2023-06-07
Salta la diga vicino a Kherson, accuse tra Mosca e Kiev. E l’Ue si fissa sull’ambiente
I russi: «Terrorismo». Volodymyr Zelensky punta il dito sul nemico e lo definisce un «ecocidio». Per il «Washington Post» gli Usa avevano i piani ucraini per sabotare Nord Stream 2.Il crollo della diga di Nova Kakhovka sul fiume Dnipro è al centro di un incandescente scambio di accuse tra Russia e Ucraina, che si rimpallano la responsabilità di quanto accaduto ieri. I fatti: nella notte tra lunedì e ieri è crollata la diga Nova Kakhovka ed è stata distrutta la centrale idroelettrica annessa, che aveva una capacità produttiva di 1.420 milioni di kilowatt l’ora. La diga si trova nel Sud dell’Ucraina, a 30 chilometri a Est di Kherson, città abbandonata dall’esercito di Mosca l’11 novembre scorso, e tornata sotto il controllo di Kiev e a 5 chilometri da Nova Kakhova, che la Russia occupa dal febbraio 2022. Il bacino delimitato dalla diga aveva una capienza di 18 chilometri cubi di acqua, che riforniva la Crimea e serviva anche per raffreddare gli impianti della centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, sotto il controllo russo. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica, ha dichiarato che sta monitorando la situazione, ma che «non vi è alcun rischio immediato per la sicurezza». L’acqua ha inondato numerosi villaggi e alcuni quartieri di Kherson: l’Ucraina ha annunciato l’evacuazione di oltre 17.000 civili dalle aree allagate intorno alla diga: «Più di 40.000 persone sono a rischio di inondazione», ha scritto su Twitter il procuratore generale ucraino, Andrii Kostine, «purtroppo, più di 25.000 civili si trovano nel territorio controllato dai russi».Veniamo allo scambio di accuse: «Ora la Russia», ha twittato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, «è colpevole di un brutale ecocidio. Si tratta di un atto di terrorismo russo, di un crimine di guerra russo. La Russia deve lasciare la terra ucraina e deve essere ritenuta pienamente responsabile del suo terrore». «Purtroppo», ha aggiunto Zelensky, «la Russia controlla la diga e l’intera centrale idroelettrica da più di un anno. È fisicamente impossibile farla esplodere in qualche modo dall’esterno, con un bombardamento. È stata minata dagli occupanti russi e fatta saltare in aria da loro. Il mondo deve reagire». «Ben 150 tonnellate di olio motore si sono riversate nel fiume Dnipro», ha riferito su Telegram Daria Zarivna, consigliere per la stampa del capo dell’amministrazione presidenziale ucraina, Andriy Yermak, «generando un enorme rischio ambientale. C’è anche il rischio di nuove perdite di petrolio». Mosca, da parte sua, accusa gli ucraini: «Kiev», ha detto il ministro della Difesa russo, Serghei Shoigu,«ha commesso un atto di terrorismo provocando inondazioni con lo scopo di impedire le operazioni offensive dell’esercito russo sul fronte di Kherson». Shoigu ha anche accusato gli ucraini di avere aumentato lo scarico delle acque da un’altra diga a monte, quella di Dnipro, per rendere più gravi le inondazioni. «Questo fatto», ha sottolineato il ministro, «mostra un sabotaggio su vasta scala pianificato in anticipo dal regime di Kiev».Il ministero degli Esteri di Mosca ha chiesto «alla comunità mondiale di condannare gli atti criminali delle autorità ucraine». Secondo Kiev, quindi, Mosca avrebbe provocato le inondazioni per fermare l’offensiva ucraina; secondo i russi invece il crollo della diga metterebbe a rischio l’approvvigionamento idrico della Crimea, oltre a aver provocato l’inondazione di una gran parte di territorio controllato da Mosca. Entrambe le parti (l’Ucraina sostenuta dagli Usa) hanno chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si è svolto nella tarda serata di ieri. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha definito il crollo della diga «un’altra conseguenza devastante dell’invasione russa», ma ha aggiunto di non aver accesso a informazioni indipendenti sulle cause del disastro. «La distruzione della diga», ha sentenziato il segretario generale della Nato, Jans Stoltenberg, «mette a rischio migliaia di civili e provoca gravi danni ambientali. Questo è un atto oltraggioso, che dimostra ancora una volta la brutalità della guerra della Russia». Sulla stessa lunghezza d’onda la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen e il Consiglio d’Europa che ha parlato di «preoccupazione per i danni ambientali». Mentre il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, è rimasto sul vago: «Stiamo cercando di ottenere più informazioni: non possiamo dire in via definitiva cosa è accaduto alla diga», ma ci sarebbero «numerosi morti». Secondo la Cnn, la diga in realtà era già stata danneggiata pochi giorni fa, ma l’emittente ha precisato di non poter verificare in modo indipendente se il danno preesistente abbia avuto un ruolo nel crollo. Il giallo quindi resta tale: si ripete il copione di quanto accadde il 26 settembre 2022, quando saltò in aria il gasdotto Nord Stream 2, con accuse reciproche tra Russia e Occidente. A questo proposito, ieri il Washington Post ha rivelato che tre mesi prima che i sabotatori bombardassero il Nord Stream 2, l’amministrazione Biden aveva appreso da uno stretto alleato che l’esercito ucraino aveva pianificato un attacco segreto al gasdotto, utilizzando una piccola squadra di sommozzatori che ha riferito direttamente al comandante in capo delle forze armate ucraine. «Il rapporto dell’intelligence», scrive il Post, «si basava su informazioni ottenute da un individuo in Ucraina».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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