzo Moavero Milanesi, in accordo con il Tesoro potrebbe addirittura spingersi a chiedere i danni materiali alla Commissione. Non ci sono precedenti, ma nessuno esclude a priori il tentativo. Servirebbe dal punto di vista politico a porre un tema grande come una casa. Dopo i silenzi dei precedenti governi, di Bankitalia e pure del Colle ora chi paga? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sberla-del-tribunale-ue-a-bruxelles-per-tercas-nessun-aiuto-di-stato-2632150808.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-100-000-sul-lastrico-per-niente" data-post-id="2632150808" data-published-at="1757918487" data-use-pagination="False"> In 100.000 sul lastrico per niente Riuscireste a dormire serenamente pur sapendo di aver influenzato il fallimento di quattro banche, mandato sul lastrico più di 100.000 risparmiatori per un equivalente di oltre 400 milioni di euro, aver procurato il suicidio di un pensionato e messo a rischio la terza economia dell'eurozona? Non abbiamo particolari dubbi sul fatto che Margrethe Vestager anche stanotte farà sogni d'oro, eppure la condanna a morte di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti reca la sua firma. Per capire cosa c'entri il commissario danese con il tracollo dei quattro istituti italiani avvenuto a fine 2015 occorre fare un passo indietro. Nel luglio del 2014, la Banca d'Italia autorizzava il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd) a intervenire a favore di Banca Tercas, attraverso un'iniezione di liquidità per complessivi 330 milioni (265 milioni per coprire il deficit, 35 milioni a garanzia del rischio di credito e 30 milioni per possibili perdite supplementari). Dal 2012 l'istituto si trovava in regime di amministrazione straordinaria e l'anno successivo il commissario aveva richiesto l'intervento del Fitd per sanare la situazione. La mossa del Fondo consentì di fatto alla Banca popolare di Bari di procedere con un aumento di capitale e perfezionare l'acquisizione di Tercas. La Commissione europea, interpellata a settembre dal governo italiano, stabiliva a febbraio del 2015 che lo stanziamento violava la normativa degli aiuti di Stato. Nel corso di un'audizione in commissione Banche svoltasi nel 2017, Salvatore Maccarone (presidente del Fondo) raccontava la sopraggiunta necessità di mettere in piedi una «mostruosità giuridica» al fine di aggirare il problema. Tercas fu infatti costretta a restituire le somme ottenute, che furono nuovamente erogate a seguito della costituzione da parte delle banche di un nuovo soggetto volontario. Per le quattro banche però era troppo tardi. Come spiegato dallo stesso Maccarone, nel periodo in cui si sviluppavano le vicende della Commissione «la situazione delle banche si era deteriorata in maniera non più sostenibile e quindi vi fu la risoluzione». All'epoca, dunque, il destino dei quattro istituti era già segnato. Cosa sarebbe successo se il governo avesse deciso di forzare l'intervento del Fitd a sostegno delle quattro banche anche in presenza di parere negativo della Commissione europea? Prima di tutto, osserva il Mef, «uno Stato membro non può dare esecuzione a misure di aiuto prima di una decisione positiva della Commissione europea». Inoltre, l'intervento del Fitd avrebbe necessitato dell'ok della Bce, il quale vista la presa di posizione della Commissione non sarebbe ovviamente mai arrivato. Secondo quanto si legge sul sito di Banca d'Italia, ciò «avrebbe potuto comportare l'imposizione del ripristino della situazione ex ante, cioè l'integrale restituzione delle somme fornite dal Fondo alle quattro banche, con la probabile attivazione, nel corso del 2016, del bail in». Come se non bastasse, spiega via Nazionale, il nuovo Fondo volontario «è dotato di una capacità di intervento di 300 milioni, all'incirca pari a quanto già trasferito dal Fitd a beneficio di Tercas», di conseguenza «per le quattro banche poi poste in risoluzione non è stato possibile al sistema bancario raccogliere al suo interno il necessario consenso a mettere insieme una somma molto maggiore». Da tutto ciò si comprende come la decisione della Commissione di ostacolare l'azione del Fondo nel caso Tercas abbia di fatto impedito il salvataggio dei quattro istituti, mettendo a rischio la tenuta dell'intero sistema bancario. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sberla-del-tribunale-ue-a-bruxelles-per-tercas-nessun-aiuto-di-stato-2632150808.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="i-troppi-silenzi-di-mattarella-e-del-pd" data-post-id="2632150808" data-published-at="1757918487" data-use-pagination="False"> I troppi silenzi di Mattarella e del Pd Dall'alto dei disastri su Mps e le banche Venete l'ex ministro Pier Carlo Padoan per Carige incolpava il governo. Era solo lo scorso gennaio quando in una surreale intervista l'ex ministro spiegava che la banca genovese è finita nei guai per lo spread, salito a causa delle scelte del governo gialloblù. Fa sorridere che un rappresentante del Pd si avventuri a discutere di banche e di crac bancari. Invece Padoan decide di rilasciare un'intervista a Repubblica per accusare l'attuale governo di «aver fatto salire i tassi di interesse» e quindi mettere in crisi gli istituti. Al giornalista che chiede conto di Mps e banca Etruria, l'ex candidato a Siena risponde: «Addebitare a quel governo e al Pd certe crisi bancarie è operazione di malafede e strumentalizzazione. Erano storie di mala gestio, addirittura con risvolti penali, e noi abbiamo fatto tutto quello che andava fatto per risolverle. Piuttosto, quelli che accusano il passato pensino a quello che sta accadendo». E il riferimento è a Genova. In poche righe l'ex ministro infila una serie di strafalcioni politici e pure economici. Accusare i gialloblù della crisi di Carige è abbastanza ridicolo per il semplice fatto che il commissariamento dell'istituto è dovuto a motivi di governance (azionista di riferimento e management erano in lotta e l'impasse ha bloccato l'aumento di capitale) e a motivi di solidità patrimoniale come è stato per Mps, e per le due banche Venete. L'aumento di capitale di Mps, quello che i manager stavano portando a casa sul mercato, è saltato perché il governo è intervenuto a gamba tesa per sostenere la linea di Jp Morgan e il filone del Qatar, tanto amato da Matteo Renzi. Da lì è crollato tutto, e lo Stato ha dovuto versare 8,8 miliardi di euro e diventare proprietario della banca rossa per eccellenza al 70%. Padoan ha pure voluto silurare l'ad dell'epoca, Fabrizio Viola, per portare a termine il salvataggio pubblico. Non sapremo mai quali siano i motivi esatti del licenziamento del manager, ma Padoan da lì in avanti si è candidato a diventare il peggior ministro dell'Economia tricolore. Perché se non bastasse ha gestito la risoluzione delle banche Venete in modo ancor peggiore. Ha mantenuto un profilo passivo ogni volta che c'era da fare un trattativa con la Ue. È rimasto in balia delle scelte della Vigilanza Ue permettendo che i due istituti veneti (finiti dei guai per colpa dei rispettivi amministratori) peggiorassero di giorno in giorno. Tutti sappiamo come è finita e chi ha pagato il conto degli interventi di risoluzione. Il governo Renzi e quello Gentiloni hanno tenuto un profilo silente. Hanno accettato ogni dettame senza metterlo in discussione e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha alzato la voce a difesa dei risparmi degli italiani per la prima volta quando lo spread è impennato la scorsa estate. Eppure ha assistito a numerosi crac bancari. Nessuno mette in discussione le colpe di chi manovrava gli sportelli, le lacune degli amministratori e spesso le porcate che hanno generato buchi di bilancio, ma fra qualche anno l'unione bancaria europea sarà ricordata come un esperimento andato male. Con una serie di effetti collaterali , non solo a Cipro ma anche in Italia. E in tutto ciò abbiamo omesso la tragedia di Etruria per la quale Matteo Renzi fuori tempo massimo, e a buoi scappati, ha dichiarato guerra a Ignazio Visco, il numero uno di Bankitalia, reo (a dire dell'ex premier) di non aver fatto il possibile per tutelare politicamente il Pd evitando il crac dell'istituto aretino. Un mare di silenzi a cui la storia dovrà dare il nome che merita.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?