2020-06-07
Italia al palo, ripartono solo le Ong
In 600.000 attendono ancora la cassa integrazione di marzo. I «poderosi» prestiti promessi sono stati erogati a un'impresa su quattro. Per il credito di imposta ci sono fondi appena per un'azienda ogni 100 che ne fanno domanda. Mentre il governo litiga sulla farsa degli stati generali, i taxisti dei migranti riprendono l'attività a pieno ritmo. Lampedusa e Sicilia già scoppiano.Lo speciale comprende due articoli. I taxisti del mare di Sea Watch si sentono pure in diritto di fare prediche. Ieri, su Twitter, si sono messi a commentare la situazione esplosiva di Lampedusa: «L'isola è abbandonata a sé stessa da uno Stato assente che ne ha fatto l'hotspot d'Europa, ledendo i diritti della comunità residente e di quella migrante», hanno scritto. A una prima lettura, questa dichiarazione potrebbe addirittura risultare condivisibile. In effetti, Lampedusa - come del resto quasi tutta la Sicilia - è stata abbandonata. Gli sbarchi di migranti sull'isola si susseguono a getto continuo, centinaia di persone ogni settimana. Nel 2020, gli arrivi di stranieri sulle coste italiane sono triplicati rispetto al 2019: 5.461 contro 1.878. Nel solo mese di maggio sono arrivate qui 1.654 persone. Nei primi giorni di giugno siamo già a 342. Comprensibile, dunque, che nelle zone che devono accogliere tutti questi stranieri la tensione sia alle stelle. A Lampedusa ci sono stati diversi atti di protesta, anche sgradevoli (tra cui l'incendio appiccato al deposito dei barconi usati dai migranti per raggiungere l'isola). Le esplosioni di insofferenza si sono estese ad altre città e il governatore Nello Musumeci grida che la sua Sicilia non deve «diventare un campo profughi». Dunque sì, su questo ha ragione Sea Watch: Lampedusa e altre città sono state lasciate sole. Ma sapete qual è la soluzione offerta dai simpatici amici della Ong? Tornare in mare e caricare altra gente da condurre in Italia. Già: i taxisti sono pronti a tornare all'opera, anzi hanno già preso il largo. «Nei tre mesi passati a Messina ad adeguarci alle misure anti Covid-19, le istituzioni non hanno garantito i soccorsi in mare e la nostra presenza è più che mai necessaria», scrive Sea Watch su Twitter, spiegando di essere in viaggio verso le acque libiche. Anche la Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans (la Ong creata da vari esponenti della sinistra italiana, cioè della maggioranza di governo) è pronta a salpare, a fra pochi giorni dovrebbe partire da Trapani. A leggere i comunicati degli attivisti viene quasi da ridere. Siamo ancora nel bel mezzo di una devastante emergenza sanitaria. La nostra nazione è provata, e fatica a rialzarsi. Mancano i soldi praticamente per qualsiasi cosa. Il numero di stranieri irregolari giunto qui negli ultimi mesi è aumentato esponenzialmente eppure le Ong insistono, non sono soddisfatte: devono per forza portare altra gente in Italia. Persone che dovremo sistemare in un sistema di accoglienza che è allo stremo e i cui costi sono lievitati parecchio. L'idea che gli stranieri in arrivo vengano ridistribuiti in altri Stati europei, del resto, è pura fantascienza, visto che a livello comunitario il fronte delle nazioni contrarie all'accoglienza si è addirittura allargato nelle ultime settimane. Come si fa a non capire che riprendere il servizio navetta nel Mediterraneo è una follia? La Sicilia sta scoppiando: dove pensano di condurre i nuovi migranti i geniacci di Sea Watch e Mediterranea? Il bello è che parliamo della stessa gente pronta a gridare contro la destra fascista e irresponsabile che va in piazza con la mascherina calata... Non è - forse - un poco più irresponsabile continuare a far arrivare stranieri a centinaia in un momento del genere? Sea Watch, per altro, sembra non avere affatto imparato la lezione. Pochi giorni fa abbiamo appreso che tre clandestini arrivati a bordo di una delle navi di questa Ong erano torturatori libici. Ma non pare che gli attivisti si siano fatti un esame di coscienza, anzi. Non è tutto. Ai primi di maggio la nave Alan Kurdi della Ong Sea Eye (parente dalla Sea Watch) è stata bloccata dalla Guardia costiera italiana poiché, dopo una accurata ispezione, è emerso che non rispettava le norme di sicurezza necessarie a effettuare il soccorso in mare. Stesso discorso per un'altra nave, la Aita Mari della Ong basca Salvamento Maritimo Humanitario. Basterebbero questi episodi a far capire a chiunque che non è possibile lasciare mano libera a questi fanatici delle frontiere aperte. Da costoro, tuttavia, non possiamo aspettarci nulla di diverso: non rinsaviranno e continueranno a comportarsi da irresponsabili in ogni occasione. Toccherebbe allora al governo italiano intervenire e cercare di bloccare il via vai nel Mediterraneo. E invece i ministri che fanno? Niente. Anzi, se non facessero niente sarebbe meglio: in verità l'esecutivo sta peggiorando la situazione. Sul fronte migratorio, l'unico provvedimento che ha messo in campo è stata la sanatoria dei clandestini. Pochi giorni fa ne abbiamo raccontato il fallimento: sarebbe dovuta servire ad aiutare gli agricoltori, ma le associazioni di categoria hanno contato poche centinaia di domande appena. Il Viminale, punto sul vivo, ha deciso di anticipare i dati raccolti nei primi giorni e ha fatto sapere che le richieste di regolarizzazione presentate o in arrivo sono in tutto 9.500. Certo, siamo all'inizio, ma questo numero è la certificazione del fiasco, specie se si considera che molte di queste persone con tutta probabilità non sono impiegate nel settore agricolo. A parte la regolarizzazione, dicevamo, il governo non ha fatto nient'altro. Di più: il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, ha reso noto di essere intenzionata a cancellare i decreti sicurezza, cioè le uniche barriere normative che finora hanno arginato l'azione delle Ong e gli sbarchi sregolati. Risultato: ora gli attivisti No borders, sapendo di non correre rischi, riprendono il largo. E ci riprendono per i fondelli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sbarchi-triplicati-e-ancora-non-basta-ripartono-pure-i-taxisti-del-mare-2646161774.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piu-di-600-000-cassintegrati-ancora-in-attesa-dellassegno-crediti-dimposta-a-1-su-100" data-post-id="2646161774" data-published-at="1591470558" data-use-pagination="False"> Più di 600.000 cassintegrati ancora in attesa dell’assegno. Crediti d’imposta? A 1 su 100 I partiti si dividono sul Recovery plan che Giuseppe Conte vuole portare avanti in compagnia delle numerose task force con il principale obiettivo di mantenere in vita il suo governo. Il grosso dei fondi europei arriverà dopo il 2021 e toccherà il picco nel 2023. Basterebbe questo per riportare tutti con i piedi per terra. Eppure la polemica infuria sulle promesse future e non sulle erogazioni a fondo perduto che stentano ad arrivare alle imprese o sulla liquidità garantita dallo Stato che non decolla per le mille pastoie burocratiche riversate sulle spalle delle banche. D'altronde non c'è da meravigliarsi. Gran parte della politica si è accapigliata su dove gli italiani debbano andare in vacanza, mentre in 45 giorni di lockdown (da metà marzo a fine maggio) si sono persi 400.000 posti di lavoro e altre 720.000 persone circa hanno smesso di cercare una occupazione. Un dramma di fronte al quel parlare di ferie stona. Eppure, nell'ultimo decreto (chiamato Rilancio) sono stati destinati 1,6 miliardi di euro per garantire i bonus vacanza alle famiglie indigenti. Non porterà alcun beneficio, ma deve essere sembrato uno slogan efficace, soprattutto ai 5 stelle. Purtroppo uno dei tanti slogan che hanno costellato l'iter dei tre principali decreti economici (Cura Italia, Liquidità e Rilancio) che assieme hanno messo sul tavolo circa 80 miliardi di deficit. A quasi due mesi dal primo decreto, però, i risultanti concreti stentano a vedersi. Bisogna dare atto che dopo un avvio lento il meccanismo dei bonus a sostegno delle famiglie e delle partite Iva si è messo in moto. I 600 euro di marzo sono stati pagati tutti. Per quelli di aprile manca poco. Mentre i bonus di maggio sono attesi tra la metà e il 20 del mese. Il problema vero è che a tardare invece è la cassa integrazione. Per ammissione dello stesso ministro al Lavoro, Nunzia Catalfo, all'appello mancano ancora 670.000 persone. Attendono da metà marzo di vedere l'assegno dell'Inps. Il ministro grillino ha garantito che dopo il 18 giugno tutto si rimetterà in carreggiata. Non ha però sciolto l'altro grande dubbio. Su una platea di 6,8 milioni di lavoratori idonei a ricevere gli ammortizzatori, solo 2,5 sono stati pagati dall'istituto guidato da Pasquale Tridico. Altri 4,2 milioni hanno ricevuto gli assegni grazie all'anticipo sborsato dalle aziende. E qui cade l'asino. Rivederli richiederà molta pazienza, purtroppo in un momento in cui la liquidità è un bene prezioso. Al momento il grosso delle aziende infatti o si arrangia oppure chiede un prestito agevolato e garantito dallo Stato. Le erogazioni a fondo perduto ancora non sono partite per il semplice fatto che il decreto Rilancio è in fase di conversione. E pure il tema prestiti garantiti è tutto da soppesare. I dati forniti ieri dall'Abi parlano di circa 520.000 domande fornite dalle banche al fondo di garanzia collegato al Mediocredito centrale. Di queste circa 476.000 sono per pratiche inferiori a 25.000 euro. L'importo complessivo si avvicina ai 25 miliardi. Non ci sono dati precisi sulle pratiche andate a buon fine. Il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, ha fatto sapere che il tasso con cui vengono accolte quelle completamente garantite dallo Stato è del 51%. Per le altre si parla del 25%. Insomma, in tutto si superano di poco i 9 miliardi. Se aggiungiamo i prestiti concessi da Sace (6,9 miliardi di cui 6,3 solo a Fca) si arriva in tutto a 16 miliardi. Una inezia rispetto ai 400 miliardi promessi in conferenza stampa da Conte. D'altronde si era capito subito che si trattava di numeri senza alcun sostegno logico. Di promesse da televendita, per via del fatto che a sostegno di tutto il decreto Liquidità ci sono solo 2,27 miliardi reali. Non bisogna escludere che prima o poi la sparata di Conte si ritorcerà contro di lui o contro il suo governo. Ci vuole tempo. Perché lo schema dei decreti è estenuante e le patacche si vedono dopo che il testo viene convertito in legge. Un esempio su tutti riguarda i crediti d'imposta per la sanificazione, l'acquisto di mascherine e dispositivi sanitari. Previsto dal Cura Italia, l'incentivo è stato ampliato nel decreto Rilancio e permette di recuperare il 60% fino a 60.000 euro di spesa. Le aziende per ripartire si sono dovute adattare alla situazione post Covid e hanno dovuto seguire i dettami imposti dal governo. Purtroppo al momento l'incentivo è bloccato dall'assenza dei relativi decreti attuativi. La lentezza in questo caso non è imputabile solo alla burocrazia legislativa. Il governo sa che non ci sono fondi per tutti e se venissero pubblicati i decreti sarebbe costretto a dare il via a un click day. «Non è accettabile una tale situazione», commenta Enrico Zanetti, già vice ministro all'Economia, «perché finirebbe con il portare a casa il credito solo una impresa su 100». A quel punto scoppierebbe una bufera. Chi lo spiega ai ristoratori (che hanno dovuto correre per mettere in sicurezza i locali) che i soldi sono finiti? Chi lo spiega che sono stati sparsi a pioggia per comprare pure i monopattini? Prima di parlare di Stati generali e dell'Italia del futuro, meglio pensare al presente e verificare che quanto fatto negli ultimi tre mesi di crisi e morti non sia tutto da buttare.