
Le Nazioni Unite hanno ufficialmente condannato il Ruanda per quello che accade in Congo, ma si tratta dell’ennesimo vuoto documento stilato da un’organizzazione che in Africa non ha più credibilità. Una superficie grande come l’Inghilterra era finita nelle mani di questo gruppo, armato pagato ed organizzato dal Ruanda, che schiera anche un contingente di 4000 soldati regolari a combattere insieme agli ormai più di 8000 miliziani. L’M23 ha creato un governo parallelo, nominando sindaci e amministratori in tutte le aree occupate e spesso la popolazione locale ha festeggiato il loro arrivo. Diverse centinaia di soldati delle Forze Armate della Repubblica Democratica del Congo ( Fardc) si sono uniti a questi miliziani ingrossando le fila del movimento ribelle. Corneille Nangaa rappresenta il volto politico di questi ribelli e ha più volte ribadito che ogni trattativa di pace deve partire dal loro riconoscimento politico e se questo riconoscimento non arriverà l’obiettivo sarà la secessione delle province oriehtali o addirittura la marcia sulla capitale Kinshasa. Le Nazioni Unite hanno ufficialmente condannato il Ruanda per quello che accade in Congo, ma si tratta dell’ennesimo vuoto documento stilato da un’organizzazione che in Africa non ha più credibilità. Sul campo però l’avanzata è ricominciata e l’obiettivo adesso è la cittadina di Uvira, sul confine con il Burundi. Si tratta di uno snodo chiave, perché situata sulle sponde del lago Tanganica di fronte all’ex capitale burundese Bujumbura, che potrebbe essere attaccata. Il Burundi, che ha pessimi rapporti con il Ruanda, è in una situazione molto complicata con un’economia in ginocchio e proteste in strada quasi ogni giorno. Il governo è gestito dall’etnia Hutu, mentre gli M23 e i loro alleati ruandesi sono Tutsi. Due popoli storicamente nemici e che nel 1994 videro gli Hutu perpetrare un autentico genocidio contro il popolo Tutsi in Ruanda. Il fattore etnico resta determinante in questo angolo di Africa e sia il Congo che il Ruanda arruolano fra le tribù utilizzando odi antiche e mai risolti. Il presidente Paul Kagane ha respinto ancora una volta le accuse di Kinshasa, ma le prove del diretto coinvolgimento del Ruanda sono da sempre sotto gli occhi di tutti. A Bukavu la situazione resta molto precaria e ad un comizio del leader politico Corneille Nangaa c’è stato un attentato che ha provocato 12 vittime e che sembra essere stato organizzando dai Wazalendo, una milizia di autodifesa della città alleata del governo di Kinshasa. La reazione dei nuovi padroni del Kivu è stata molto dura con centinaia di arresti e la perquisizione di decine di abitazioni, dove sono state trovate le armi che l’esercito congolese ha distribuito ai cittadini perché difendessero le loro case. L’esercito nazionale congolese non ha nemmeno combattuto per difendere la capitale del Kivu meridionale abbandonando la regione ai ribelli. A Goma, capitale del Kivu del Nord aveva provato a difendersi perdendo alcune migliaia di uomini, ma si era poi ritirato dimostrandosi inefficiente e inaffidabile. Intanto il presidente Felix Tshisekedi ha formato un governo di unità nazionale, cercando di aumentare il suo sostegno popolare che è ai minimi storici. Molti accusano il presidente congolese di aver permesso al Ruanda e soprattutto ai miliziani dell’M23 di prendere il controllo delle province orientali senza fare nulla dopo mesi che la minaccia cresceva ogni giorno. A livello internazionale, oltre al documento di condanna da parte del Palazzo di Vetro a New York, la Gran Bretagna ha deciso di bloccare tutti gli aiuti economici al Ruanda fino a che continuerà ad appoggiare la guerra nella Repubblica Democratica del Congo. Anche il Belgio potrebbe bloccare i fondi destinati al piccolo paese africano, ma manca un’idea di azione comune dell’Unione Europea perché la Francia evita ogni condanna ufficiale e continua ad avere rapporti strettissimi con Paul Kagame. Intanto la Cina si è mossa perorando la causa del Congo con cui ha firmato un accordo ventennale di sfruttamento delle miniere., ma la maggior parte dei minerali si trovano proprio nelle zone occupate e l’avanzata inarrestabile di questo movimento mette seriamente in dubbio la tenuta del governo di Tshisekedi. Il sempre più debole presidente congolese ha accusato il suo predecessore Joseph Kabila di essere dietro a questo movimento che ha sicuramente più di un padrino politico ed economico. La guerra è sul punto di coinvolgere tutti gli stati della regione dei Grandi Laghi, mentre a Nairobi e Luanda, elette come sedi di incontro, le trattative di pace sembrano completamente arenate.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.
Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.






