2022-08-24
Salvini critica l’utilità delle sanzioni. Ma Letta difende ancora la linea dura
Il leghista: «Dobbiamo guardare i numeri, Mosca ci guadagna». Il dem va all’attacco, Mario Draghi ribadisce: «Sosteniamo Kiev».Archiviata la travagliata pratica della consegna delle liste, a un mese dalle elezioni la politica si concentra (o almeno prova a farlo) sui programmi. E uno dei nodi più spinosi è senz'altro quello dell’atteggiamento che il prossimo governo dovrà assumere nei confronti di Mosca e del conflitto ucraino. Un punto su cui la sinistra sta spingendo molto in termini di propaganda elettorale, tacciando la coalizione avversaria (Matteo Salvini in primis) di «intelligenza col nemico» e di un posizionamento ambiguo a fianco dell’Occidente e dell’Ue. In questo contesto, il dibattito che ieri si è sviluppato attorno all’efficacia delle sanzioni contro la Russia è stato esemplificativo. A innescare la prima riflessione di un certo peso sul tema della campagna elettorale è stato proprio il leader leghista, che ha posto l’accento, con tanto di cifre, non tanto sulla giustezza e sul principio delle sanzioni a Vladimir Putin, quanto sulla loro efficacia e durata. Stando infatti ad alcuni indicatori economici incontrovertibili, il quadro economico della Russia avrebbe retto l’impatto delle sanzioni senza grossi scossoni, e in alcuni casi, addirittura, i dati indicano un miglioramento. Ciò per Salvini dovrebbe determinare, se non altro, un dibattito a livello internazionale che prenda in considerazione un cambio di strategia. Parlando al Meeting di Rimini, il segretario del Carroccio ha osservato che le sanzioni «teoricamente dovrebbero colpire il sanzionato e costringerlo a fermarsi. I numeri delle Banche centrali ci dicono che nei primi sei mesi di quest’anno è successo l’esatto contrario. Sulle sanzioni alla Russia bisogna guardare i numeri: l’avanzo commerciale della Russia è 70 miliardi di dollari, per la prima volta nella storia il sanzionato ci guadagna. Chiedo di valutare», ha aggiunto, «l’utilità dello strumento, perché se funzionano andiamo avanti ma se funzionano al contrario rischiamo di andare avanti dieci anni. Uno strumento che doveva dissuadere Putin nell’attacco», ha detto ancora Salvini, «finisce con il favorirne l’economia e non vorrei che proprio le sanzioni stessero alimentando la guerra. Spero che a Bruxelles stiano facendo una riflessione». Salvini ha tenuto a precisare, però, che «comunque vadano le elezioni, la collocazione internazionale dell’Italia non si discute e mi sembra che tra la democrazia e altri modelli la scelta ovvia sia per la democrazia». Ciò non è bastato ad attenuare la polemica con il centrosinistra, capitanato dal segretario dem Enrico Letta, che ha approfittato degli interrogativi posti da Salvini per portare l’affondo sulla lealtà atlantista del centrodestra nel suo complesso: «Putin», ha detto anch’esso al Meeting, «sta ricattando l’Italia e l’Europa e al ricatto non si risponde col cedimento», «Autunno e inverno», ha proseguito, «saranno molto più complessi di quanto pensavamo, bisogna far salire il livello di interventi e sulle sanzioni le scelte vanno prese insieme con i nostri alleati. La cosa peggiore da fare», ha concluso, «sarebbe dare segni di cedimento a Putin, cambiare linea significherebbe darla vinta a Putin». Sull’atlantismo e sulla linea delle sanzioni resta severo, come era in qualche modo prevedibile, anche il premier uscente Mario Draghi, come testimonia l’intervento alla Conferenza per la Crimea: «La Russia», ha affermato, «deve porre fine alla sua occupazione illegale, ai suoi attacchi brutali contro i civili disarmati. L’Italia», ha proseguito, «continuerà a sostenere l’Ucraina nella lotta per resistere all’invasione russa, per ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina, per proteggere la sua democrazia e la sua indipendenza». Nel campo degli alleati di Salvini, il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, ha cercato di tenere una posizione mediana tra il check chiesto da Salvini sull’efficacia delle sanzioni e la lealtà all’attuale governo e al più marcato atlantismo del suo partito: «Per il momento le sanzioni alla Russia non vanno tolte», ha detto Tajani, per poi specificare però che «non devono essere eterne» perché «provocano delle ricadute soprattutto alla Germania, alla Polonia e all’Italia. Prima però», ha spiegato, «occorre far capire alla Federazione Russa che la violazione del diritto internazionale è qualcosa che provoca una reazione da parte della comunità internazionale, e noi siamo sempre stati chiari sulla condanna dell’invasione dell’Ucraina, siamo dalla parte dell’Europa, dell’Occidente e della Nato ma lavoriamo per la pace e prima si conclude questa guerra meglio è». Nel partito di Giorgia Meloni (che ha più volte avanzato la richiesta un fondo compensativo per le nazioni, come l’Italia, maggiormente colpite dalle conseguenze energetiche delle sanzioni) ha detto la sua il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida: «L’Italia è danneggiata dai danni collaterali di queste sanzioni e gli altri Paesi occidentali devono farsene per quota parte carico». In tutto questo, anche dal Colle si avalla la linea dura: il Quirinale ha infatti deciso di revocare, su proposta della Farnesina, dieci onorificenze ad altrettanti cittadini russi per «indegnità». I decreti sono stati firmati lo scorso 8 agosto e pubblicati in Gazzetta ufficiale il 20. Tra le personalità russe coinvolte figurano politici, imprenditori e manager.