2024-12-21
Sconfitta dei pm pro immigrazione. Salvini assolto nel caso Open arms
Respinte le accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio: il fatto non sussiste. Applausi in aula. Il leader del Carroccio: «Ha vinto l’Italia. Difendere la Patria non è reato». La Ong: «Valutiamo ricorso».«Il fatto non sussiste». C’è un giudice a Palermo, non solo a Berlino. Quando Roberto Murgia scandisce la sentenza che manda assolto Matteo Salvini nel processo Open arms una folata di aria fresca entra nell’aula bunker del carcere Pagliarelli ad agitare le tante toghe. Esulta l’imputato, piange la fidanzata Francesca Verdini, si congratulano il ministro Giuseppe Valditara, il sottosegretario Claudio Durigon che siedono a fianco. «C’è il sole, è una bella giornata», aveva esordito il vicepremier in mattinata entrando in scena per l’ultimo atto. La serata è addirittura spettacolare.La giustizia palermitana ha avuto bisogno di due anni di inchieste, tre anni di dibattimento e otto ore di Camera di consiglio per arrivare alle stesse conclusioni di quella catanese (207 chilometri di distanza), che mandò assolto lo stesso imputato per il caso Diciotti in un solo pomeriggio, con identico dispositivo del pm Andrea Bonomo: «Non luogo a procedere perché il fatto non sussiste». Sono le due velocità di un meraviglioso e strano Paese. Alla fine Salvini si vede riconoscere le proprie ragioni e commenta: «Sono felice. Dopo tre anni ha vinto la Lega, ha vinto l’Italia. Difendere la patria non è un reato ma un diritto. Andrò avanti ancora più determinato di prima». La sentenza è una disfatta per la Procura di Palermo che ha creduto fortemente nella colpevolezza dell’ex ministro dell’Interno fino all’ultimo secondo. Anche nelle repliche finali Marzia Sabella (supportata da Calogero Ferrara e da Giorgia Righi) ha ribadito la richiesta di sei anni di carcere perché la decisione di non far sbarcare 147 migranti dalla Open arms «è stata un sequestro di persona». Ha vinto ancora una volta Giulia Bongiorno, già protagonista dell’assoluzione di Giulio Andreotti, nel sottolineare che «Open arms bighellonava in mezzo al mare mentre i migranti potevano scendere liberamente. Salvini difendeva i confini». Una verità sancita dal collegio giudicante (Andrea Innocenti ed Elisabetta Villa a latere) che ha saputo contestualizzare i fatti e soppesare al meglio il ruolo politico-istituzionale di Salvini. La ricostruzione è semplice, andata a memoria in questi anni di braccio di ferro. La Ong Open arms - che ha annunciato di aspettare le motivazioni dei giudici per valutare il ricorso - condotta dal capitano Marc Reig Creus lascia il porto di Siracusa il 29 luglio 2019 e anziché dirigersi a Lampedusa come aveva annunciato alle autorità portuali, intercetta un barcone con 78 persone al largo delle coste libiche lasciando il sospetto di aver ricevuto informazioni da chi le ha portate fin lì. Le prime nazioni contattate sono la Spagna (Paese di bandiera della nave) e Malta, place of safety più vicino. In questo caso l’Italia non ha obblighi poiché l’operazione avviene fuori dalle aree di sua pertinenza. A dimostrarlo è un serrato scambio di opinioni della nave con La Valletta. I maltesi accusano Creus: «Avete intenzionalmente continuato a procrastinare per mettere ulteriore pressione su Malta. Se aveste proceduto verso il vostro porto d’origine sareste già sbarcati». A questo punto Open arms chiede all’Italia il via libera dopo aver raccolto altri 69 migranti. Secondo la difesa di Salvini (e secondo il decreto Sicurezza) «non può ricadere sullo Stato italiano l’onere di una risposta di competenza di altri Stati». E l’ingresso in acque territoriali, a fini di assistenza, non significa diritto allo sbarco. Ma Open arms punta deliberatamente sull’Italia; sembra che la Ong stia cercando il luogo perfetto per creare un incidente diplomatico.A conferma di questo, dalla nave arrivano un No all’autorizzazione concessa dalla Spagna il 18 agosto e il rifiuto dell’assistenza offerta dalla Capitaneria di porto italiana, disponibile a imbarcare i migranti più bisognosi e ad accompagnare il natante verso la Spagna. Nel frattempo le persone con «comprovate necessità mediche» vengono fatte sbarcare: 27 minori arrivano a Lampedusa, otto di loro si dichiareranno subito maggiorenni.Il processo a Salvini prende il via su queste basi e diventa subito scivoloso, viene definito (non solo) dall’imputato un’arma politica. Per due motivi. Il primo è procedurale. Come abbiamo ricordato, per l’analoga vicenda relativa alle navi Diciotti e Gregoretti, Salvini viene prosciolto a Catania. Il secondo motivo è tutto interno alla peggiore politique politicienne: l’autorizzazione a procedere in Parlamento viene concessa dalla maggioranza grillo-dem, la più forcaiola della storia. In quella fase si distingue per ferocia Matteo Renzi, che con la frase «Game over» spera di annientare l’avversario elettorale più pericoloso. Salvini entra ufficialmente nel tritacarne.A sostenere l’accusa sono tre magistrati con una storia importante alle spalle. Marzia Sabella ha fatto parte della commissione Antimafia con i governi Letta, Renzi e Gentiloni, chiamata dalla presidente Rosy Bindi. Calogero Ferrara detto Geri ha grande esperienza nella silenziosa guerra agli scafisti ma faceva parte di un pool che incorse in un infortunio; invece di far estradare dal Sudan un trafficante di uomini, per uno scambio di identità portò in Italia un ignaro falegname. Giorgia Righi è molto sensibile alla causa transgender e un anno e mezzo fa firmò con alcuni colleghi un documento di accusa al governo sull’utero in affitto, dove si chiedeva curiosamente «protezione dei bambini nati da due mamme».Tutto invecchia in fretta, cala il sipario, anche se si prevedono ricorsi in appello. Salvini già pensava di essere entrato nel club dei Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Giulio Andreotti. Invece c’è un giudice a Palermo. Per consolarsi, Open arms pubblica uno spot con Salvini che sta per affogare e lo slogan: «Salveremmo anche te». Folclore da asilo. A Mondello la giustizia italiana non ha fatto naufragio.