2023-08-06
«San Francesco m’ispira perché era scandaloso»
Angelo Branduardi (Getty Images)
Il grande artista Angelo Branduardi si racconta: «A differenza di molti autori italiani ho avuto successo internazionale. Scrivo alle 4 di notte e con la “Fiera dell’Est” mi sono assicurato un pezzettino di immortalità. In pandemia però ho patito una forte depressione».Nell’autobiografia Confessioni di un malandrino (Baldini e Castoldi) Angelo Branduardi si definisce «cantore del mondo». In effetti non è facile trovare qualcuno che più di lui abbia musicato le meraviglie del creato e i suoi segreti. E che continui a farlo con una delicata energia e uno stupefacente entusiasmo dopo decenni di celebratissima carriera.Vorrei iniziare da una sua esibizione recente, al Festival della transumanza, all’Aquila. Mi sembra che la sua opera - nonostante sia di ricerca e in alcuni casi di avanguardia - sia anche molto legata a queste antiche di tradizioni e alla natura. «Sì, non solo, ma anche. Ho fatto molte cose che tradizionali non erano, però sì, questo legame c’è. La pulce d’acqua, come i critici adesso riconoscono, è la prima canzone ecologista che sia stata scritta in Italia. Tra l’altro, La pulce d’acqua in realtà riprende una leggenda degli indiani d’America. Essendo un uomo inquieto, io cerco la pace, cerco la tranquillità. E il sogno: scrivo alle quattro, alle cinque del mattino, proprio perché in quelle ore non sei proprio in te». Si è come sospesi fra due mondi, realtà e appunto sogno. Quindi nella sua musica c’è anche un elemento spirituale?«Altamente spirituale, sì. Voglio citare una frase di Ennio Morricone, con cui ho avuto l’onore di girare mezza Europa. Lui diceva: “Essendo la musica l’arte più astratta, è la più vicina all’assoluto”. Ora, per assoluto si possono intendere tante cose, non necessariamente solo Dio, però questa è una magnifica definizione della musica, in tre parole».Nella sua vita Dio lo ha cercato? Anche al di là della ricerca artistica intendo.«Sì, anche. Io sono un uomo che vive di dubbi, quindi non sono dotato di fede granitica, ma d’altronde chi ha una fede granitica alla fin dei conti, spesso, manco se la merita. Perché se non fai un certo cammino, se non cadi, ti rialzi, credi, non credi… lo stesso san Francesco si sente in certi momenti abbandonato». A san Francesco ha dedicato un album, L’infinitamente piccolo del 2000, frutto di ricerca sulle Fonti francescane. Come si è avvicinato alla figura di Francesco?«È stato un uomo straordinario, un poeta: ed è una cosa che dimenticano tutti, è stato il primo poeta della letteratura italiana. Poi mi ha interessato il fatto che tutto nasca dallo scandalo (mi riferisco a quando è si è spogliato di tutto ed è rimasto nudo davanti al padre). La creatività nasce spesso dal tormento e dallo scandalo».E pensa che quella di Francesco sia una figura che ancora oggi può dare scandalo, specie in questo mondo dove lo scandalo è dappertutto?«Sì, secondo me sì, perché - ripeto - rifiutare tutto quanto per allontanarsi per sempre, come lui dice nella regola, è un fatto davvero scandaloso. È un fatto scandaloso anche se le vocazioni sono in netto calo, è un fatto scandaloso diventare francescano o entrare in un convento di clausura: questi sono tutti fatti di scandalo».Potremmo dire che in qualche modo anche lei si è spogliato e ha rinunciato - in modo anche abbastanza sorprendente - al grande business della musica. Certo, si è guadagnato un posto nella storia della musica italiana, ma a un certo punto ha preso una sua strada più appartata. «Assolutamente. Io ho fatto la rockstar per una ventina d’anni. Mi sono divertito. Poi è cambiato qualcosa. C’è proprio una data: un giorno sono andato a suonare alla Fête de l’Humanité a Parigi, con 120.000 biglietti venduti, più quella parte di pubblico che era entrata di straforo. C’era un palco incredibile disegnato da Oscar Niemeyer, quello che ha costruito Brasilia. Ecco, lì mi sono sentito per la prima volta in forte disagio. Quando poi c’è stata la festa con la consegna dei vari dischi d’oro, di platino, eccetera, io avevo già deciso che non era più la mia strada. Venendo dalla musica classica e avendo avuto un grande successo internazionale, cosa che gli artisti italiani di solito non hanno, ho deciso di cambiare».E quando lo ha deciso che cosa le hanno detto la casa discografica e il manager? Hanno cercato di dissuaderla? «No, in verità non mi hanno detto niente, sapevano che era inutile. Adesso magari sono un po’ più fragile per l’età che ho, ma allora avevo una testa durissima, sennò non sarei riuscito a far passare un brano rivoluzionario come La fiera dell’Est, che infatti nessuno voleva pubblicare».In effetti è un unicum nella storia della musica italiana e forse anche internazionale. «È un brano rivoluzionario, perché è violentissimo e inquietante. Sono stati scritti dei libri sul testo della Fiera dell’Est: non sulla mia Fiera dell’Est, sulle parole originali. Uno addirittura cinque o sei mesi fa, un libro in cui appunto ci si chiede il perché di tutta questa violenza, e si ragiona sulla figura dell’angelo della morte che arriva. Chi è l’angelo della morte? Ecco, mettere in musica una cosa del genere era di per sé rivoluzionario, e anche questo, dopo tanti anni, mi viene riconosciuto. Però mi è stato riconosciuto prima a livello internazionale dalle maestre, dalle mamme, dai bambini, che non sanno chi sia Branduardi ma il mio topolino lo conoscono. Questo per dire che quel brano è diventato patrimonio popolare, non mi appartiene più e questo è, se posso essere immodesto, un pizzico di immortalità». Generazioni sono cresciute con quel brano. Ed è vero che è violentissimo. Però è una violenza quasi metafisica, comunque molto diversa da quella che emerge nei testi rap o trap. «Della roba che va adesso nel rap, nella trap e compagnia bella, e cioè misoginia, rivoltelle, facciamo la brutta copia dell’America... Di quella roba non ho grande stima».Potremmo dire che fa parte della colonizzazione culturale che abbiamo avuto da parte degli Stati Uniti in senso musicale. Una colonizzazione che ha fatto in parte sparire la nostra tradizione musicale. «La mia no, e in questo senso sì, seguo una tradizione, anche se ho sperimentato cose un po’ fuori di testa...». Ad esempio?«Ho fatto otto dischi di musica antica (e non è ancora finita), e sono stati incredibili. A San Giovanni in Laterano c’erano 12.000 persone per ascoltare la mia musica antica, io in quelle occasioni non facevo nemmeno la Fiera dell’est». A proposito di musica antica. Lei ha un grande legame con la tradizione trobadorica. Si riconosce nella figura del trovatore?«C’è una bellissima frase di un trovatore sconosciuto tedesco che dice: “Io sono il trovatore, sempre vado per molti paesi e città, ora che sono giunto sin qui lasciate che prima di partirne io canti”. Questo lo diceva mille anni fa e se fossi capace lo direi anch’io». Come ha scoperto la musica antica?«Al conservatorio ai tempi non insegnavano musica antica, si partiva normalmente dal barocco o dal tardo rinascimento. L’ho scoperta dopo, così, per caso: l’ho ascoltata e ho trovato fosse bellissima. Non sono stato il solo. Siccome la crisi della musica occidentale non l’ho inventata io, molti musicisti, anche colti, hanno provato a vedere se fare un passo indietro potesse significare farne due avanti». Cioè sono andati a cercare ispirazione nella musica antica. «Forse non è la soluzione, anzi probabilmente non è la soluzione. Chissà, forse da qualche parte è nato un nuovo Bach, non lo so... Però quello di ripartire dalla musica antica è stato ed è uno dei tentativi della musica moderna, anche più d’avanguardia. Molto spesso si notano echi evidenti di musica antica». A proposito di restare appartati, lei è anche riuscito, a differenza di tanti altri cantautori, a tenersi alla larga della politica. Anche se è capitato in mezzo a eventi politici eccezionali, come la primavera di Praga. «Ero lì. Sono stato uno dei soci fondatori del servizio civile internazionale, per cui partii con la mia professoressa di francese per gli Alti Tatra, un posto splendido dove facevamo i muratori. Meraviglioso: abbiamo visto gli orsi, una cosa incredibile. Ci muovevamo facendo l’autostop, che allora era facilissimo, soprattutto in quei paesi. Alla fine siamo arrivati a Praga e dopo due o tre giorni, tra la notte e la mattina prima del caffè, ci siamo trovati schierati 100 panzer. Andavamo a dare da mangiare ai ragazzi della radio che ancora erano asserragliati dentro il palazzo di San Venceslao e per questo fummo arrestati».E come siete venuti fuori da quella storia?«Ci hanno trattato bene e dopo un po’ ci hanno messo su un elicottero, ci hanno portato alla frontiera di Cesche Budajowice e ci hanno detto: “Ciao, andate”. Mi hanno detto: “Corri”, e io, che avevo solo 18 anni e che avevo visto troppi film di guerra, quando mi hanno detto “corri” mi sono attaccato a un palo e ho detto “io non mi muovo di qua”». Temeva che le dicessero «corri» per poi sparare? «Eh sì…». A parte questa vicenda incredibile, lei ha vissuto tutta la stagione dell’impegno politico, della contestazione. Fa parte di una generazione che è stata fortemente politicizzata. Eppure ha evitato questa ondata ed è riuscito comunque ad avere successo. «Sì, l’ho evitata, ma appunto il successo è arrivato ugualmente perché La Fiera dell’Est nasce in quel periodo lì, poco prima degli anni di piombo. Ho sempre evitato ogni impegno politico: manco mi viene. Se devo scrivere non mi viene niente in testa che abbia alcunché di politico. Come Battiato, se posso citarlo, ho sempre evitato di esporre le mie idee politiche». Le hanno fatto dei problemi all’epoca? Perché non era facilissimo risultare «disimpegnati». «No, probabilmente mi ritergevano un povero pirla, un qualunquista, per cui non sono mai stato sottoposto ai processi tipo Francesco De Gregori. C’è stata ogni tanto qualche contestazione, qualcosa tipo “la musica è nostra”, eccetera eccetera... Ma di solito mi tenevo lontano. Ricordo però un episodio». Racconti. «La prima volta che suonai per davvero, anzi le prime due volte che suonai per davvero, ero il supporto di Lou Reed». Niente meno. «Fui l’unico a suonare. Con le luci accese, perché intanto si preparavano con le biglie».Le biglie se le prese Lou Reed? «No, nemmeno, perché se le presero gli String Driven Thing, che erano il vero supporto. Uno è finito all’ospedale, e di brutto. Mi ricordo che fuggimmo dal Palaeur in una maniera rocambolesca. In macchina non si vedeva niente per via dei fumogeni, una paura… Ma ripeto: sono stato l’unico a suonare». Ah quindi una storia a lieto fine, se così si può dire. «Ho appunto suonato con la luce accesa ma sì, sono stato l’unico a suonare: nessuno reagiva, né applaudiva. Stavano preparando altro». Facciamo un piccolo passo indietro visto che lo ha citato prima. Con Franco Battiato che rapporto ha avuto? «Ho avuto un bel rapporto. Non è che ci si vedesse spesso, perché io sto al confine con la Svizzera, lui stava in Sicilia, però abbiamo collaborato nell’Infinitamente piccolo: nel Sultano di Babilonia, lui canta insieme a me. L’ho sempre stimato moltissimo. Non ho mai capito come non abbia avuto un successo internazionale, non me lo spiego». Lei dove ha avuto più successo fuori dall’Italia? «Soprattutto Germania. Poi in Francia, Belgio, Olanda». Adesso come proseguirà la sua ricerca? Anche esplorando la musica antica non è così facile trovare cose nuove... O sì?«Io ne sto trovando altre. Non so sinceramente se farò altri dischi di natura pop. Innanzitutto, come tantissimi, ho passato due anni di pandemia terribili in cui non sono riuscito a toccare uno strumento e ad ascoltare né Bach né Springsteen, cioè mi veniva il vomito. Infatti poi dopo ho dovuto mettermi a studiare come un matto per riprendere a suonare. In questo momento, qui lo dico e qui lo nego, a me piace andare in giro a suonare, perché per me è terapeutico, data l’inquietudine». Durante il Covid ha avuto una forte depressione. «Molto grave, sì. È qualcosa da cui sono entrato e uscito più volte, e andare in giro a suonare mi aiuta, mi fa stare bene». Quindi continuerà a farlo? «Finché schiatto. Finché ho le forze. Ho 73 anni, ho un buon fisico. All’ultimo check-up, che poi è l’unico che ho fatto, ero terrorizzato ma mi hanno detto che ero perfetto». Nel pop c’è qualche artista internazionale o italiano che la interessa e non l’annoia?«Sì certo. Springsteen, Paul Simon, Cat Stevens, Bob Dylan, Battiato che ho citato prima».Paul Simon è uno che mi sembra per molti versi affine alla sua ricerca. «Sì, sì. E adesso ha fatto un disco che non ho ancora sentito ma che si intitola Seven Psalms: sono i salmi tratti dalla Bibbia. Disco che, insieme a quello di Cat Stevens nuovo, comprerò senz’altro. Ma ce ne sono anche altri, potrei andare avanti». Qui torniamo sul tema della spiritualità. Parliamo di due artisti che hanno appunto affrontato un percorso anche religioso. Soprattutto ovviamente Cat Stevens, che oggi è Yusuf Islam, ma lo stesso Simon sembra sia andato a riscoprire le sue radici ebraiche. «Esatto, e dopo che aveva detto chiaramente che non avrebbe più fatto dischi, dopo 10-15 anni esce con un album sui salmi. Vuol dire che a una certa età si fanno i conti con tante cose».Quindi un modo di fare i conti con la parte finale della vita.«Sì, è un modo di fare i conti con la parte finale della vita». Forse però ci si rivolge ai testi sacri, alla Bibbia, o alle fonti francescane come hai fatto tu perché lì dentro c’è già tutto, e non serve molto altro. «Beh, sì. Ne La serie dei numeri, il mio brano ispirato a un testo celtico, si dice: unica la morte, niente oltre e niente di più».La poesia le ha sempre dato grande ispirazione, penso ad esempio a Yeats. Forse anche per tramite di sua moglie, Luisa Zappa, che scrive i suoi testi. «Urca, sì. Ho fatto il conservatorio, poi ho avuto degli incontri importanti, penso anche a Franco Fortini, con cui ho avuto un rapporto di anni. Però in fin dei conti sono autodidatta, non musicalmente, a livello letterario intendo. La poesia mi affascina tantissimo, perché è come la musica, è una freccia che viene lanciata, che va, non torna indietro, ma che se ti colpisce... è bellissimo».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.