2020-08-11
Saltato il governo, nel vuoto politico Hezbollah sguazza. Gli Usa alla finestra
(Marwan Naamani/picture alliance via Getty Images)
L'esecutivo si dimette e il Partito islamico alza la testa. Donald Trump chiede indagini sulla tragedia libanese. L'Iran si mette in mezzo.È crisi politica in Libano. Ieri sera - sotto la pressione di scontri e proteste nell'area di Beirut - il primo ministro, Hassan Diab, ha annunciato in tv le dimissioni in blocco del proprio governo. Nel suo intervento, il premier ha denunciato la corruzione dilagante, invocando inoltre un processo per i responsabili della micidiale esplosione, avvenuta il 4 agosto nel porto di della capitale libanese: esplosione da lui definita un «crimine». «La rete della corruttela è più grande di quella dello Stato», ha dichiarato. L'addio dell'intero esecutivo non è stata una notizia del tutto inattesa, essendo arrivata poche ore dopo le dimissioni di ben quattro ministri. Si apre adesso per il Libano uno scenario potenzialmente simile a quello dello scorso ottobre, quando - spinto dalle proteste antigovernative - a fare un passo indietro fu l'allora premier, Saad Hariri. Esattamente come allora, bisognerà quindi cercare di formare un nuovo esecutivo: obiettivo tutt'altro che facile, visto che - oltre all'ormai consueto malcontento per la crisi economica e la corruzione politica - si è aggiunta la questione dell'esplosione dello scorso martedì. Alternativa alla creazione di nuovo governo è quella delle elezioni anticipate. Il futuro resta comunque incerto. La situazione si sta del resto facendo sempre più turbolenta: nel fine settimana, migliaia di persone si sono riversate nel centro della capitale, manifestando duramente contro la classe dirigente libanese, considerata responsabile dell'esplosione e della corruzione dilagante. In tale contesto, oltre all'occupazione di alcuni ministeri, durante le dimostrazioni si sono verificati tafferugli con le forze dell'ordine. Tutto questo, mentre - secondo la Cnn - è stata eretta una finta forca, a cui sono state appese le immagini dei leader politici libanesi: dallo lo stesso Hariri al capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Nel frattempo, il bilancio delle vittime della detonazione sta continuando ad aumentare: il numero dei morti ha superato la soglia dei 200, mentre quello dei feriti è a quota 7.000. I dispersi sarebbero invece ancora più di un centinaio. In tutto ciò, la lira libanese ha perso il 70% del suo valore dall'inizio delle proteste antigovernative dello scorso ottobre, mentre la Banca Mondiale ha previsto che - entro l'anno corrente - più della metà della popolazione scenderà sotto la soglia di povertà. Senza infine dimenticare i sempre più pressanti rischi legati alla pandemia. Da più parti si teme che quello che sta ormai sempre più assomigliando a uno Stato fallito possa presto diventare una nuova polveriera mediorientale (sul modello siriano). È anche in quest'ottica, che la comunità internazionale sta cercando di muoversi: a partire dalla Francia. Domenica scorsa, Emmanuel Macron ha presieduto una videoconferenza con altri leader mondiali, chiedendo di unire le forze per aiutare il Libano. «L'esplosione del 4 agosto è stata come un fulmine. È ora di svegliarsi e agire», ha dichiarato il presidente francese. «Le autorità libanesi devono ora mettere in atto le riforme politiche ed economiche richieste dal popolo libanese, che è l'unica cosa che consentirà alla comunità internazionale di agire efficacemente fianco a fianco con il Libano nella sua ricostruzione». Nel corso della conferenza - cui hanno preso parte anche il presidente americano, Donald Trump, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel - i vari leader hanno deciso lo stanziamento di 250 milioni di euro per il popolo libanese. Trump ha chiesto che venga tra l'altro effettuata un'indagine «completa e trasparente» sull'esplosione, anche con eventuale supporto americano. Una richiesta che non solo non ha trovato il gradimento del presidente libanese Michel Aoun ma che ha anche rinfocolato le tensioni tra Washington e Teheran (legata a Beirut tramite Hezbollah): ieri, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Abbas Mousavi, ha dichiarato: «L'esplosione non dovrebbe essere usata come scusa per scopi politici. La causa dell'esplosione dovrebbe essere indagata con attenzione». «Se l'America è onesta sulla sua offerta di assistenza al Libano, dovrebbe revocare le sanzioni», ha aggiunto. In modo particolarmente duro verso Hezbollah, si è espresso poi ieri il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz. «Abbiamo visto il disastro che si è verificato in Libano. Immaginatevi se questo fosse stato moltiplicato per i depositi di armi di Hezbollah, che si trovano in ogni città e villaggio libanese», ha dichiarato alla Knesset. In tutto questo, nonostante la destabilizzazione nell'area e i probabili conseguenti flussi migratori verso occidente, l'Italia - sulla vicenda libanese - è pressoché sparita dai radar. Il nostro Paese ha, sì, inviato materiale medico, ma - dal punto di vista dell'iniziativa politico-diplomatica - non si è mosso, ritrovandosi oscurato dall'iperattivismo francese. Ancora una volta. Macron a ventiquattr'ore dall'esplosione si è recato a Beirut. Conte e Di Maio invece dov'erano?