2018-04-06
La serie più amata da Donald Trump parla di famiglia e fa irritare i liberal
Esce negli Usa la nuova versione di Pappa e ciccia, classico della tv anni Novanta. Ottiene grandi ascolti raccontando gli americani comuni, senza cedere al politically correct. Il presidente gradisce e si congratula.Ricordate quel Pappa e Ciccia che andò in onda su Canale 5 dal 1990 al 1998? Il titolo originale del telefilm americano era Roseanne e - 21 anni dopo l'ultima puntata della nona stagione - lo scorso 27 marzo è tornato sugli schermi a stelle e strisce con la decima stagione. Non ne parlerebbe nessuno né in loco né qui, trattandosi di una sorta di Casa Vianello un po' più grintosa e molto più brillante, se non fosse che la sitcom ha avuto l'endorsement del presidente Donald Trump, e allora apriti cielo. The Donald, infatti, ha telefonato all'attrice Roseanne Barr, che impersona Roseanne Conner, per congratularsi per gli ascolti (che sono stati altissimi). Già in un discorso, in quel di Cleveland, aveva detto al suo uditorio che le opinioni di Roseanne Conner «parlano di noi». I protagonisti della serie sono, ora come per tutto il decennio di messa in onda conclusosi vent'anni fa, una semplice coppia americana non progressista, ma middle - lower class e conservatrice. Gente normale, insomma. Le prime nove serie, infatti, non turbarono nessuno. Perché non era ancora accaduto che tutto dovesse passare al vaglio del politicamente corretto pena censura, concreta o quantomeno morale. Adesso, però, il mondo progressista non può più accettare che chi non predica i suoi ideali venga rappresentato (fatica persino ad accettare che gli elettori conservatori esistano). Nel reboot (cioè riedizione) della serie, i due protagonisti (il marito Dan è interpretato da John Goodman) hanno «la colpa» di non essere radical chic, e pure quella di rappresentare le perfette incarnazioni dell'elettore tipo di Trump. E questo irrita i progressisti: l'uso politico di arte, intrattenimento e in generale della cultura è lecito soltanto quando tv, cinema, libri, giornali e canzoni sdoganano idee, appunto, progressiste. Quando toccano, magari en passant, idee conservatrici, la libertà d'opinione e di rappresentazione nell'arte non esiste più: è ridotta a propaganda fascista. Vaglielo a spiegare che però i conservatori ci sono, non sono nemmeno tutti bianchi (perché la Terra ospita anche un fracco di conservatori di origine asiatica e africana) e dunque avranno pur diritto ad essere rappresentati almeno in uno show sinceramente innocuo. La trama, semplicemente, tocca questioni sociali che tutti viviamo ma espone anche - non «solo», anche - l'opinione di chi ha un punto di vista più tradizionalista. Nella prima puntata, Darlene Conner, coi due figli Harris e Mark, è tornata a vivere dai genitori Roseanne e Dan, perché - come mezzo mondo occidentale - ha perso il lavoro. L'altra figlia Becky, anche lei in lotta con la povertà, annuncia che vuole «impiegarsi» come madre surrogata per 50.000 dollari (naturalmente, Roseanne e Dan hanno un coccolone). Nella seconda puntata, Dan e Roseanne si sono confrontati col nipote Mark, che se ne va a scuola vestito da ragazza e minaccia con il coltello un compagno. Nella terza puntata, Roseanne, che considera troppo lassista l'atteggiamento genitoriale di sua figlia Darlene con la di lei figlia Harris, le dice: «La tua generazione ha fatto tutto così Pc» (politicamente corretto, ndr). E ancora: «Invece di sculacciare i tuoi figli, gli dici di andare a riflettere su cosa hanno fatto di sbagliato. E sai quelli cosa pensano? “Non posso credere che quella perdente non mi stia sculacciando"». C'è stata anche la scena in cui Roseanne non voleva usare la sedia montascale perché la faceva sentire vecchia, ma non essendo politicamente strumentalizzabile non ha attirato l'attenzione di Helena Andrews-Dyer, che sul Washington Post, due giorni fa, ha dichiarato guerra alla serie con un'arroganza che in confronto Trump è un chihahua sedato. Il suo lungo articolo si intitola «Il reebot di Roseanne non può sfuggire alla politica» e non ha niente da invidiare alle critiche televisive di Norma Rangeri, quella secondo cui Emilio Fede parlava a «due milioni di persone che non leggono i giornali». Perché - lo sappiamo - non può essere che un elettore di centrodestra sia alfabetizzato, addirittura colto. La Andrews-Dyer (che è progressista è black, quindi progressista al cubo) ha stilato una tediosissima sequela di lamentele atte a far passare lo show come propaganda trumpiana inaccettabile. «Mentre la serie - che è già stata rinnovata per una seconda stagione - prosegue, temi “strappati dall'attualità" come la crisi degli oppiacei, l'aumento dei costi dell'assistenza sanitaria e gli scontri culturali sono già stati programmati per finire sullo schermo», scrive la giornalista. Le serie tv possono traboccare, e traboccano, di storie di afroamericani, migranti, musulmani, latinos, asiatici, coppie di padri o madri gay, padri che si scoprono transessuali. Ma i sentimenti di un povero bianco conservatore, che rappresenta la banale normalità, non possono essere raccontati nemmeno di striscio? Secondo l'editorialista del Washington Post, no. «Già guardare (o non guardare) lo show è diventato un atto politico in sé», sentenzia nel finale della fatwa. E dire che il produttore di Roseanne, Matt Williams, è lo stesso de I Robinson, la serie con Bill Cosby che raccontava le giornate di una famiglia nera upper class e progressista. Nessuno lo attaccò per questo. Ora che da voce ai bianchi conservatori, invece, merita i colpi dei cecchini liberal.
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