2019-05-12
Salviamo i rom dai criminali che li sfruttano
I primi a essere vittime di violenza e prevaricazione sono bambini, donne e giovani, costretti a diventare malviventi sotto minaccia dei capi clan. Per spezzare questa catena delinquenziale bisogna usare la legge. Punendo il furto e mandando i minorenni a scuola.Ce qu'on vous cache sur les Roms! di Pierre Alexandre Bouclay è un libro pubblicato il 19 febbraio 2014, che descrive con molti dati e pochissimo romanticismo l'attuale realtà dei rom. Nei secoli passati il microcosmo nomade era indicato in italiano decente con la parola zingari, parola citata in innumerevoli opere letterarie musicali a cominciare da La traviata e da Il trovatore, parola attualmente vietata dal politicamente corretto per motivi tanto oscuri quanto granitici. La parola indicava tutti i vari componenti: camminanti, sinti, gitani e rom. Qualsiasi fosse il nome con cui si indicava, le caratteristiche erano le stesse. Un forte istinto di coesione all'interno, una struttura fortemente patriarcale dove l'autorità spettava ai maschi, in particolare a quegli anziani, ma le donne e i bambini erano protetti. Il microcosmo nomade conviveva in un macrocosmo grazie al rispetto di alcune regole. I nomadi fornivano comunque un servizio alla comunità: erano i calderai, fabbri itineranti, indispensabili in tutti i luoghi dove non c'era un fabbro stabile, ed erano anche coloro che portavano notizie e fornivano svago in quanto giocolieri, giostrai, caldarrostai, orsari, acrobati, cartomanti, chiromanti. Oltre che con la mendicità, vivevano con la raccolta di denaro in cambio di servizi, oggettivamente utili o addirittura fondamentali fino al secondo dopoguerra, unico svago concesso in molti lontani villaggi. Le grandi famiglie dei Togni e degli Orfei vengono da questo mondo. Nei campi nomadi molti avevano capacità straordinarie di acrobazia ed equilibrismo. I nomadi erano i signori dei cavalli. I grandi carri fino al secondo dopoguerra erano trainati da cavalli. La capacità di allevare i cavalli era un'altra oggettiva capacità e virtù. Il magnifico teatro circo di Bartabas, uno straordinario spettacolo equestre, si chiama Zingaro, come zingaro si chiama il cavallo nero frisone: il cavallo più spesso usato nei campi nomadi.La comunità sopravviveva vendendo competenze e poteva integrare se necessario grazie a piccoli furti, resi più facili dalle capacità acrobatiche degli uomini, e piccole truffe, rese più facili dalle millantate capacità di chiromanzia e preveggenza delle donne: hai il malocchio addosso, te lo posso levare, gli spiriti vogliono 2.000 lire e quell'anello d'oro. Sottolineo la parola piccolo: c'erano regole rigide. Me le spiegò un anziano patriarca del campo nomadi di Moncalieri. Per una quindicina di anni ho lavorato all'ospedale di Moncalieri: a noi si rivolgevano dal campo nomadi. Negli anni Settanta si trattava di una società fortemente patriarcale, che proteggeva le donne e i bambini e che rispettava appunto le regole. I bambini che visitavamo erano sempre ben nutriti e ben curati. Non abbiamo mai curato vittime di pestaggi. Ricoverare qualcuno del campo nomadi non costituiva un problema di ordine pubblico. Durante un turno di pronto soccorso un anziano mi spiegò le regole. Si rubava un solo pollo per pollaio, se c'erano due camicie stese se ne prendeva una sola: se non si faceva così, la genere sarebbe venuta coi forconi a circondare il campo. Le comunità erano sopravvissute per secoli proprio perché c'era una qualche forma di equilibrio. Tutto saltato con la tecnologia. La gente non aveva più bisogno dello spettacolo dell'orso, i cavalli sono scomparsi, per l'oroscopo c'erano i giornali femminili. Sono rimasti solo mendicità e furto.Noi medici abbiamo cominciato a vedere bambini mal tenuti, donne che davano la forte impressione di essere in stato di servitù, vittime di impressionanti pestaggi. Negli anni Duemila si sono create all'interno di campi nomadi linee di criminalità, di cui gli stessi rom sono vittime. Negli anni Ottanta è arrivato lo spaccio e negli anni Novanta è arrivato lo sfruttamento della prostituzione. L'impressione confusa che noi avevamo avuto all'ospedale di Moncalieri è confermata dai criminologi che hanno studiato la situazione. Secondo il criminologo francese Xavier Raufer, «i rom contano tra i loro ranghi dei criminali abitudinari di cui loro sono le prime vittime. Si tratta di specialisti del traffico di esseri umani che sfruttano per primi i loro stessi confratelli. Se anche loro volessero vivere onestamente, molti nomadi sono costretti alla criminalità, sotto pena di sanzioni molto più convincenti di quelli della Repubblica francese». Il criminologo bulgaro Tihomir Bezlov insiste sulla potenza dell'impresa comunitaria: «Milioni di euro sono trasferiti ogni anno via Western union, e depositati nei Paesi dell'Unione europea verso le famiglie di origine. In Romania villaggi interi sono in mano a cosiddetti re dei rom, che vivono in palazzi di marmo coperti di gioielli usando limousine blindate. Questi falsi monarchi, veri mafiosi, regnano su clan di schiavi con il compito di depredare l'Europa al loro profitto. Traffico di metalli, di automobili, furti, prostituzione infantile. Non si tratta di ladri di polli, ma di una criminalità potentemente organizzata».Il Sirasco, Service information, reinsegnmant et analise strategique sur la criminalitè organizé, l'unità di lotta antimafia della polizia francese, conferma che ci si trova di fronte a una criminalità organizzata, potente e spietata. La parte più drammatica consiste nell'addestramento dei bambini al furto. La prova è il «paradigma del parchimetro»: «Alla fine degli anni Duemila i parchimetri francesi furono sistematicamente svaligiati da bimbi di 10 anni. Questo virtuosismo si spiega perché i bambini erano stati addestrati. In molte città francesi le videocamere di sorveglianza registrarono bimbi che con uno speciale attrezzo, una specie di forchetta a due rebbi, in pochi secondi svaligiavano il parchimetro».Ocldi, l'ufficio centrale lotta contro la delinquenza itinerante, informa che il 75 per cento degli scippi compiuti su treni metropolitana e autobus sono fatti da rom minorenni. Il museo Louvre nel 2013 ha chiuso i battenti per protesta, uno sciopero contro la legge dell'Unione europea che permette l'ingresso gratuito ai bambini nati all'interno della stessa unione. Le videocamere di sorveglianza hanno registrato innumerevoli furti: piccoli rom hanno sottratto ai turisti il loro portafoglio, dopo essere entrati gratuitamente.Féhim Hamidovic è il nome del gentiluomo sessantenne originario dalla Bosnie-Herzégovine condannato nel 2010 per un'impressionante rete criminale: centinaia di piccole ladre sono state avviate al furto. Le bimbe erano punite con abusi fisici sessuali se non portavano ogni giorno la folle cifra stabilita. Il processo è conosciuto in Francia come il processo del clan delle piccole ladre, in francese clan des petites voleuses . Un processo identico si è ripetuto per altre centinaia di piccole schiave: i responsabili sono i parenti di primo grado dello stesso gentiluomo condannato nel 2010. Il caso più grave è riportato dal Teleghaph ed è successo in Gran Bretagna, dove la polizia ha scoperto 200 bambini rapiti o acquistati in una delle zone più povere della Romania per essere avviati alla mendicità.Temere un gruppo etnico che ufficialmente è in pugno a organizzazioni criminali è lecito. L'Ue ha stabilito linee di protezione per i rom e fiumi di denaro che non hanno minimamente intaccato il potere dei gruppi criminali, ma anzi che lo hanno aumentato. Imporre la presenza di rom in un condominio o in un quartiere rischia di sottoporre gli abitanti agli stessi gruppi e di aumentare il potere di quei gruppi sugli stessi rom. Come si esce da tutto questo? Con la legge. La legge punisce il furto. Non permette la riduzione in schiavitù. Non permette di allevare i bambini senza mandarli a scuola e facendoli mendicare. Applichiamo la legge. I bambini mandati a scuola diventeranno la generazione che può integrarsi.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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