2025-05-15
Anche Mosca necessita di garanzie
Da 20 anni a questa parte, la Federazione è vittima di provocazioni e patti non rispettati. Perciò è lecito che pretenda maggiori sicurezze per il suo popolo, fuori e dentro i confini.Sembra essere sempreverde la favola del lupo e dell’agnello, col primo che beve a monte e il secondo a valle. Qui il lupo è l’Occidente collettivo, ma chi beve a valle più che un agnello è un orso. Comunque sia, la favola è attuale: quando qualcuno osserva che la Russia ha vinto la guerra, i più fini analisti dicono che, no, la Russia ha perso perché, dopo ben tre anni di guerra, ha occupato - pure parzialmente! - solo quattro prefetture invece che l’intera Ucraina. Naturalmente, avesse occupato l’intera Ucraina, avrebbe perso perché, in realtà, avrebbe voluto invadere l’intera Europa e, se avesse invaso l’Europa, avrebbe perso perché voleva conquistare il mondo. Ascoltare a reti unificate i commenti sulla tragedia è uno spasso: quelli che ci assicurano della patente incapacità militare della Russia, sono gli stessi che sostengono la necessità di metter sul piatto quasi un trilione di euro per scongiurare l’invasione russa fino a Lisbona. Uno spasso, come vedete, se non fosse terribilmente tragico. Chissà se si concluderà la pace. Incrocio le dita e non dico niente se non la mia sfiducia. Però non si può non concordare con Mosca quando fa sapere che, allo scopo, è necessario rimuovere le cause profonde - e fatemi sottolineare «profonde» - del conflitto. Che - stringendole proprio all’osso - a me sembrano due: la sicurezza nazionale della Russia e la sicurezza del popolo russo, che non vive solo in Russia. Cominciamo con la prima. Contrariamente alla comune vulgata, chi ha bisogno di garanzie di sicurezza non è l’Ucraina - e men che meno la Ue - ma è la Russia. Intanto, è così storicamente: è stata la Russia ad essere attaccata dai turchi-ottomani, da Napoleone e da Hitler. Se non fosse per l’arsenale nucleare, la Russia sarebbe un Paese debole: i russi sono la metà degli americani e un terzo degli euro-unionisti, in un territorio d’estensione enorme (copre una decina di fusi orari) e, soprattutto, ricco di appetibili risorse. Capisco che la propaganda - a dire il vero molto contraddittoria - Occidentale racconta un altro film, ma la Russia non ha alcun movente per annettersi l’Ucraina, e men che meno attaccare la Ue. La Russia è stata la vittima, innanzitutto di patti non mantenuti. Anzi, dal 1999 con reiterazione traditi. Giustificano, questi tradimenti, una guerra? Qualunque risposta diate, sta di fatto che, tutto malgrado, nessuna aggressione ci fu per oltre 20 anni. Ci furono le provocazioni «arancioni» del 2004 e il colpo di Stato in Ucraina del 2014, ma non conseguì alcuna aggressione russa. Con l’ascesa al potere a Kiev di russofobi - e lo erano perché essi stessi così s’erano auto-dichiarati - i russi di Crimea e Donbass si separarono: illegittimamente, se volete, ma fu autodifesa. La strage di Odessa, la guerra civile, le leggi del 2014 e del 2019 discriminatorie contro i russofoni, sempre nel 2019 la Costituzione emendata in modo da ufficialmente tradire la solenne promessa di 30 anni prima secondo cui l’Ucraina avrebbe dovuto restare neutrale, insomma una sequenza ininterrotta di azioni commesse da quegli stessi che le avevano già dichiarate minacciose verso la Russia, hanno indotto questa ad agire.La narrazione è che la Russia prefigurava una guerra-lampo che avrebbe conquistato l’intera Ucraina. Ma è una narrazione fuori da ogni logica: già entro le prime 24 ore dall’invasione del 22 febbraio 2022, lo staff di Vladimir Putin contattava quello di Volodymyr Zelensky per chiudere il dissidio. E già dal 28 febbraio, cioè appena 4 giorni dopo l’invasione, cominciavano le negoziazioni per la sospensione di quella che Mosca chiamava «Operazione militare speciale». Quindi non si prefigurava alcuna guerra-lampo. Quella intrapresa da Mosca potremmo chiamarla, piuttosto, azione di «diplomazia coercitiva», per indurre Kiev a mantenere la solenne promessa di star fuori dalla Nato e per tenere i russi di Crimea e Donbass fuori dalla furia russofoba di Kiev. Come sappiamo, le cose si sono poi evolute diversamente.Spero di sbagliarmi ma, da come le cronache ci raccontano i preparativi dei negoziati, non vedo come questi possano avere successo. Tralasciamo le spassose dichiarazioni di alcuni leader europei che ribadiscono e intensificano le sanzioni a Mosca: chissà cos’hanno fumato. Anche se gettano benzina sul fuoco, credo che ormai sia Putin che Donald Trump neanche li prendono più sul serio. Concentriamoci invece su quelle - non poco infantili -rilasciate da Zelensky e cioè che egli parlerebbe solo con Putin, il quale avrebbe «paura» di parlare con lui. Ma il presidente - si badi bene: decaduto, e da un pezzo - ucraino sa bene che quello russo non si presenta a Istanbul, né mai s’è detto disponibile a presentarsi, personalmente. Solo i nostri mezzi di - si fa per dire - informazione possono avere la faccia di bronzo di far passare questa assenza come mancanza di volontà di Putin a far la pace. Il fatto è che c’è un altro punto, per così dire «legale»: con decreto n. 679 del 4 ottobre 2022, Zelensky ha reso effettiva la decisione del 30 settembre 2022 del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell’Ucraina di dichiarare «lo stato di impossibilità di condurre negoziati col presidente della Federazione russa, Putin».Per quel che vale il mio pensiero, personalmente sarei pessimista, e spero di essere sconfessato. Credo che la pace si raggiungerebbe più facilmente se: 1) gli Stati Uniti (cioè Trump) facessero il primo passo e riconoscessero l’inclusione di Crimea e territori ex ucraini conquistati da Mosca come parte della Federazione russa; 2) Kiev (non Zelensky) dichiarasse di accettare il proprio stato neutrale e smilitarizzato in cambio del mantenimento delle garanzie di sicurezza e sostegno occidentale in caso di ulteriore attacco russo e, soprattutto, in cambio del mantenimento dello sbocco sul Mar Nero. Vladimir Putin non avrebbe altre scuse. L’alternativa è che, continuando il conflitto, sarà forte il rischio che per andare al mare gli ucraini dovranno entrare in Russia.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Il valico di Rafah (Getty Images)