2023-06-26
Russia e Occidente, l’occasione mancata
Da sinistra, Vladimir Putin, Silvio Berlusconi, George W. Bush (Ansa)
Nel 2002, su iniziativa di Silvio Berlusconi, nasce a Pratica di Mare un Consiglio Nato-Mosca. All’epoca Vladimir Putin si diceva disponibile ad aderire all’Alleanza. Che però nel frattempo si allargava a Oriente.«Gli Usa temevano la saldatura Ue-Cremlino». L’analista Gianandrea Gaiani: «Roma aveva il ruolo di ponte tra due mondi. L’abbiamo ceduto a Erdogan». «I russi non potevano rinnegare la loro storia». Lo storico Franco Cardini: «In passato le aperture liberali di Eltsin erano state un disastro sociale».Lo speciale comprende tre articoli.«Non è possibile entrare in una dinamica del genere», taglia corto Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa, rispondendo alla domanda «Cosa sarebbe successo se la Russia fosse entrata nella Nato?». L’autore, ironizzando, definisce l’ipotesi come appartenente, ormai, al genere fantasy. Ma c’è stato un momento, neanche tanto breve, in cui la diplomazia internazionale ha lavorato intensamente su questo progetto. L’Italia, governata all’epoca da Silvio Berlusconi, ha ricoperto un ruolo di primo piano, promuovendo i famosi accordi di Pratica di Mare del 28 maggio 2002, che hanno istituito un Consiglio Nato-Russia concentrato su nove dossier, dalla lotta al terrorismo alla cooperazione militare. Allora le pagine di alcuni quotidiani italiani trasudavano scetticismo. E gli autorevoli commentatori che raccontavano l’operazione di Berlusconi mettevano le parole «svolta» e «accordo storico» tra virgolette, ostentando di non condividere l’entusiasmo dell’allora premier. Non si arrivò a quell’accordo all’improvviso, né per caso: due anni prima, a marzo del 2000, in un’intervista rilasciata alla Bbc, il giornalista David Frost aveva chiesto a Putin se era possibile che la Russia potesse aderire alla Nato. Putin, che alcune settimane dopo sarebbe stato eletto per il suo primo mandato, rispose a sorpresa: «Non vedo perché no». E nel documentario The Putin interviews realizzato nel 2017 dal regista americano Oliver Stone, il leader russo ha dichiarato che all’epoca aveva parlato di questo progetto anche con l’allora presidente Usa Bill Clinton, che gli aveva risposto: «Non ho obiezioni». L’anno successivo, cavalcando l’ondata emotiva che aveva travolto il mondo dopo gli attentati in America, Putin si presenta al Parlamento tedesco due settimane dopo l’11 settembre e tiene uno storico discorso in cui ribadisce le intenzioni espresse un anno prima. «La Russia è un Paese europeo amichevole. Per il nostro Paese […] l’obiettivo principale è una pace stabile nel continente», dice il leader russo, auspicando che Russia e Occidente ritrovino un punto d’intesa ad armi pari nella lotta contro il terrorismo. L’Europa, in quegli anni, si stava preparando ad accogliere i Paesi dell’est europeo, che sarebbero entrati nel 2004. «Non ci limitiamo a sostenere questi processi», dice allora Putin, «ma li guardiamo con speranza. Lo facciamo come popolo che ha imparato buone lezioni dalla Guerra Fredda. Ma neanche l’Europa ha beneficiato di questa spaccatura. Credo fermamente che […] anche l’Europa abbia un interesse diretto a sviluppare ulteriormente le relazioni con la Russia». Putin bussa insomma alle porte dell’Occidente: «Nessuno dubita», tiene a precisare, «del grande valore del rapporto dell’Europa con gli Stati Uniti. Ma credo che l’Europa rafforzerà la sua reputazione di centro potente e indipendente […] solo se unirà il proprio potenziale con le risorse umane, territoriali e naturali della Russia, nonché con il potenziale economico, culturale e di difesa della Russia». Marc Innaro, classe 1961, corrispondente Rai che a luglio scorso ha lasciato Mosca per il Cairo, è stato testimone diretto di ciò che accadde allora. Innaro si occupa di Russia da quarant’anni: laureato in lingua e letteratura russa, si stabilisce per la prima volta nella capitale sovietica, come corrispondente Rai, nel 1994, per restarci fino al 2001. Ci ritorna nel 2014, per poi lasciare il Paese nel 2022. «Vladimir Putin, per come lo conosco io, nei primi anni del suo mandato, fino a poco dopo Pratica di Mare, brama per essere parte del sistema occidentale. E quindi promuove l’ingresso della Russia nella Organizzazione mondiale del commercio e nel G7, poi diventato G8». Ma, spiega Innaro, per capire lo spirito di quel Putin desideroso di far aderire l’ex Urss alla Nato, bisogna fare un ulteriore passo indietro. «Se ci si limita ad analizzare la situazione attuale partendo solo dal 24 febbraio 2022 e dalla solita narrazione dell’aggressore e dell’aggredito», sottolinea, «o non si ha memoria storica o, peggio ancora, si è in malafede». Il passo indietro ci riporta al crollo dell’ex Unione Sovietica e alla Conferenza «Open Skies» di Ottawa del 12 febbraio 1990, pochi mesi dopo il crollo del muro di Berlino. «Va sempre ricordato, e le trascrizioni di quei colloqui parlano chiaro», spiega Innaro, «che l’allora Segretario di Stato americano James Baker, insieme con il ministro degli Esteri tedesco Dietrich Genscher, incontrando Michail Gorbaciov, presidente Urss, e il suo ministro degli Esteri Eduard Shevardnadze, stipularono la famosa promessa “not one inch eastward”, non un pollice in direzione est». La frase, ripetuta da Baker per ben tre volte nel corso dell’incontro, stava a significare che l’Occidente e gli Stati Uniti si impegnavano a non accerchiare la Russia con le basi Nato. L’8 febbraio, Baker aveva detto a Shevardnadze: «Ci dovrebbero essere, naturalmente, garanzie di ferro che la giurisdizione o le forze della Nato non si spostino verso est». Quattro giorni dopo, il cancelliere tedesco Helmut Kohl confermava a Gorbaciov: «Crediamo che la Nato non debba espandere il suo raggio d’azione». L’anno dopo, nel meeting del 6 marzo 1991 a Bonn, i rappresentanti occidentali ribadiscono: «Non intendiamo far avanzare l’Alleanza atlantica oltre l’Oder. E pertanto, non possiamo concedere alla Polonia o ad altre nazioni dell’Europa centrale e orientale la possibilità di aderirvi». La promessa è clamorosamente tradita già pochi anni dopo, con l’ingresso nella Nato di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria il 12 marzo 1999, consolidata con l’arrivo di Bulgaria, Lettonia, Estonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia il 29 marzo 2004: l’accerchiamento della Russia da parte dell’Alleanza atlantica è quasi completo. Nel 2009 entrano poi Albania e Croazia, il Montenegro nel 2017 e la Macedonia del nord nel 2020, fino alla clamorosa adesione della Finlandia lo scorso 4 aprile.In quel primo decennio, dalla promessa di Ottawa fino alla fine del 2000, cioè all’avvento di Vladimir Putin, in Russia governa Boris Eltsin, che affida la gestione dell’economia al verbo iperliberista dei Chicago Boys di Milton Friedman, uscendone sconquassata: i commissari politici del Fondo monetario internazionale, in cambio di briciole (15 miliardi di dollari), chiedono alla Russia di privatizzare in maniera selvaggia. Quel sistema, già collassato di suo, implode, e la prima vittima è la macchina militare bellica russa. In queste condizioni di subalternità totale, Clinton e Eltsin offrono alla Russia la cosiddetta «partnership for peace», «una presa in giro», spiega Innaro, «organizzata mentre la Nato annette, uno dopo l’altro, tutti i Paesi che storicamente erano stati addirittura parte dell'Unione sovietica. Il boccone più succoso era l’Ucraina e altre due repubbliche confinanti e cioè la Moldavia e la Georgia, che sono infatti il prossimo obiettivo, nemmeno tanto nascosto». È in queste condizioni che Putin raccoglie la Russia nel 2000, e sono queste le ragioni per cui caldeggia l’ingresso della Russia nella Nato.È interessante capire se, ex post, quei primi anni del nuovo secolo, illuminati dal miraggio di un mondo davvero multipolare e dalla prospettiva di un accordo che è stato, in quel momento, storico (senza virgolette), possano considerarsi come un’occasione mancata o un’illusione ottica. «Occasione mancata? In quel momento, certamente sì», risponde Innaro. «Chi sostenne quel progetto - in Italia fu Berlusconi - aveva capito che andava ripensata l’architettura di sicurezza europea. Il problema è che non esiste più un “regolamento condominiale”. Dov’è l’Onu? Dov’è l’amministratore del condominio? Le Nazioni Unite sono nate nel 1945 con il preciso intento di non ripetere più gli orrori e gli errori della prima e della seconda guerra mondiale e i trattati che avevano imposto ai Paesi sconfitti danni di guerra esosi e ignobili. Quando un grande Paese», continua Innaro, «viene umiliato in quel modo, è chiaro che prima o poi, quando si rimette in piedi, ovviamente se lo vuole riprendere con gli interessi». La Russia, pur essendo uscita vincitrice dalla seconda guerra mondiale, aveva perso il confronto con l’Occidente. Il grande artefice della umiliazione sovietica era stato Ronald Reagan. Il racconto di Innaro di quei giorni è ancora nitido: «Gorbaciov mi disse: “Capii che non ce l’avremmo più fatta quando di fronte al riarmo americano con le Guerre Stellari noi non eravamo più in condizioni di reggere”. L’Onu e l’Europa avrebbero dovuto trarre insegnamento da quello che era accaduto nel secolo precedente e - facendone tesoro - avrebbero potuto e dovuto includere la Russia in una nuova architettura di sicurezza europea assicurando a questo Paese gigantesco, 17 milioni di chilometri quadrati, seconda se non prima potenza nucleare del pianeta, le necessarie e indispensabili garanzie della propria sicurezza: non è successo». Cosa ha condotto, dunque al fallimento di quel progetto forse troppo ambizioso? Certamente l’arrivo dei Paesi satellite dell’ex Urss nella Nato. La svolta di Putin risale a qualche anno dopo, con il famoso, durissimo discorso pronunciato a Monaco nel 2007, quando la Russia comincia ad andare per la sua strada: «Lì Putin capisce che il suo Paese è stato preso in giro per 15 anni, e cambia rotta», ricorda Innaro. Quindi era davvero un progetto fantasy senza alcuna chance di realizzazione? «Così come lo avevano concepito gli americani, non avrebbe avuto alcuna chance», dice Innaro: «La Russia era un Paese troppo grande, troppo ricco di materie prime e di risorse naturali per poter essere assimilato, come membro Nato, ad un’Estonia o a una Lettonia qualunque». Senza contare che l’anglosfera, che dominava e tuttora domina la Nato, non avrebbe più potuto comandare, a quelle condizioni. «A ciò si aggiunge il grande incubo che da sempre hanno avuto gli anglomericani: evitare che ci si creasse la saldatura tra Germania e Russia, due grandi giganti, uno economico, l’altro di risorse naturali, che messi insieme, e con l’integrazione delle proprie economie - cosa che stava accadendo e che è accaduta negli ultimi vent’anni - ponesse la Russia e la Germania nella posizione dominante all’interno della gigantesca piattaforma euroasiatica».Sembrerebbe che all’Europa, nonostante la sua ricchezza e il suo know how, tocchi sempre il ruolo del «vaso di coccio». «In realtà», spiega Innaro, «se questo progetto fosse andato in porto l’Ue avrebbe realizzato il sogno del generale De Gaulle, quell’Europa che andava da Lisbona agli Urali e, aggiungo io, fino a Vladivostok, spalmata su 20 fusi orari. Quel progetto è fallito sicuramente per colpa degli americani, ma anche per colpa di una debolezza congenita strutturale dell’Europa, che non ha avuto la forza di affermare un progetto europeo. La grande responsabilità ce l’abbiamo noi europei. Il risultato di quell’operazione abortita», rimarca Innaro, «è che stiamo tornando indietro. E tornando indietro stiamo gettando la Russia e i suoi pochi, al momento, satelliti nell’orbita cinese. Ma la Cina, che è un Paese di un miliardo e mezzo di abitanti, non è stata sconfitta e negli ultimi vent’anni è diventata la prima potenza economica del pianeta e di fatto una potenza militare: vent’anni fa non lo era». Il capolavoro del disastro euro-americano è il successo dei Brics, gruppo di Paesi composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica accomunati da una forte crescita del Pil e dall’intento di dedollarizzare il mercato finanziario globale. «In questi giorni c’è la fila per entrare nel gruppo», spiega Innaro, «hanno chiesto di aderire ufficialmente Argentina, Arabia Saudita, Pakistan, Iran, Indonesia ed Egitto. Dall’altro lato i cinesi hanno in mano una buona parte del debito americano». È per questo motivo che quel progetto di vent’anni fa è stato l’unico spiraglio che ci avrebbe consentito di vivere in un mondo davvero multipolare: una grande occasione mancata che, se perseguita, non ci avrebbe condotto al conflitto ucraino.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/russia-e-occidente-loccasione-mancata-2661854758.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gli-usa-temevano-la-saldatura-ue-cremlino" data-post-id="2661854758" data-published-at="1687731492" data-use-pagination="False"> «Gli Usa temevano la saldatura Ue-Cremlino» «L’ingresso della Russia nella Nato è stata un’occasione mancata soprattutto per l’Europa», dice Gianandrea Gaiani, analista e direttore da oltre vent’anni del magazine Analisi Difesa. Perché quel progetto appare oggi velleitario? «La Nato ha due grandi azionisti di maggioranza, Gran Bretagna e Usa. Se ne avesse tre, gli interessi sarebbero troppo divergenti. Inoltre, l’Europa economica si sarebbe saldata con la Russia dell’energia, ed è quello che gli americani hanno voluto interrompere con il colpo di mano del Maidan nel 2014». Che effetti avrebbe avuto questa saldatura? «Avremmo avuto tutta l’energia che ci serviva, in un contesto di economia brillante, in crescita costante». Chi vanificò il progetto di adesione di Mosca alla Nato? «La storia dice che gli anglo americani intervengono militarmente in Europa ogni volta che in Europa sta per nascere una superpotenza, in quanto potenziale rivale. Oggi gli unici vincitori della guerra in Ucraina sono gli americani: hanno indebolito l’Europa». Si parla di difesa comune Ue integrata con la Nato. «Una struttura di difesa europea ha senso solo se smarcata dagli Usa». Chi remò contro l’ingresso di Mosca nell’Alleanza? «Gli interessi della Russia contrastavano con quelli americani». Cosa si sarebbe potuto fare per portare a compimento quel progetto? «La Nato avrebbe dovuto convivere con la Russia in una cooperazione per la sicurezza, ma non doveva minacciare i confini russi». Qual è stato, allora, il senso degli accordi di Pratica di Mare? «Risalgono al 2002, dopo l’11 settembre. Gli Usa cercavano un’alleanza globale contro il jihadismo. Nel momento in cui questa minaccia non è più considerata prioritaria, anche quel disegno, sviluppato da Berlusconi in maniera intelligente, viene meno». I nostri rapporti con la Russia sono proseguiti anche con Renzi e Letta, che nel 2013 ha stipulato 28 accordi economici con Mosca… «L’Italia ha sempre svolto un ruolo politico rilevante di ponte fra la Russia e l’Occidente. Rinunciandoci per rivestirne uno militare irrilevante abbiamo fatto l’errore più grande rispetto ai nostri interessi nazionali. Questa scelta ha coinciso con la linea del governo Draghi di essere ossequiosi verso gli americani, privando l’Italia di quel ruolo strategico di interlocutore con Mosca che oggi ricopre la Turchia». E se fosse l’Ucraina ad entrare nella Nato? «Vorrebbe dire cercare lo scontro militare con Mosca». Draghi a maggio 2022 ha sollecitato l’allargamento Ue a Ucraina e Moldavia. «Come ho spiegato nel mio libro (L’Ultima Guerra Contro l’Europa, ndr.), l’Ucraina di Zelensky, prima dell’attacco russo, era in coda a tutti gli indici internazionali di libertà economica, libertà politiche e civili, diritti umani. Se la Ue è pronta ad accogliere Paesi che mettono fuori legge l’opposizione, smettiamola di definirla culla della democrazia». Siamo già impegnati nella ricostruzione. «Sarà un fardello pesantissimo per l’Europa, che dovrà rimodulare il suo budget e chiedere tasse agli europei. Se questo è il futuro, non so quanto interesse avremmo noi a inglobarci l’Ucraina». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/russia-e-occidente-loccasione-mancata-2661854758.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="i-russi-non-potevano-rinnegare-la-loro-storia" data-post-id="2661854758" data-published-at="1687731492" data-use-pagination="False"> «I russi non potevano rinnegare la loro storia» «Se la Russia fosse rientrata nell’orbita Nato avrebbe finito per omologarsi all’Europa orientale stessa», dice Franco Cardini, storico e saggista, professore emerito alla Normale di Pisa, Direttore di Ricerca all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi e Fellow della Harvard University. «Ma», spiega, «per immaginare questo scenario bisogna avere una mancanza di cultura quasi ammirevole: si dovrebbe passare sopra la realtà storica che, almeno nell’ultimo secolo, ha segnato un fossato crescente fra l’Europa centrale e orientale da una parte e il blocco delle Russie dall’altra». Perché l’ingresso della Russia nella Nato è difficile da immaginare? «Perché la Russia avrebbe avuto un ruolo che ne avrebbe grandemente appiattito l’identità». Sono stati i russi a interrompere il progetto? «Credo che la questione identitaria sia una delle ragioni che ha trattenuto i russi dal fare quel passo. Putin sapeva con chi aveva a che fare: i Chicago Boys hanno fatto terra bruciata di un sistema sociale in pochi mesi, questa è stata la Russia di Eltsin. Putin lo sa e forse ripensa con orrore a quegli anni». Dunque non è stata l’America a far fallire il progetto. «Gli americani avevano tutto l’interesse a portare avanti un discorso di avanzata tattico-strategica». Come si è arrivati al ribaltamento dei rapporti, formalizzato da Putin nella Conferenza di Monaco del 2007? «Il legame con l’Occidente si faceva sempre più oppressivo. Dal 2000 è stato proposto e imposto un sistema che non faceva gli interessi della Russia. Poi la Nato è avanzata vertiginosamente verso oriente e la linea di fuoco è stata portata a duecento chilometri da Mosca». Putin si è sentito accerchiato? «Beh, come si fa a tollerare una cosa del genere? Abbiamo ben presente con quale isterismo l’America ha risposto quando Fidel Castro ha minacciato di mettere quattro aggeggi a Cuba. Perché ci stupiamo se oggi la Russia reagisce allo stesso modo per un pericolo molto più grave?». Mosca nella Nato non avrebbe contenuto questi conflitti? «Era una bella e ben congegnata illusione ottica. Ma era un contesto diverso, in cui l’Occidente era ubriaco di paura dell’Islam». Fu quello il collante tra Putin e l’Occidente? «Sì. Guardi, a me Putin sta profondamente antipatico perché ricordo bene il bombardamento di Groznyj: uomini, donne, bambini, fosforo bianco. Ma allora il Times gli dedicò una bella copertina e lui diventò un idolo per noi occidentali, che poi avremmo aggredito l’Iraq sulla base di menzogne, come ha confessato il generale Powell. Nessuno ha mai chiesto scusa, invece le cose fatte da Putin sono tutte orribili e imperdonabili». Per Antonio Martino la Nato poteva passare da struttura difensiva, esclusiva, a struttura di sicurezza, inclusiva. «Era un bell’eufemismo. Quel modo di combattere il terrorismo assieme alla Russia la escludeva dall’aspetto decisionale». Quali sono le responsabilità dell’Europa? «Dovremmo chiederci perché i governanti africani vanno in processione da Putin in un momento come questo. Il fallimento è nostro, checché ne dica il signor Stoltenberg, mai cognome fu più appropriato».
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)