2025-05-20
Salvatores-Servillo, Casanova fa flop. La Francia spinge per i sussidi infiniti
Prosegue la carrellata di pellicole costate un patrimonio ma che hanno visto in pochi. Il governo transalpino con i cineasti che chiedono più soldi: «Non decide il mercato». Gli autori tricolori vogliono smarcarsi da Alessandro Giuli.Nel 1992, Gabriele Salvatores vince il premio Oscar per quel capolavoro che è Mediterraneo. Quasi trent’anni dopo quel trionfo, celebrato ancora oggi, Salvatores inizia la produzione del film Il ritorno di Casanova, con protagonisti Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio. È il 2021: tratto dall’omonima novella di Arthur Schnitzler, è una riflessione sul tempo che passa e sul successo. La pellicola è stata presentata in anteprima al Bari international film festival nel marzo del 2023. Ha avuto 4,4 milioni di euro di finanziamenti pubblici, in totale la pellicola è costata 7,8 milioni di euro. Ma al botteghino è andata maluccio: meno di 800.000 euro l’incasso racimolato nel passaggio nelle sale.Siamo arrivati al giro di boa con The flop, la serie immaginaria promossa dalla Verità che in dieci puntate racconta un vero e proprio horror cinematografico, quello rappresentato dai numeri del box office delle produzioni made in Italy raffrontate con quanto sono costate complessivamente e con quanto hanno ricevuto di sovvenzioni da fondi pubblici. La nuova puntata nella pagina qui a sinistra riporta le produzioni partite nel 2021 e uscite nei cinema negli anni successivi, quindi a emergenza Covid pressoché finita. Checché ne dica Luca Bizzarri, che si è imbizzarrito nei giorni scorsi su X per essere stato preso a esempio per l’incasso flop del suo Un figlio di nome Erasmus, il problema non sono i finanziamenti in sé ma le modalità con cui vengono dati. È giusto che non ci sia alcun tipo di controllo? È giusto che attori come Riccardo Scamarcio, ormai abbastanza di casa anche a Hollywood, continuino a prendere cachet di un certo peso per lavorare in produzioni che rientrano spesso e volentieri nell’elenco dei fiaschi in biglietteria? Il suo Quasi orfano è costato 4,1 milioni di euro, oltre 1,4 dei quali messi da Babbo Natale-Stato, ma in fila per vederlo nelle sale ci sono andati pochi spettatori, quanti ne servono per tirare su 299.000 euro.Lo ripetiamo, il problema non sono i finanziamenti pubblici, senza i quali (2,7 milioni circa) non avrebbe probabilmente visto la luce un altro capolavoro la cui gestazione è partita nel 2021 come Le otto montagne (costato 8,6 milioni), che ha davvero attirato pubblico al cinema tanto da guadagnare oltre 6 milioni di euro. Che, in tempi di magra per il settore, rappresentano una vera e propria vetta, per restare in argomento. Soldi a pioggia o no, dunque? Il tema è incandescente anche in Europa. Per i «cineasti, registi e sceneggiatori europei», appoggiati dal ministro della Cultura francese, Rachida Dati, la pioggia non basta, serve un temporale continuo. «I nostri film riflettono le culture europee in tutta la loro diversità e specificità. Oggi, chiediamo una Europa della cultura. Perché questa cultura è in pericolo. Il cinema e l’audiovisivo sono in pericolo», si legge nell’appello lanciato in occasione del Festival di Cannes e firmato dalle associazioni di cineasti europei, tra cui le italiane 100autori e Anac (l’Associazione nazionale autori cinematografici). «Considerare le opere cinematografiche e audiovisive come pure merci, soggette esclusivamente alle leggi del mercato, favorirebbe automaticamente le produzioni americane. In Europa, ogni film è un prototipo, una proposta unica che non risponde necessariamente alla domanda del mercato. Questo non ha mai impedito grandi successi commerciali. È così che concepiamo la settima arte. Come un’arte, un rischio, una proposta ogni volta rinnovata. E come un’industria che dà lavoro a migliaia di europei. La guerra economica condotta dagli Usa è anche una guerra culturale. Noi, cineasti, registi e sceneggiatori europei, dichiariamo di essere mobilitati, pronti a difendere senza cedimenti la specificità culturale del cinema e dell’audiovisivo».Nei giorni scorsi sempre l’Anac è intervenuta a gamba tesa sulla polemiche tra l’attore Elio Germano e il ministro della Cultura, Alessandro Giuli. In una nota del 15 maggio, dopo aver preso le difese di Germano e auspicato per il cinema «un’unità di vedute bipartisan da parte delle forze politiche di governo e di opposizione, non deve diventare oggetto di scontro politico», l’associazione ha paventato la necessità di «creare un organismo di governance del settore di natura più tecnica e con una rapidità di intervento superiore a quella di un ramo ministeriale». Insomma, l’Anac vuole tagliare molti dei cordoni ombelicali che legano produzioni e ministero e continua a spingere il progetto di costituire un Centro nazionale del cinema e dell’audiovisivo «i cui organi non siano di esclusiva nomina governativa e propone di avviare un confronto costruttivo sia per la definizione normativa che per l’organizzazione della struttura». Inoltre, propone una ricetta in quattro punti: «Moratoria sulle nuove regole del tax credit per i film di budget sotto i tre milioni; inserimento dei tetti al tax credit per film, serie e società; attribuzione all’Istituto del commercio estero (Ice) delle competenze economiche del tax credit per l’attrazione in Italia delle produzioni straniere al fine di liberare le risorse attualmente utilizzate per i film stranieri assegnandole ai sostegni automatici e selettivi ai film italiani; applicazione di finestre più lunghe (tra l’uscita di un film in una sala cinematografica e il successivo passaggio sulle piattaforme di streaming) per gli sfruttamenti dei film italiani e stranieri successivi a quelli della sala».Domani la sesta puntata di The flop. Ci sarà pure un ex sindaco.
Sandro Mazzola (Getty Images)
Una foto di scena del fantasy «Snowpiercer» con Chris Evans e Tilda Swinton firmato dal coreano Bong Joon. Nel riquadro una tavola del fumetto