2022-09-29
«Mio padre Raf, una star con due lauree»
Raf Vallone e Silvana Mangano in «Riso amaro» di Giuseppe de Santis. Nel riquadro Saverio Vallone (Getty Images)
Il figlio del grande attore con un passato da calciatore nel Torino: «Era spesso fuori casa per lavoro, ma quando tornava voleva sempre insegnarmi qualcosa. Da noi hanno cenato la Vitti, Miller, Antonioni, Al Pacino. E persino la Bardot, ma di nascosto...».I grandi attori non muoiono mai. Rimangono scolpiti nella memoria collettiva con i loro volti inconfondibili. Figurine di un passato sempre proiettato verso il futuro, di generazione in generazione. È il caso di Raf Vallone, scomparso 20 anni: lo sguardo fiero e profondo, il sorriso appena accennato, un’esuberanza fisica che traspare fin dal volto e connota tutta la sua vita. Dai campi di calcio della serie A con la maglia del Torino alla Resistenza, che lo vide protagonista di una rocambolesca fuga nel lago di Como, dal giornalismo al cinema. Un uomo dalle 1.000 vite che, alla sua morte, ha passato il testimone al figlio Saverio, anche lui attore. Lo stesso volto, calato in una realtà completamente diversa. Quando ha capito che suo padre era un divo?«L’ho visto subito: era amatissimo dalla gente, circondato da tantissime persone. Era un divo, però ha sempre amato i rapporti familiari e mi ha sempre fatto sentire il suo ruolo di padre, con un affetto straordinario. Stava quasi sempre fuori per lavoro, ma quando stava a casa, cercava di insegnarmi qualsiasi cosa. Mi faceva leggere le poesie di Pasolini, che recitava a memoria, oppure di Alfonso Gatto, un altro poeta che amava. A un certo punto voleva che leggessi tutto l’Ulisse di Joyce!».Glieli imponeva o era un consiglio paterno?«Me li imponeva e voleva subito i risultati! Era una tortura. Voleva che scrivessi tutti i giorni un diario per fotografare tutte le mie attività quotidiane. Non solo li leggeva, ma li correggeva. Io cercavo di annotare delle cose che potessero piacergli».Elena Varzi, sua madre, anche lei attrice, lavorava già meno?«Mamma ha smesso di lavorare nella metà degli anni Cinquanta, ha preferito dedicarsi alla famiglia e a mio padre, che seguiva spesso. Era buonissima, molto comprensiva e dolce».Quando sua madre partiva, voi con chi rimanevate?«C’era un esercito di sette-otto persone di servizio, a via Bacone, ai Parioli, e nella villa di Sperlonga. Un’infanzia bellissima, però con pochissima libertà perché c’era questa fissa dello studio. Papà utilizzava il suo tempo libero per interrogarmi. In montagna voleva che ripetessi tutte le guerre puniche! Io avevo una specie di repulsione, per cui leggevo di nascosto i fumetti e i libri più leggeri». Imparare le poesie l’ha poi aiutata quando ha intrapreso la carriera di attore?«Assolutamente. Molto spesso mi chiamano per presentare dei libri, forse è diventata la cosa migliore mia dal punto di vista attoriale».Quando suo padre partiva era un sollievo!«Un grandissimo sollievo: quando andava a girare un film, era una vacanza. Subentrava un rilassamento in famiglia, allora io andavo nelle camere a svegliare mia madre e le mie sorelle perché dovevo imitarlo. “Sveglia, sveglia…”. Senza gli stessi esiti: mi mandavano a quel paese! Quando sono diventato maggiorenne, prendevo di nascosto la sua stupenda Mercedes cabrio, però avevo paura che lui lo venisse a sapere, allora la portavo in un posto dove riuscivano a scalare i chilometri».Sul set andava a trovare suo padre?«Sì, per me era una magia. Mi ricordo una volta che stava girando un film western vicino a Madrid, Quattro per Cordoba. Mentre la troupe era in attesa mi hanno fatto salire sul cavallo, io dalla paura ho stretto troppo le staffe e il cavallo, invece di procedere, è andato indietro e stavo per cadere. Mio padre, che non era presente, lo ha saputo e mi ha detto: “Che figura di m… che mi fai fare!”. Poi ho preso lezioni di cavallo e adesso so cavalcare. Un’altra volta che stava girando un film di Otto Preminger, Il cardinale, si era fatto tagliare i capelli per entrare nel ruolo anche fisicamente e io pensavo fosse mio zio, che era pelato!».A casa si comportava come i personaggi che interpretava?«No, in casa usciva sempre dai suoi ruoli, anche se il personaggio di Uno sguardo dal ponte, che ha fatto tante volte, gli era proprio entrato dentro. A casa leggeva, studiava tantissimo, meditava e faceva yoga tutte le mattine per rilassarsi. Anche quando giocava nel Torino, studiava sempre. Infatti ci sono interviste in cui gli allenatori dicono: “Raffaele Vallone sta sempre a studiare”. Aveva due lauree, una in legge, una in lettere e filosofia». C’era un via via di ospiti importanti nelle vostre case...«Sono passati tutti. Mi ricordo Monica Vitti e Michelangelo Antonioni a Sperlonga, il suo amico Marcello Mastroianni, Anthony Quinn, Al Pacino, con il quale ha legato durante le riprese de Il Padrino - Parte III, Marco Ferreri, Alberto Moravia, Oriana Fallaci, Marlene Dietrich, Arthur Miller con la figlia Rebecca e la compagna Inge Morath. Ero già più grande quando ho conosciuto Miller, quindi ho assimilato tutto: era un uomo intelligentissimo. A Sperlonga, è venuta anche Brigitte Bardot, ma non a casa, perché la teneva nascosta! Mamma trovò per caso un biglietto in una giacca. La Bardot scriveva biglietti con i fiorellini attaccati. “Chi è questa Brigitte che scrive Je t’aime?”. È successo un dramma, ma papà ha sempre amato tantissimo mamma e ha lasciato l’attrice francese».Per lei era normale cenare con queste celebrità?«Mio padre ci costringeva a essere presenti nella maggior parte dei casi, a volte ero molto contento, a volte c’era mia madre che mi dava i pizzicotti sull’orecchio perché mi addormentavo! Quando andavo a letto, era come entrare in paradiso. Adesso ho ricordi bellissimi di quelle cene in cui discutevano assieme di qualsiasi progetto teatrale o cinematografico».Suo padre l’ha incentivata a fare l’attore?«No, mi ha incentivato a studiare. Mi piaceva il liceo classico, ma lui mi ha detto: “No, devi fare lo scientifico”. All’università, volevo fare medicina e lui: “No, devi fare farmacia”. Con la chimica è stata durissima. Mi mancavano tre esami per laurearmi perché ho cominciato a lavorare presto. A 16 anni ho fatto l’assistente operatore di Pasqualino De Santis per A mezzanotte va la ronda del piacere e per i matrimoni perché, quando era libero dagli impegni cinematografici, girava i filmini dei matrimoni. Un premio Oscar!».Quando ha esordito come attore?«Subito. Sul set di quel film cercavano il figlio di Claudia Cardinale e il regista Marcello Fondato ha detto:“Lo fa Saverio!”. Era una scena piccolissima in un cinema. Poi ho fatto molte pubblicità e fotoromanzi, che mi hanno dato grande notorietà. Ricevevo migliaia di lettere perché li leggevano tutti!». Suo padre che diceva?«Mio padre mi vedeva di più dietro la macchina da presa, lo vedeva un lavoro più solido… forse aveva ragione! Era molto divertito della mia carriera nei fotoromanzi, che alternavo con corsi di recitazione molto importanti, prima con Dominique De Fazio, poi con Stella Adler. Sono andato in America a studiare, ma mio padre non ha voluto che andassi nel suo appartamento di Los Angeles perché secondo lui non avrei fatto più niente, avrei invitato solo donne! In realtà, non mi voleva dare delle facilitazioni, voleva che facessi tutto da solo. Nel 1981 ho fatto il primo film da protagonista, Un centesimo di secondo di Duccio Tessari».Ha lavorato a teatro con suo padre…«Solo quando un regista con cui avevo lavorato, gli ha detto: “Guarda che Saverio è bravo”. È stato molto impegnativo: passava dall’essere severissimo a essere molto generoso. Prima di esibirci nel Tommaso Moro mi ha detto: “Qualsiasi cosa accada, non ti preoccupare: ceniamo insieme questa sera”».Si complimentava con lei qualche volta?«Se recitavo bene, diceva che gli ero piaciuto, però il complimento suo era sempre dosato».Tendeva più al rimprovero...«Si, soprattutto con me perché doveva dimostrare agli altri che era ancora più severo». Suo padre era attaccato alle sue origini calabresi?«Moltissimo. Aveva un carattere mediterraneo, caldo, e la classe dei signori torinesi perché mio nonno era di Torino, anche se di origini meridionali. Univa l’educazione e il rigore piemontese alla passionalità calabrese. Era comunque un cittadino del mondo perché stava quasi sempre fuori. Ha avuto una carriera americana, una carriera francese, una carriera tedesca… Parlava benissimo inglese e francese, al punto di recitare in diretta nell’opera teatrale Uno sguardo dal ponte per la Bbc, a Londra. Era molto preparato, un mostro di bravura».Quale suo film portava nel cuore?«Una volta finito un film, non lo vedeva più. Non era un narciso. Comunque amava tantissimo Uno sguardo dal ponte di Sidney Lumet, Il cammino della speranza di Pietro Germi, Cuori senza frontiere di Luigi Zampa e ovviamente Riso amaro di Giuseppe De Santis, per il quale passò al cinema. De Santis doveva girare un film sulle risaie e andò con Carlo Lizzani a incontrarlo a Torino perché aveva fatto un’inchiesta sulle mondine». Era un uomo sempre proiettato sul lavoro…«Proiettato sul lavoro e sul futuro. Vedeva solo il futuro, non si guardava mai indietro. Ha fatto così fino alla fine».Ha lavorato sino all’ultimo…«Sino all’ultimo e benissimo. Aveva una memoria pazzesca. In teatro ha smesso qualche anno prima perché facevamo delle tournée massacranti, un giorno si recitava a Lecco, il giorno dopo a Foggia. Nell’ultimo suo film, Toni di Philomène Esposito, è tornata a recitare con lui anche mia madre».I 20 anni che sono passati dalla scomparsa non hanno intaccato la sua fama: Raf Vallone è sempre Raf Vallone!«Sì, però mi arrabbio perché pensavo che certe cose venissero da sole. Gli ho intitolato un premio, che si svolge ogni anno nel suo paese natale, Tropea, e gli attori premiati vengono molto volentieri, malgrado le distanze, perché Raf Vallone è un nome e un’immagine unica».Il fatto di essere suo figlio l’ha aiutata?«Molto… nelle conquiste! Però ho capito che questo non basta, può essere solo un biglietto d’entrata, poi però ci devi essere tu, in tutto. E non è facile».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Il valico di Rafah (Getty Images)