2019-11-05
Roma regala 10 motovedette alla Guardia costiera libica ma adesso nessuno si indigna
Nel pieno della polemica governativa sul rinnovo del Memorandum con Tripoli, l'Italia rinforza la contestata forza navale. Il Pd non blocca l'invio, che avviene senza scandalo.Giallorossi a parole ma gialloblù nei fatti, vergognandosene un po'. E sul più identitario dei temi politici: l'immigrazione. O meglio, sui dibattuti rapporti con la Libia, da cui non smettono di partire barche e barchini strapieni di immigrati. Il governo italiano ha appena donato alla chetichella dieci motovedette classe 500, già in servizio sulle coste italiane, alla guardia costiera libica. Due tweet partiti dall'account «Migrants rescue watch» mostrano video e immagini della consegna: peraltro in pompa magna, visto il concomitante cinquantasettesimo anniversario della Marina di Tripoli. Alla cerimonia ufficiale hanno partecipato anche autorità italiane? Mistero. L'ambiguità è giustificata dalle sempre più profonde divisioni governative. E dall'inconfessabile assunto: a dispetto della decantata discontinuità, aver rimpolpato la flotta libica è una decisione in perfetta continuità con le «inumane» scelte dell'ex ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Le stesse per cui, oltre un anno fa, i dem, ora al governo, gridavano allo scandalo: «Incostituzionale», «illogico», «inutile». È il 6 agosto 2018. Al Viminale regna ancora «il ministro della paura». E il Senato, a tarda sera, dà il via libera alla cessione alla Libia di dodici motovedette. «Un argine all'immigrazione illegale e alla tratta di esseri umani» spiega il leader della Lega, mentre a Palazzo Madama si scatena la bagarre: 382 deputati favorevoli, 11 contrari e il Pd che polemicamente s'astiene. Con l'allora presidente dei democratici, Matteo Orfini, pronto a caricare a testa bassa: «Abbiamo chiesto, attraverso i nostri emendamenti, di legare quell'atto a garanzie vere del rispetto dei diritti umani in quel Paese. A cominciare dall'obbligo per la Libia di sottoscrivere la convenzione di Ginevra. Gli emendamenti sono stati bocciati dalla maggioranza e i nostri deputati offesi ed insultati solo per aver denunciato l'insensatezza delle scelte della maggioranza». Già, perché durante l'accesa discussione in Transatlatico, tra leghisti e dem è perfino finita a maleparole. Poco più di anno dopo, le parti si sono rovesciate. A dispetto dello strombazzatissimo nuovo corso. Il nuovo ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, è stata la vessillifera della svolta: basta intemerate antipopuliste, ora si fa sul serio. Risultato: decisioni ondivaghe e sbarchi raddoppiati. O in perfetta continuità con il passato. Come dimostra, appunto, la donazione delle motovedette. Scelta che s'inserisce però nella più ampia politica di cooperazione tra Italia e Libia: suggellata dal Memorandum d'intesa firmato a febbraio 2017 da Marco Minniti, allora al Viminale, e poi proseguita con il successore leghista. Poi, ecco i giallorossi. Promettevano «magnifiche sorti e progressive». Ma, anche stavolta, sono finiti nel pantano. L'accordo tra i due Paesi è scaduto da qualche giorno. E il governo ha chiarito: non disdetterà il Memorandum. «Sarà migliorato» annuncia il premier, Giuseppe Conte. «Modificheremo in meglio i contenuti» suggella Luigi Di Maio. «Gli interventi» aggiunge il ministro degli Esteri «guarderanno con particolare attenzione ai centri e alle condizioni dei migranti». Più in concreto, si chiederà al Tripoli più tutela dei diritti umani e la supervisione dell'Onu nei centri dei migranti. Ma la sostanza non dovrebbe cambiare: finanziamento dei campi di transito, addestramento della guardia costiera libica, fornitura di mezzi, definizione di corridoi umanitari e rimpatri. Per farla breve, lo stesso pacchetto applicato da Salvini. Domani, il ministro Lamorgese presenterà dunque alla Camera il «Progetto Libia». Ma il nome altisonante non placherà gli ennesimi malumori che stanno sconquassando la maggioranza. Di Maio, temendo le ennesime emorragie nei consensi, è sostanzialmente per la continuità con il passato. Nei 5 stelle ribolle però la corrente più vicina al presidente della Camera, Roberto Fico. Che, in un'intervista a Repubblica, ha già chiarito: «Auspico come sempre un coinvolgimento del Parlamento, nelle forme dovute, in decisioni così importanti. Ricordo a tutti che rispetto a tre anni fa la situazione è cambiata: in Libia c'è la guerra». Ma è soprattutto nel centrosinistra che cresce e prospera una trasversale pattuglia di riottosi. Raccoglie almeno 25 parlamentari, dalla Camera al Senato. Lo stesso Graziano Delrio, capogruppo Pd a Montecitorio, qualche giorno fa spiegava: «Penso che non si possano tenere gli occhi chiusi. C'è una guerra in Libia e credo che il governo debba fare una riflessione molto seria. Il Parlamento vuole che questa riflessione ci sia e vuole un confronto prima di rinnovare questi accordi». In dissenso pure la zingarettiana Enza Bruno Bossio e ovviamente Laura Boldrini, già firmatrici a giugno di un documento per cassare l'intesa. Anche Italia viva, con Gennaro Migliore, preannuncia pandemoni.Il premier cerca di mediare, invano. II busillis resta lo stesso: come esplicitare il decantato cambio di passo senza accrescere la declinante popolarità dei giallorossi? Domani, la ministra Lamorgese tenterà l'ennesimo equilibrismo. Ma alla Camera s'annunciano nuovi capannelli, malumori e distinguo. Ogni giorno ha la sua pena? Magari. Per Giuseppi sono ormai una manciata al dì.