2022-03-19
Per ora i russi non sfondano a Kiev. Intanto piovono missili ai giardinetti
(Credit: Niccolò Celesti)
Lungo la superstrada che conduce alla capitale ucraina, un imponente apparato di posti di blocco e trincee attende l’offensiva e viene bombardato da giorni senza esito. Ma i razzi arrivano anche fra le case popolari.Niccolò Celesti da KievÈ tutto distrutto, nel raggio di 200 metri: alberi, palazzi, vetrate, porte, finestre, pareti, panchine, tetti.Non si sa con esattezza cosa abbia colpito il giardinetto al centro di un gruppo di palazzine popolari nel quartiere di Podilsky, a Nord di Kiev, ma la distruzione è ovunque. Anche nelle strade adiacenti lo spostamento d’aria ha fatto implodere le vetrate e le serrande dei supermercati e dei negozi.Tutto questo alle 8 del mattino quando il coprifuoco era terminato da un’ora e le persone erano in giro a fare la spesa. Le voci riferiscono di un morto e qualche ferito, quasi un miracolo perché il posto è completamente distrutto.Intorno alla scena ci sono decine di fotografi e cameraman della stampa internazionale, esercito e soccorritori; poi ci sono i curiosi che arrivano dai quartieri vicini a vedere cosa abbia scosso le loro case anche a grande distanza. L’esplosione si è sentita in tutta la città.Tra la folla c’è un signore con un cerotto sull’occhio. Va davanti alle telecamere e dice a tutti di aver visto un missile cadere dal cielo e conficcarsi in terra, dice di non aver sentito l’esplosione, solo l’onda d’urto, violentissima, che lo ha scaraventato metri più in là, poi inveisce contro i giornalisti, chiedendo loro di spostarsi dalla zona coperta di detriti e di quello che si trovava nelle case e che ora giace sparso dappertutto.Il palazzo più vicino all’esplosione ha perso tutta la facciata e si vede un ragazzo all’ultimo piano che cerca di recuperare qualche oggetto nella stanza da letto. Dentro al suo appartamento, che ha perso la parete esterna, si riconoscono la cucina e il salotto.I poliziotti tengono lontano tutti dall’epicentro, raccolgono frammenti. Un operatore fa volare un drone sul cratere, probabilmente cercando di capire il tipo di missile utilizzato e quale potesse essere il bersaglio di un ordigno di tale potenza. Nessuno vuole credere che l’obbiettivo possa essere un giardinetto tra i palazzi.Gira la notizia che ci siano 4 bambini tra i 19 feriti. Numeri troppo ottimistici secondo la gente che si trova sulla scena. Qui c’erano anche una scuola e un asilo, ovviamente travolti dall’esplosione.Dopo aver visto questa scena di guerra in piena città, ci dirigiamo nuovamente verso il fronte di Irpin, passando da una superstrada a quattro corsie, una arteria che l’armata russa dovrà percorrere per arrivare in città se riuscirà a sfondare il fronte. Lungo la via c’è un importante avamposto, formato da trincee, posti di blocco e alcuni edifici dove i militari hanno organizzato il loro comando. Qui ieri notte è stato intercettato dalla contraerea un missile. È stato colpito, ma un pezzo dell’ordigno è caduto a terra, ha ucciso un militare e ne ha ferito un altro.Alex, il paramedico di servizio con questo battaglione, ci racconta il suo pronto intervento: «Abbiamo subito un paio di bombardamenti, l’avamposto è grande e ben visibile, quindi la nostra posizione è stata sicuramente riferita ai russi da un infiltrato, da una di quelle migliaia di macchine che passano da questo posto di blocco». Poi commenta beffardo: «I russi, però, non riescono a inserire le nostre coordinate e i colpi dei giorni scorsi sono sempre andati fuori bersaglio. Ieri sera, invece, siamo stati noi che abbiamo colpito il missile, spaccandolo in due. Solo che una parte è comunque caduta a terra ed è esplosa, abbiamo perso un “fratello”». Ed ecco il dettaglio dei primi drammatici soccorsi: «I ragazzi di guardia erano due, a una decina di metri dalla caduta del missile. Ho tamponato le ferite al primo soldato, colpito agli arti, con delle garze. Non era così grave e ho potuto salvarlo. Ma eravamo ancora troppo vicini al fuoco e intorno hanno iniziato a esplodere bombole e a incendiarsi gli edifici vicini».A questo punto indica un piccolo rifugio sotto a un camion. Per terra ci sono ancora le garze, le forbici, il sangue: «Ecco sono riuscito a trascinare qui l’altro “fratello” che non ce l’ha fatta. Ho fatto di tutto, ma non sarebbe sopravvissuto neanche portandolo in ospedale». Alex ci racconta queste cose con aria apparentemente serena, come se facesse questo tutti i giorni da una vita. Il viso è rilassato e lui, a tratti, sorride. Non vuole farsi fotografare, ma ci tiene a descrivere tutto per filo e per segno in un ottimo inglese, che qui è abbastanza raro.Prosegue: «Non abbiamo le sacche di sangue per le trasfusioni e comunque ne stava perdendo troppo. Il suo destino era segnato: quando l’ho soccorso aveva un pezzo di metallo nello stomaco, un grande pezzo di metallo, e altre parti del corpo erano lacerate». Nel frattempo il resto del battaglione si era messo a cercare di spegnere l’incendio in attesa dei pompieri. «Come vedi va ancora avanti» sottolinea, «ed ha distrutto due fabbriche, ma non sono riusciti a distruggere il nostro avamposto».Mentre parla, mostra, in quello che sembra un giro turistico, le altre zone danneggiate, altri punti di impatto di razzi o granate. Intorno a noi una squadra di vigili del fuoco prosegue le azioni di spegnimento. L’approccio di Alex, la professionalità, la mancanza di emozioni apparenti ci convincono che quel giovane sia un paramedico con precedenti esperienze in zone di guerra.Lui ci spiega, però, di essere entrato nell’esercito da poco e che lo ha fatto con quella mansione perché aveva seguito dei corsi di pronto soccorso come volontario.Poi precisa: «Io vengo dalla televisione, lavoravo nel telegiornale, sono un regista. Faccio il militare da 14 giorni». Prima Alex la guerra l’aveva vista solo nei film e nei videogiochi.
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