2022-05-24
Sanzioni, Mosca è un muro di gomma. Sul petrolio la Germania spacca l’Ue
Smentiti gli esperti: l’economia russa resiste all’impatto dell’embargo. E il rublo è addirittura in crescita. Il ministro tedesco dell’Economia vuole lasciare fuori l’Ungheria dallo stop al greggio: ma così sarà il caos.Mario Draghi si è perso sulla via del grano. Né la pista bulgara né quella turca, immaginate dal premier, possono essere risolutive. Sofia non ha interesse a vendere all’Italia. E Ankara è un nostro diretto concorrente.Lo speciale comprende due articoli.Quella di ieri è stata un’altra giornata di tensione nella complessa trattativa interna all’Unione europea sul cosiddetto sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, che dovrebbe comprendere anche il divieto di importazione dei prodotti petroliferi.Intervenendo ieri in video al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, il presidente ucraino Zelenskiy ha detto che nessuno più dovrebbe commerciare con la Russia, che le sanzioni dovrebbero essere portate al massimo e che a questo punto serve un embargo totale sul petrolio russo.lI ministro dell’Economia tedesco, il verde Robert Habeck, presente a Davos, non ha perso tempo e si è detto d’accordo con il presidente ucraino, diffidando poi l’Ungheria dal vanificare ancora gli sforzi per arrivare ad un accordo sul blocco europeo alle importazioni di petrolio russo in risposta all’invasione dell’Ucraina. Il ministro ha manifestato la sua delusione per il fatto che l’Ue non abbia ancora raggiunto un accordo sull’embargo ed ha affermato che la Germania sarebbe pronta ad iniziare da subito, anche lasciando fuori l’Ungheria: «Se il presidente della Commissione proponesse di farlo a 26, senza l’Ungheria, allora questo è un percorso che sosterrei», ha detto Habeck. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha affermato nei giorni scorsi che sarebbero necessari dai 15 ai 18 miliardi di euro per rinnovare la sicurezza energetica del suo Paese. In pratica, dunque, il primo ministro Viktor Orbán è irremovibile nel pretendere che il sì del suo governo all’embargo abbia come contropartita la ristrutturazione completa del suo settore energetico. Posizione non proprio conciliante, che sta molto irritando Bruxelles, soprattutto dopo l’umiliante viaggio a Budapest di Ursula von der Leyen.Per aggirare l’ostacolo, a Bruxelles si sta pensando di concedere all’Ungheria di non applicare le sanzioni. Se così fosse, però, si aprirebbe anche per altri Paesi scettici la possibilità di ottenere regimi speciali. In ogni caso, anche per una soluzione a 26 serve l’unanimità del 27 paesi del Consiglio e non è detto che tutti siano d’accordo nel concedere un’esenzione all’Ungheria. Nonostante le difficoltà, comunque, ieri sia Habeck che il primo ministro olandese Mark Rutte si sono detti certi che il sesto pacchetto di sanzioni sarà pronto per la prossima settimana. Se si tratti di una convinzione fondata o dell’ennesimo calcio alla lattina si scoprirà presto.Ieri si è fatto sentire anche Vagit Alekperov, fondatore ed ex capo della compagnia petrolifera russa Lukoil, che in un’intervista al Financial Times ha dichiarato che un embargo europeo sul petrolio russo sarebbe lo scenario peggiore per tutti. «I Paesi occidentali hanno dato un segnale chiaro e hanno dichiarato la loro posizione, non è necessario inasprire le sanzioni ulteriormente», ha proseguito Alekperov. Il quale ha poi riconosciuto che nel caso di un embargo la Russia dovrebbe ridurre la produzione e fermare i pozzi, perché è impossibile spostare i volumi destinati all’Europa verso altri mercati in breve tempo. «I conflitti militari possono finire rapidamente, mentre la configurazione energetica del mondo è stata determinata da decenni di investimenti e duro lavoro di molte generazioni di professionisti. Non è necessario minarla o distruggerla», ha poi detto Alekperov.Se sul petrolio l’Europa è imballata in uno sfibrante tira e molla interno, sull’eventuale embargo al gas dalla Russia la discussione a Bruxelles non è nemmeno iniziata. In Germania il dibattito rimane acceso, tra i sostenitori della linea dura (i Verdi e molti tra i socialdemocratici) e chi invece si oppone fermamente, a partire dal cancelliere Olaf Scholz. Ieri una delle maggiori case automobilistiche del mondo, la Bmw, ha reso noto che sta lavorando per investire in fonti alternative così da ridurre la sua dipendenza dal gas naturale. Secondo il capo della produzione, Milan Nedeljkovic, il gas rappresenta il 54% del consumo energetico della Bmw, mentre il settore dell’auto rappresenta circa il 37% del consumo tedesco di gas naturale. Quando gli è stato chiesto cosa accadrebbe agli stabilimenti Bmw in caso di interruzione delle forniture di gas dalla Russia, Nedeljkovic ha risposto: «Non solo la Bmw, ma l’intero settore si fermerebbe».L’agenzia Interfax, infine, ha riportato quanto affermato ieri da Vladimir Putin a Sochi, all’inizio del suo incontro con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko: «L’economia russa ha resistito all’impatto delle sanzioni, e lo ha fatto in un modo piuttosto lodevole. Questo è dimostrato da tutti i principali indicatori macroeconomici». Effettivamente il quadro economico russo non è peggiorato in seguito all’applicazione delle sanzioni occidentali come prevedevano gli «esperti». Il rublo, poi, ha raggiunto quotazioni che non si vedevano dal 2018.Anche nel caso delle sanzioni, dunque, resta pienamente rispettato il paradosso di Bruxelles e delle sue regole, che ha a che fare con la costante inefficacia delle politiche europee rispetto agli obiettivi dichiarati. Il mantra dell’Unione sta tutto nell’idea che se una politica non funziona è perché non la si è praticata abbastanza, dunque ce ne vuole di più. Ma ormai, dopo tanti anni di disastri, soprattutto noi italiani dovremmo aver capito che se una cosa non serve, serve a qualcos’altro (cit.).<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/sanzioni-mosca-e-un-muro-di-gomma-sul-petrolio-la-germania-spacca-lue-2657374587.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="draghi-si-e-perso-sulla-via-del-grano" data-post-id="2657374587" data-published-at="1653332127" data-use-pagination="False"> Draghi si è perso sulla via del grano Forse in cerca di un posto atlantico se gli salta la maggioranza, Mario Draghi continua a darsi da fare per risolvere la guerra in Ucraina. Sta cercando di far riaprire il porto di Odessa – al punto che si è offerto di sminarlo con i nostri genieri - per consentire al grano ucraino di sfamare il mondo. In realtà una via breve c’è: è il porto (franco) di Giurgiulesti in Moldavia. Il grano potrebbe navigare sul Danubio fino al delta che però è al confine tra Romania e Ucraina e proprio sicuro non è. Dopo aver presentato un piano di pace bocciato da tutti, compreso l’alto rappresentate per la politica estera Josep Borrell che ha ribadito «o i russi tornano a casa o non si tratta», il nostro presidente del Consiglio prova con Bulgaria e Turchia ad aprire la via del grano. Ieri a palazzo Chigi con tutti gli onori è salito il premier bulgaro Kiril Petkov. Oggetto dell’incontro: come spedire i cereali e trovare un accordo europeo sul gas russo mettendo un tetto al prezzo. Sul gas Petkov ha dichiarato: «L’incontro con Draghi è andato molto bene. Abbiamo concordato che bisogna agire sul prezzo comune del gas a livello europeo. C’è il rischio che la Russia adotti misure diverse, e stipuli contratti più vantaggiosi, con paesi grandi come l’Italia e la Germania, a discapito di quelli più piccoli come la Bulgaria». Ma sul grano, a quel che si sa, avrebbe risposto: e che ci posso fare io? Anche perché la Bulgaria non ne produce una caterva: 5,6 milioni di tonnellate e l’export è interessante solo per noi italiani che siamo buoni clienti di Sofia. È vero che Petkov appena è scoppiata la crisi del grano ha provato a fare il furbo e a bloccare 1,5 milioni di tonnellate nei suoi silos per lucrare sui prezzi, ma non è il grano bulgaro che può sfamare il mondo. Probabilmente anche Recep Erdogan sul grano darà picche a Draghi, ammesso che lo faccia sedere su un divano. Si ricorderà che dopo lo sgarbo della poltrona negata a Ursula von der Leyen il nostro presidente del Consiglio disse di Erdogan: è un dittatore. Comunque Draghi ha promesso sabato scorso a Zelenski un whatever it takes applicato alle spighe. Solo che ad Ankara ci va a luglio. La verità è che la soluzione della mancata fornitura di grano dall’Ucraina con la fame nel mondo ha poco a che fare. Semmai ha a che fare con i prezzi e con i mancati profitti delle società americane che hanno in mano parte della produzione e della commercializzazione dei cereali di Kiev. Una cosa è sicura: la Bulgaria non è la soluzione logistica migliore; il grano dovrebbe arrivare via terra in Romania poi pigliare le chiatte sul Danubio attraversare la Bulgaria e da qui via terra arrivare in Turchia per imbarcarsi sul Mar di Marmara. Un bel giretto. Ecco perché serve anche l’accordo della Turchia che di certo di grano non ne vuole cedere perché ne importa oltre il 70%. Lo prende dalla Russia e lo trasforma in maccheroni. La Turchia è il primo competitor mondiale dell’Italia nella produzione di pasta – la fa mescolando semola e farina - che vende quasi tutta in Africa. Ne produce circa 2 milioni di tonnellate (noi circa 3,3) e ne vende all’estero due terzi a prezzi competitivi perché ha azzerato i dazi sulla semola importata (un milione di tonnellate) destinata alla trasformazione per l’export e triangola la farina di cui è il primo esportatore. Hai visto mai che vedendosi arrivare un po’ di grano in più Erdogan che è atlantista, ma anche sovranista magari lo trattiene per interesse nazionale. Però Mario Draghi non si rassegna. La strada per calmierare prezzi e carenza di grano c’è. Il Grain council international nel suo ultimo rapporto (marzo 2022) ha certificato che su una produzione mondiale di 765 milioni di tonnellate ci sono 292 milioni di tonnellate di scorte disponibili. Basterebbe convincere chi specula (americani, canadesi e francesi per primi) a smettere e il grano si trova. Ma vuoi mettere quello ucraino!